Come può un paese che ha un debito pubblico superiore
al 120% del PIL; che avrà quest’anno un deficit di bilancio intorno al 5% del
PIL (era il 10% nel 2021, e il 15% nel 2020); che da decenni ha la bilancia dei
pagamenti in rosso per importi che stanno a cavallo del 3% del PIL; e che per
questo ha accumulato una posizione debitoria verso l’estero pari al 70% del
PIL, godere di una moneta egemone che consente di finanziarsi a condizioni
molto favorevoli sui mercati internazionali, e in parte addirittura “a gratis”
con l’emissione di banconote (l’estero ne possiede per 1.000 miliardi)? Il
mistero lo spiega brillantemente Thomas Palley, un economista
consapevole dei limiti della propria disciplina. I motivi sono
prevalentemente politici: l’egemonia del dollaro si spiega con l’egemonia
politico-militare degli Stati Uniti, della quale essa è al tempo stesso un
pilastro. C’è infatti un rapporto biunivoco tra potenza politico-militare e
potenza finanziaria: l’una sostiene l’altra. L’autore scrive che però non è sempre
stato così: per trent’anni, dalla fine degli anni Trenta alla fine degli anni
Sessanta, l’egemonia del dollaro aveva solide basi economiche. Poi, dopo la
crisi degli anni ’70, il dollaro è improvvisamente risorto: uno
dei protagonisti di questo miracolo è stato Volcker che abbattendo
l’inflazione con una politica monetaria restrittiva ha ristabilito le
condizioni minime di solidità della moneta – detto per inciso, le
preoccupazioni che l’inflazione suscita oggi negli ambienti della
Federal Reserve riflettono quelle di allora, ovvero il timore di perdere
l’esorbitante privilegio del dollaro. Ma Volcker è stato co-protagonista anche
di un’altra svolta, quella che ha portato a identificare
gli interessi del paese con quelli di una classe – Palley la chiama la
svolta neoliberista. È una classe transnazionale che ha in Wall
Street il tempio della liquidità dove celebrare successi e insuccessi. Gli
interessi di classe spiegano certamente più dell'efficienza dei mercati
finanziari americani l’egemonia del dollaro; la sostanza del fenomeno
resta tuttavia quella della sottomissione di una larga parte del resto del
mondo al volere di Washington – l’esorbitante privilegio del dollaro è insomma
l’equivalente contemporaneo del tributo feudale. [Franco Continolo]