La via Dante a
Milano. Un ponderoso
volume di 368 pagine questo di Pierfrancesco Sacerdoti: Via Dante a Milano. Una strada e la sua architettura nella città
europea del XIX secolo (Gangemi editore 2020) ricco di documenti,
planimetrie, schemi compositivi, piante, disegni di facciate, foto d’epoca,
senza contare il ricchissimo materiale sulla cultura architettonica, la
questione dello stile, le tecniche di costruzione dei fabbricati di uso civile,
l’insegnamento dell’architettura, il ruolo sia del Politecnico di Milano sia
dei suoi professionisti e teorici, da Camillo Boito a Luigi Broggi, e tanto,
tanto altro ancora. Quello che è avvenuto con la sistemazione ottocentesca tra
il Cordusio e il Castello, ha consegnato a noi posteri un’armonia visiva e un
tracciato elegante che non smette di sedurre col suo fascino. Ha insegnato come
si dovrebbe fare, tenere a mente alcuni concetti che sono stati via via
dimenticati: il decoro, la coerenza, l’impatto di chi guarda, l’equilibrio, il
contesto, l’empatia e, non è cosa da poco, la psiche di chi in alcuni luoghi
dovrà transitare o “fruirli”, come si dice ora. Ho usato la forma condizionale
perché sono anni che avvengono manomissioni ed innesti ibridi su manufatti
storici sfigurandoli. Il caso dei sopralzi realizzati su palazzi storici di
Milano è emblematico e alcuni sono stati compromessi per sempre. Persino in
piazza Cordusio, che introduce a via Dante, è stata autorizzata la
sopraelevazione di un edificio storico, ora adibito a uso commerciale, per fini
chiaramente speculativi e con materiali completamente dissonanti: vetrate e
forme che non hanno nulla a che vedere con l’intero contesto circostante. Tutto
questo è avvenuto senza che le autorità cittadine se ne preoccupassero, e senza
che la Sovrintendenza battesse ciglio. La via Dante resta perciò un esempio
paradigmatico di buone pratiche architettoniche e di matura consapevolezza
civile. Ma i nuovi barbari sono già all’opera, come mostrano alcuni sopralzi e
nuovi volgari negozi ad uso e consumo del turismo di massa.