La
Bce volta pagina dalla parte sbagliata. La
riunione del Consiglio direttivo della Bce ad Amsterdam, la capitale della nascente
finanza mondiale del ’600, e la successiva conferenza stampa sono destinati ad
entrare nella storia economica e finanziaria europea. Ma non certo in modo
glorioso. Sta di fatto che si chiude un’epoca. Quella cominciata con il whatever it takes e proseguita con il
pompaggio di liquidità, con il denaro che praticamente non costava niente, ove
la banca centrale acquistava titoli di stato a go-go, mentre i tassi erano
negativi. È la prima grande conseguenza - che non riguarda solo l’Europa -
della guerra sull’economia mondiale. Sulla stampa economica e negli ambienti finanziari
si discute se le decisioni della Bce abbiano seguito le tappe indicate oppure
vi sia stata un’accelerazione. In sostanza se le colombe hanno tenuto oppure i
falchi abbiano preso nettamente il sopravvento. Discettare sulle espressioni
usate dalla Lagarde è di poco sugo. Conta di più vedere la reazione dei
mercati. Ed è negativa, con le borse europee in picchiata e lo spread che sale
a 230. Lo è malgrado si trattasse di una svolta annunciata. Già da qualche
tempo si sapeva che con l’8 settembre si sarebbe usciti dalla fase
caratterizzata da tassi negativi iniziata nel giugno del 2014. Si sapeva che
essi avrebbero cominciato a salire sia a luglio che a settembre. Come pure era
noto che il programma di acquisti netti sarebbe terminato il primo luglio. L’ordine
degli interventi è stato rispettato, prima la stretta sulla liquidità, poi
l’incremento dei tassi. Ma il margine di incertezza lasciato sul secondo
aumento dei tassi da realizzarsi a settembre (sarà dello 0,25% o dello 0,50%?),
e la vaghezza delle dichiarazioni della Lagarde rispetto alla individuazione e
messa in opera di uno strumento anti-spread, ha prodotto qualcosa che assomiglia
di più ad una diffusa paura che a un momento di incertezza. Per nulla temperata
dalla possibilità annunciata di reinvestimento dei titoli acquistati con totale
flessibilità, per combattere la “frammentazione” (un termine cui probabilmente
si ricorrerà spesso) dei costi di finanziamento dei singoli Stati. L’onda è
arrivata da lontano.
C. Lagarde
Anche se la Fed americana procede in modo inverso, prima
l’intervento sui tassi e poi quello sulla liquidità, la molla è la stessa:
l’aumento dell’inflazione che negli Usa ha sopravanzato le previsioni - per la
verità non impossibili - costringendo l’ex presidente della Banca centrale
Yanet Hellen ad una pubblica autocritica e che nell’Eurozona ha superato l’8% e
non intende fermarsi. Di fronte a ciò la Bce ha rimesso in campo la priorità
che deriva dalla sua scriteriata missione, ovvero la primazia della lotta
all’inflazione. Il che, come è noto, contraddice il principio che quando
l’economia va male i tassi vanno diminuiti per dare ossigeno al mercato, mentre
una stretta può essere opportuna se l’economia si surriscalda troppo. Eppure
proprio la Bce ritiene che la crescita nell’anno in corso e nel prossimo sarà
scarsa lasciando qualche speranza solo per il 2024. Bankitalia ha rivisto al
ribasso, di un punto abbondante, tutte le previsioni di crescita del nostro Pil
rispetto a quelle formulate a gennaio. Ma la situazione di oggi fuoriesce dalla
manualistica economica, dal momento che abbiamo avuto due avvenimenti
giganteschi in rapida successione e congiunzione tra loro: l’entrata in scena
del risparmio accumulato durante il periodo più duro della pandemia appena essa
ha segnato una flessione e la guerra che ha dato un ulteriore colpo alle già
rinsecchite catene del valore, complicando ogni cosa sul fronte dell’offerta e
non solamente dei prodotti energetici. Questo
fa sì che assieme all’inflazione continui il declino dell’economia e quindi, malgrado
le contorsioni espressive della Lagarde, il baratro della stagflazione è sempre
più vicino. Ma puntare sul contenimento dell’inflazione, anziché su un diverso
modello di sviluppo, non potrà che peggiorare la situazione. La guerra serve
per rallentare, se non bloccare, le misure contro il cambiamento climatico. Non
illudiamoci troppo sul voto europeo, peraltro così contrastato, sull’ auto
elettrica. Allo stesso modo, malgrado gli orientamenti europei sul salario
minimo, l’insistenza sull’inflazione è funzionale a contenere anche la più
timida spinta all’aumento dei salari. Ritorna il tormentone modello anni
Settanta sulla spirale prezzi-salari. Da un lato si affermano giusti principi,
dall’altro si adottano misure economico-finanziarie opposte. Senza l’entrata in
scena di un movimento di classe e di massa è facile prevedere chi prevarrà.