In
vista delle elezioni del 25 settembre. 1)
L'allarme lanciato da tempo al riguardo della formula elettorale non era frutto
dell'ipercriticismo di alcuni appassionati cultori della materia, fra i quali
si colloca anche chi era già riuscito a far dichiarare incostituzionali due
formule precedentemente varate da qualche "sapientone" ufficiale. La
questione vera, al di là delle liste bloccate, è quella della esagerata distorsione
contenuta nel meccanismo di traduzione dei voti in seggi, grazie
all'impossibilità di voto disgiunto tra parte uninominale e parte proporzionale
e quindi del pratico annullamento nel rapporto direttore elettore/eletto tipico
del collegio uninominale; 2)
Questo particolare aspetto esposto nel punto 1 avrebbe richiesto un di più sul
piano della capacità coalizionale: capacità che non sta nel DNA del PD nato con
le stimmate della "vocazione maggioritaria" e della riduzione del
sistema a bipartitico (si veda Veltroni 2008 e adesso Letta nel tentativo di
ridurre lo scontro elettorale al derby PD/FdI). Il PD ha storicamente trascurato
la necessaria articolazione del sistema e adesso si trova con una ridottissima
area di fiancheggiamento (più o meno del valore del 6-7% quindi nulla rispetto
alla parte maggioritaria). Inoltre i deboli alleati del PD si sono mossi
soprattutto al riguardo della conservazione del proprio apparato (salvo 1 o 2
candidature rispetto al quadro complessivo); 3)
Sotto l'aspetto di quanto riportato al punto 2 prima il PDS poi il PD hanno
commesso errori strategici proprio al riguardo del delicatissimo terreno costituzionale.
Due tra le modifiche più importanti della nostra Carta Fondamentale realizzate
negli ultimi 20 anni erano, infatti, state elaborate per inseguire potenziali
alleati: la modifica del titolo V al riguardo della Lega, la riduzione del
numero dei parlamentari in riferimento al M5S. Entrambi questi soggetti sono
adesso fuori da un contesto elettorale favorevole al PD ( va ricordato che la
Lega è sempre stata decisiva per la vittoria del centro - sinistra, come
accadde nel 1996 quando lo "sfilamento" da Berlusconi e la parallela
"desistenza" del PRC furono all'origine della vittoria dell'Ulivo:
vittoria ottenuta dal punto di vista tecnico e non certo politico come fu
dimostrato dalle vicende successive); 4)
Nel frattempo si è favorita la crescita dall'astensione (ad esempio con
l'istituzione della tessera elettorale in luogo della distribuzione dei
certificati e con la riduzione nel numero delle sezioni) cullando l'illusione
dell'allineamento ai sistemi delle grandi democrazie occidentali (senza vederne
la crisi e senza riflettere sulla trasformazione del nostro sistema politico in
coincidenza con il mutamento di natura e di ruolo dei partiti). Sicuramente
alla crescita dell'astensione hanno contribuito altri e più importanti fattori:
in ogni caso adesso ci troviamo, anche nell'occasione di elezioni legislative
generali, alla soglia del 40% di non voto: più o meno la somma dei due partiti
più forti (che, in sostanza rischiano di valere ciascheduno più o meno il 15%
dell'elettorato, se non di meno, ed è questo un fattore centrale di
indebolimento del sistema); 5)
La riduzione del numero dei parlamentari e la già citata distorsione voti/seggi
potrebbero portare la situazione al limite di una coalizione come quella di
centro destra ben oltre la maggioranza assoluta, più o meno sul limite del
63-64% dei seggi stando alle cifre fornite dai sondaggi (nei collegi
uninominali centro-destra a 112 seggi, centro-sinistra a 31, M5S a 3, centristi
a zero). Se si verificherà questa ipotesi la futura XIX legislatura potrebbe
essere caratterizzata da un processo di "sfarinamento parlamentare":
una maggioranza così netta potrebbe infatti funzionare da "polo
d'attrazione" per parlamentari eletti da altre parti (centristi e M5S in
particolare) nel quadro del classico "trasformismo italiano" fino a
formare una "coalizione dominante" misurata nei pressi della fatidica
frazione dei 2/3. 6)
In queste condizioni l'unica ancora di salvezza per il centro - sinistra (e
forse per la democrazia italiana) sarebbe rappresentata da un recupero
dell'astensione tale da ridurre il fenomeno almeno sotto il livello di guardia
del 25%. Non pare però che esistano le condizioni di base per una operazione
del genere: gran parte dell'elettorato democratico e progressista (vedi esito
del referendum del 2016) è stato trascurato in nome della conservazione delle
prerogative dell'autonomia del politico e muoversi in questa direzione ha
sempre - storicamente - favorito la destra.