Non solotutto ciò che è reale, ma anche
ciò che è umano e quanto attiene ai fatti culturali, come i culti misterici,
prende le mosse dal grembo materno. I greci, dalla radice (my) μυ: rimane
la creatura (in grembo), dedussero, dapprima, (myo) μύω: mi chiudo, sto chiuso, sto silenzioso (da cui: muto),
ma, da μύω ricavarono μυέω: inizio
ai misteri, che rimanda a tener chiusa la bocca (in dialetto: mi
tiene il muso) al: (mustes) μύστης: iniziato
(ai misteri), che, pertanto, viene a conoscenza di ciò che attiene al
mistero (μυστήριον), che è non solo l’insondabile, ma anche ciò che è
segreto. Il pastore
greco si avvale del suo codice linguistico per rappresentare tutto il reale, ma
anche l’ignoto (il non noto, ciò che è sconosciuto e che deve restare precluso
ai non iniziati). Le parole non solo leggono, attraverso il mondo intrauterino,
realtà virtuali, metaforiche, ma anche i processi della
formazione dell’essere e quanto se ne deduce. Come in altra occasione, il
pastore greco aveva definito enigma, problema insolubile, il processo di
creazione, con la parola mistero indicò l’impenetrabilità dei processi
di formazione della vita, non visibili e, quindi, sconosciuti ai più, rivelati
all’iniziato (μύστης), che è colui cui la divinità: Demetra e Persefone,
Dioniso, Orfeo, si rivela, da cui mistico, in quanto si relaziona con la
divinità stessa. Da ricordare che il concetto di ars dei latini ha
origine nella capacità di creare l’essere vivente. I greci, inoltre, quando
elaborarono (tecne) τέχνη: arte,
abilità manuale, ragionarono così: è ciò che si riscontra durante i
nove mesi, mentre viene realizzata la creatura. Poi, da τέχνηfu ricavata tecnico
e la tecnica. La natura aveva, però, tenuto nascosto tali arti, che,
pertanto, non dovevano essere esplicitate al fine anche di non far perdere
prestigio sociale all’artigiano, che, in greco fu definito: τέκτων: colui che possiede le τέχναι. Da τέκτων fu congegnato: architetto.
I latini, che
usarono, all’incirca, lo stesso codice dei greci, per leggere il reale, per
esempio, dalla radice (arch) αρχ (dallo
scorrere il passare e/o genera lo scorrere il passare), che tra le tante
deduzioni, nella cultura greca, ci fu archè, anche nel senso di principio/origine
della creazione, dedussero arca, il grembo come scrigno, e, poi, arcano.
Quando definirono secretum: recesso, solitudine, luogo
appartato/nascosto indicarono il grembo, dove c’è il frutto secretato
della coppia, perché non ancora disvelato dall’ingravidamento, se c’è un detto
popolare che ammonisce: se lo sanno in tre, lo sa pure la figlia del re.
Pertanto, secretum è sicuramente il luogo dove è allocata la creatura. I
latini, inoltre, per indicare segreto, come aggettivo, si avvalsero di tectus:
coperto, così come è coperta la creatura in grembo; lo stesso processo
avevano usato i greci coniando (delos) δῆλος, a proposito del grembo, deducendone: visibile,
chiaro, manifesto, certo, e, poi, mediante l’alfa
privativa (a-delos) ἄ-δηλος: invisibile, occulto, oscuro. I greci, da
una radice βλη, presente in alcuni tempi di βάλλω, coniarono (blema blematos) βλῆμαβλῆματος, per cui, avvalendosi di una perifrasi di questo tipo: va, dallo
sciogliere il generare il rimanere, ciò che lega il tendere, e interpretando
e contestualizzando tutti i simboli, dedussero: getto, ferita, coperta,
poi, però, ricavarono (emblema) ἔμβλημα: inserto, ornamentoin rilievo,
mosaico, emblema e ancora: (pro-blema) πρό-βλημα, attribuendo più significati: sporgenza, schermo,
riparo, questione, impedimento, ostacolo, difficoltà,
da cui problema, nel senso di ciò che arreca il travaglio alla creatura
che deve nascere, e, quindi, problematico. Dalla parola (thema
thematos) θέμαθέματος, da rendere:
dal crescere genera il rimanere il tendere, finché si mantiene il legame
(che consente la formazione) tra madre e figlio, i greci dedussero: deposito,
tesoro, tema, come soggetto di una discussione, come argomento
proposto, ma anche come radice di una parola, oroscopo, divisione
militare. Da ricordare che da tema fu dedotto anatema, in
quanto quel crescere dal legare da dentro il mancare, prefigurava la
morte daparto. Ricordo che ἀνά-θεμαsignificò
anche offerta votiva, proprio perché gli dèi scongiurassero quel tipo di
evento, che, nel processo di formazione, diventava una maledizione. Quando i
greci pensarono a quanto di celestiale (l’Olimpo) c’è nell’uomo, escogitarono,
attraverso il linguaggio del grembo, il mito delle Muse, ispiratrici di
tutto il bello della letteratura e della musica.
La parola ha
una storia e, talvolta, questa storia influisce sul significato che la parola
stessa acquisisce. In greco ci fu una radice, che ebbe molto uso nella civiltà
latina ed italica, si tratta di λαθ/ληθ (genera lo sciogliere il crescere/dallo sciogliere genera il
crescere, che indica l’abbozzo del grembo materno, che, sicuramente viene
portato dalla gestante), che dette luogo a λανθάνω: nascondo e a lete/Lete. I latini la utilizzarono
nel senso originario: lateo, da cui latente, ma anche per formare
il supino latum di fero, che dette luogo al participio passato latus,
con il significato di: portato, da cui, fra l’altro, latore. Con
il prefisso re da fero/latum, i latini dedussero refero/relatum:
porto indietro (da cui: pronome relativo), riconsegno, riporto,
riferisco, da cui, per citare solo qualche parola, il sostantivo: relatus:
ilriferito/il riferire, come esposizione/racconto, da cui
relatore e relatio relationis: narrazione, racconto,
ma anche come collegamento: relatio causarum. Da relatum
fu dedotto nella lingua italiana relativo, che ha dato luogo a relatività
e a relativismo, come contrario di assoluto.Molto
probabilmente questo significato di relativo rimanda alla perifrasi di λαθ: genera lo sciogliere il crescere, a voler significare che dalla
crescita del grembo c’è una crescita in sé (assoluta), quella immediatamente
prima della nascita, che viene valutata senza confronti con altre grandezze, e
c’è una grandezza che è in relazione con gli stadi del processo. In latino, c’è
la radice sol, che, con l’aggiunta di desinenze, prefissi e suffissi con
altre desinenze, dette luogo ad innumerevoli significati. Ciò lascia presumere che
il sigma acquisisce, nei vari contesti, significati diversi, da collegare a δ: manco/lego
e a θ: cresco. Molto probabilmente, solvo/solutum:
slego, slaccio, libero è da scrivere: so-λυω. Il pastore latino, che conosceva λύω: slaccio,
slego, a suo modo, precisò un atto che faceva tutte le mattine: aprire
il cancello dell’ovile, asserendo, con una similitudine: (così come) nel
processo formativo, dal legare del grembo, avviene lo sciogliere (ad indicare
l’uscita/la nascita, anche come acquisizione di libertà). Da questo verbo
furono dedotti: solubilis (che si può sciogliere), quindi: soluto e
solvente, solutio: lo slegare, che divenne anche sdebitarsi:
solutio rerum creditarum, pagare in unica soluzione. Si ricorda che risolvere
un debito, per alcuni, significò riacquistare la libertà.
Con questa
radice fu coniato dal contadino latino sol solis, inteso come l’astro
che fa fruttificare, attraverso questa perifrasi: dall’ho lo sciogliere il
mancare, che è la dissoluzione del seme, va a legare, consentendo la
fruttificazione. Da sole furono dedotti: solare e da solatio si
ebbe insolazione. Dalla radice che dette luogo a sole si formulò
il verbo: soleo: sono solito, ho il costume, uso, ho
commercio (amoroso) con, in cui la perifrasi: dall’ho lo
sciogliere il mancare rimanda all’utilizzo, attraverso la fecondazione,
della riproduzione animale e, quindi, vegetale. Da soleo furono dedotti:
solito, insolito, ma anche: insolente e insolenza.
Inoltre, dalla stessa radice di soleo fu dedotto il verbo deponente solor/solatus
sum: consolo, conforto, che contestualizza il momento della nascita,
per cui il pastore dice: quando il bambino nasce (manca), emette dei gemiti,
per cui a me tocca consolarlo. Inoltre, in solor si legge soprattutto
quel che si fa nel mancare per la perdita delle persone care. Quindi,
furono dedotti consolato e consolazione e solacium, reso
dal Leopardi con sollazzo. C’è da ricordare che, nel mio dialetto, u
cunsu (l)u era ed è il pranzo che parenti e/o amici facevano/fanno
a chi è provato dal lutto. Infine, la
radice sol,che dette luogo all’aggettivo solus solius: solo,
che sta solo, unico, straordinario (nel senso che fa cose
grandiose tutto da solo), deve leggersi: dal crescere il flusso spermatico;
poi con us del nominativo aggiunsero: si genera l’andare a
legare, mentre, con ius del genitivo, completarono: che produce il
mancare, che è la creazione. Tra i tanti dedotti, ci furono: solerte,
sollecito, solium (seggio, soglio, anche quello
pontificio), solenne, ad indicare, inizialmente, il giorno della nascita.
L’analisi
della radice sol ha anche l’intento di cercare di capire i significati
cui rimandano i termini: assoluto e assolutamente. Il concetto di Assoluto,come
principio di tutto, è da collegare sicuramente a solus, che passò ad indicare:
uno solo, ma anche: il Solo (che inglobò il
significato di: αὐτός: da sé). Infatti, i latini da questo aggettivo avevano
dedotto un altro aggettivo: absolutus, a cui attribuirono i significati: compiuto, perfetto, completo, non
limitato, in quanto dissero: a ben
pensarci (ab), l’abbozzo del grembo porta a pensare ad un essere che crea da sé
la creatura. I greci avevano sviluppato questo concetto, formulando con una
perifrasi, che va interpretata, il verbo: αὐτ-αρχέω: esercito il potere in forma assoluta, in quanto pensarono al monarca orientale che esercitava da sé (concetto presente in αὐτός) tuttoil comando, da ἅρχω: comando, sono a capo. Da questo verbo si formò
αὐτ-αρχή, che non indicò
solamente il monarca assoluto, ma anche il principio
assoluto/Dio, in quanto il filosofo, che è nel pastore, intravide,
nel principiare da sé,Dio creatore. Allora l’Assoluto
è l’essere perfetto che da solo origina il tutto. Il potere assoluto è quello che esercita una sola persona: il monarca, in greco anche: αὐτο-κρατής (autocrate):
padrone assoluto, da κρατ-έω: sono
forte, sono potente, che trova
la sua deduzione: αὐτ-αρχίαautarchia, che è il potere di chi
si autodetermina. Tra l’altro,
mi piace sottolineare che nel mio dialetto mangiarefagioli assoluti significa mangiare una minestra
di soli fagioli. Pertanto, quando si parla di ablativo
assoluto, si parla di un inciso, staccato dal contesto, che è da
collegare ad: absolvo/absolutum. Quando si parla di superlativoassoluto, si vuole prescindere da ogni comparazione e l’aggiunta dei
suffissi τατος e issimus, propri del greco e del
latino, indica il massimo della crescita in sé di qualsiasi qualità posseduta dalla creatura. Nel dire che una
fanciulla è bellissima, si vuole, senz’altro, indicare che quella fanciulla
possiede, di per sé e in sé, il massimo della bellezza. Per quanto riguarda assolutamente, bisogna ricordare che
gli avverbi, in greco e in latino, si formano dagli aggettivi, per cui questo
avverbio rimanda ad assoluto nel senso di perfetto, la cui perifrasi, probabilmente, faceva pensare ad una affermazione di per sé vera, indiscutibile, riguardante il processo
di formazione dell’essere, così come in greco da ὅλος: tutto, intero (anche: completo) si formò: ὅλως: completamente, affatto, assolutamente.
Tutte queste
esemplificazioni sono addotte per dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno,
che, molto spesso, non è la radice a dare significato, ma l’intera perifrasi e
che, se da parola nasce parola, talvolta, la lettura ad litteram dei singoli simboli
fonico-grafici porta a nuove contestualizzazioni del processo e, quindi, a nuovi
significati. Inoltre, queste considerazioni servono anche ad esplicitare
l’espressione: la parola intesa come metafora del grembo, nel senso che, tante
volte, il significato è un traslato, in quanto, ad esempio, con la perifrasi
del verbo medio γίγνομαι, che fu formato dalla radice γεν (da dentro il generare) il pastore greco ricavò, per sé, genero, nel senso di mettere al
mondo, contestualizzando tutto il processo generativo, poi, da questa radice dedusse dei deverbali: genesi come creazione e come origine del processo creativo, γένος/ γένουςcome nascita, come genere/specie, genetico, come età, come etniaecc., attraverso questa
perifrasi: da dentro il generare il legare consegue il mancare. Da habeo: ho, che richiama il verbo ἔχω: ho, tengo, frutto di questa
perifrasi: è ciò che consegue per la gestante durante i nove
mesi, trasformato in hibeo nei verbi con prefisso, i latini dedussero impedisco, trattengo, fermo, arresto, in quanto il pastore
latino pensa che la creatura, legata nella bolla, è impedita, è trattenuta, quindi deduce, dal
participio passato inibita, l’inibizione, che indica
l’impossibilità a fare quel vorrebbe, in quanto legata/impacciata nei
movimenti, da qui il senso di castrazione che accumula l’inibito, da qui anche inibizione comeil freno morale, da altri
detta contenimento, per meglio dire:ritegno. Inoltre, furono elaborati: cohibeo: tengo insieme, tengo stretto, tengo chiuso, per cui altri pensarono
che, se si chiude a sette mandate, non si lascia passare, concetto attribuito a coibente. Infine, fu coniato: adhibeo, dai molti significati, fra
i quali noi usiamo adibire, nel senso di utilizzare e di usare.