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mercoledì 30 novembre 2022
OPPOSIZIONE, SINISTRA, INDUSTRIA, LAVORO
Libri
LA PIAZZA LETTERARIA DI VALESIO
di Barbara Carle
Paolo Valesio
Il Testimone e l’Idiota è il
diciottesimo volume di poesia di Paolo Valesio. Il fitto libro di 278 pagine è
incorniciato da una prefazione di Alberto Bertoni, una postfazione approfondita
di Anna Maria Tamburini. È diviso in tre parti: Prima parte. I due solitari,
Seconda parte. La Voce, Terza parte. La Fiamminga. La prima è fatta di due
prospettive che non s’incontrano e sembrano isolate ognuna, infatti solitarie,
ma contigue nello spazio del libro. Nella seconda parte, entra La Voce
che parla separatamente ad ognuno, mai a tutti e due insieme. Nella terza entra
il terzo personaggio, la Fiamminga che scambia mail e telefonate con ognuno
separatamente ma che non può sentire la Voce. Si conclude con l’Epilogo
dove i tre personaggi s’incontrano a Parigi sotto la statua di Maupassant al
Parc Monceau per la prima volta, parlano brevemente e poi ciascuno va per conto
suo. Questa sarebbe una piccola pièce teatrale. Generalmente i testi sono brevi
ma la forma cambia. La prima ha dei “monologhi” mentre le altre due hanno
dialoghi corti, ma a volte sono più lunghi di alcune pagine. Se dovessimo
definire la forma, avremo difficoltà, ci sono poesie, “proesie,” dialoghi,
scene teatrali. Ci sono molte citazioni, proverbi, e detti in inglese. Ci sono brani
in francese, locuzioni in latino e parole in spagnolo che rafforzano il
plurilinguismo e lo stile misto. Troviamo una frase da Don Giovanni di
Mozart e ripetuti riferimenti a compositori e canzoni arricchiscono la
tavolozza. Si cita C. G. Jung e il Bhagavad-Gita. La forma si trasforma; è
dinamica come il pensiero. Non si possono negare i temi religiosi, gli
interrogativi sulla fede, la speranza, la morte, il bene, il male e altri argomenti
ancora, l’umorismo, l’ironia, i giochi di parole e così via, ma, a mio avviso, uno
dei fili conduttori si trova nelle citazioni. Sarebbe dunque una messinscena della
letteratura. Ungaretti, Valéry e Di Biasio tra altri hanno scritto sul fatto
che la poesia consiste in una riscrittura di altri testi, nell’ascoltarli,
commentarli, riscriverli, rifiutarli; lo scrittore è lettore e fa parte del
grande coro di citazioni. Si comincia con una citazione di Shakespeare, che poi
viene citato altre sei volte sempre in epigrafe. Attraverso il libro troviamo
più di cinquanta citazioni, non sempre in epigrafe. Alcune volte le troviamo
nel corpo della poesia. Altre volte un titolo è una frase come Numquam
deorsum (citato da D’Annunzio) De Amicitia (Cicerone), o
l’inversione del titolo di De Rerum Natura di Lucrezio in Duologo De
Natura Rerum. Altre volte ci sono quasi doppie citazioni come in La
minaccia dove l’Idiota sente la Voce dire: “Ti uccido”. E poi l’Idiota cita
un passo da Simone Weil: “Uccidere col pensiero/tutto quel che si ama; è la
sola maniera di morire. / Ma solo quel che si ama”. Si nota qui la
riformulazione di una frase celebre di Oscar Wilde in The Ballad of Reading
Gaol: “Yet each man kills the thing he loves”. L’Idiota si interroga sulla
frase della Weil: “Cosa vuol dire lei – cosa vuol dire?” Ci offre una possibile
spiegazione e sembra trattarsi di uccidere luoghi, abitudini, ruoli e maschere
per passare a “territorio nuovo” (Valesio 130). Altre volte si tratta di
riferimenti o dediche che in qualche modo nascondono la citazione come in Corale
a pagina 136. Questa poesia è dedicata a Leopardi e l’Idiota recita una sua
versione del Dialogo di Federico Ruysch e le sue mummie dalle Operetti
morali: “Tutti i morti son pieni di speranza/Cantano boccaperti in coro
universale”. Questa poesia, come molte altre, è piena di ironia e umorismo; ci
coinvolge nella conversazione tra l’autore e Leopardi. L’altro tipo di
citazione che troviamo si produce quando l’autore cita un suo libro precedente
come Avventure dell’Uomo e del Figlio, del 1996 o Esploratrici
solitarie, 2018, il libro che precede Il Testimone e l’Idiota.
Paolo Valesio |
Paolo Valesio
Se qualcuno volesse dubitare di questa mia chiave di
lettura, il fatto che troviamo una poesia intitolata La citazione nella
terza parte potrebbe convincerlo. Lo scritto a pagina 165 consiste in un breve
scambio tra l’Idiota e la Fiamminga su una citazione inserita nel corpo della
poesia dallo Pseudo-Dionigi. La Fiamminga fa la citazione e si aspetta la
reazione dell’Idiota. Lei lo incita a pronunciarsi chiaramente sul detto religioso
filosofico. L’Idiota rifiuta: “un decidere/ che si presenta come un recidere”
(165). Vale a dire una premessa manichea fatta di due opposti estremi.
Incalzato dalla Fiamminga ad essere più chiaro lui spiega che può concepire e
capire opinioni contrarie alla sua senza “credere che il mondo crollerà”. E
alla fine cita senza dirlo esplicitamente, ma ogni lettore di Dante può
facilmente cogliere l’allusione a Farinata nel canto X dell’Inferno che
tronca il dialogo dicendo bruscamente: “[…] e de li altri mi taccio”. Per
chiarezza cito La citazione: “FIAMMINGA: «Ti offro questa citazione
dallo Pseudo-Dionigi: /“O il dio della natura/È un dio che patisce,/oppure si
dissolve/la fabbrica tutta del mondo.”»/ TESTIMONE: «Io stento a capire/ questa
estrema ambizione di un decidere/ che si presenta come un recidere.»/ FIAMMINGA:
«Eppure tu avrai, sono certa, una come suol dirsi/opinione in proposito.»/TESTIMONE:
«Sì, ed è una molto ferma opinione./Ma, vedi, io intrattengo/l’esistenza
plausibile dell’opinione opposta/senza per questo credere che il mondo
crollerà,/dunque mi taccio»”. Tale lettura è rinforzata da un’altra poesia, L’accoglienza
a pagina 172, dove capiamo che l’Idiota è il lettore poeta supremo: “Qualche
volta ogni frase che l’Idiota si trova ad ascoltare/gli sembra una citazione:/
è un segno di derealizzazione oppure una sfida/in nome di un grande disegno
costruttivo e colorato? / Se le cattura subito al volo/le citazioni si
deformano/e, avvizzite, esigono di essere spiegate. Ma se lascia che le frasi
volteggino libere, diventano un palazzo/tutto fatto di pietre angolari”.
Questo libro ci offre testi molto variati e diversi; Incarnadine
a pagina 153 riprende la parola da Shakespeare e Pound. Qui si tratta di
una poesia civica contro “la macelleria” della storia (“Chiunque è post-infante
ha già compreso/che la storia è una macelleria:”) ma introduce la parola incarnadine
nel testo creando un neologismo: “Non posso incarnadine, posso solo
rispondere/al rosso con il bianco/del voto validato, ma muto e vuoto –/ il voto
nullo: la scheda con il “No”. Notiamo che Shakespeare con i Vangeli sono
i più citati e che Pound era un poeta traduttore lettore dialogico tra le
lingue. I suoi Cantos e questo libro di Valesio sono entrambe opere
plurilingue e dantesche dove l’io si divide e si riunisce. La forza di questo
nuovo e originale libro di Valesio sta nel valorizzare la speranza attraverso il
dialogo. Si vede l’evoluzione del libro che comincia con “monologhi” poi passa
a dialoghi e duologhi per inscenare una piazza letteraria dove il poeta vive,
ascolta, parla e riscrive le voci dei libri e del mondo.
Paolo Valesio
Il Testimone e l’Idiota
La Nave di Teseo ed., 2022.
PER PAPI
di
Fabio Minazzi
Papi e collaboratori di "Odissea"
per il decennale
Fulvio
Papi l’ultima voce della “scuola di Milano”
A
novantadue anni si è spento domenica 20 novembre un importante filosofo come
Fulvo Papi. Nato a Trieste nel 1930, ha sempre vissuto a Milano, dove si è
laureato in Statale con un Maestro
come Antonio Banfi (1886-19579, di cui è diventato assistente, mentre ha
iniziato a lavorare al quotidiano socialista Avanti!, prima per la
pagina culturale, poi per la politica estera e, infine, come vice-direttore,
collaborando con Riccardo Lombardi (1901-1984). In questa veste, allo scoppio
dei “fatti dell’Ungheria” (1956), pubblicò, in prima pagina sull’Avanti!,
un coraggioso corsivo, in cui difendeva apertamente gli studenti e gli operai
insorti, mentre l’Unità, diretta da Pietro Ingrao (1915-2015), inneggiava ai
carri armati sovietici.
La
sua formazione ha trovato una straordinaria realizzazione nella monografia Il pensiero di A. Banfi (1961), con cui
il pensiero del filosofo milanese è inserito, in modo coerente e rigoroso, nel
contesto internazionale, illustrando le differenti movenze del razionalismo
critico. Questo imprinting riemerge
nell’Antropologia e civiltà di Giordano
Bruno (1968, poi 2006) che costituisce, ancor oggi, un punto di riferimento
per gli studi bruniani perché la filosofia del nolano è declinata alla luce dei
grandi temi della modernità. Lasciando il lavoro giornalistico, Papi diventa
docente di Filosofia teoretica nell’ateneo di Pavia, dove insegna per 35 anni,
dando vita ad una regolare ed originale attività di studio e ricerca,
documentata dai suoi numerosissimi volumi. Tra questi si segnalano gli studi
sul Kant precritico Cosmologia e civiltà,
1969, su Marx Il sogno filosofico della
storia, 1994 e il fondamentale Dalla
parte di Marx 2014, in cui delinea la genealogia critica della
contemporaneità, su Hegel (2000), su Antonia Pozzi (2009 e 2013), sulla
filosofia dell’arte (1992), sul fare filosofico (1998), sull’ontologia (2005),
sul pensiero del nulla (2009), su Bruno (2010), etc. etc.
Intrecciando
pensiero e memoria, Papi costruisce un suo originale stile che matura in Vita e filosofia (1990), in cui la
“scuola di Milano” (Banfi, Cantoni, Paci e Preti) è studiata nelle sue movenze
e nelle sue varie progettualità, volte a costruire una nuova teoresi in grado
di riscattare l’Italia dalla cultura fascista. Fioriscono così indagini sui Racconti della ragione (1998), La memoria ostinata (2005), Banfi, dal pacifismo alla questione
comunista (2007), la formazione in epoca fascista (Per andare dove, 2020 e Figli
del tempo, 2021), etc.
Con
Papi muore l’ultima grande voce della “scuola di Milano” che si intreccia con
la cultura di questa città che già Gramsci, negli anni Venti, segnalava
costituire il “problema Milano”. A Milano esiste infatti una tradizione di
ascendenza internazionale e illuminista che attesta la vocazione europea di
questa metropoli nel momento stesso in cui pone alle forze della sinistra il
compito di costruire una nuova cultura alternativa a quella che nutre il
fascismo permanente della nostra tradizione.
Papi e collaboratori di "Odissea" per il decennale |
FULVIO È QUI
Papi con Aniasi e Scalfaro
Pubblichiamo
la testimonianza di Felice Besostri tenuta al cimitero di Lambrate al funerale
di Fulvio Papi, e il ritaglio dell'Avanti! con l'articolo senza firma di Papi.
Fulvio
è stato, anzi è ancora, un socialista di altri tempi, rigoroso e coerente con i
valori di una scelta, che quando si compie dovrebbe essere per tutta la vita.
Proprio per questo dire d’altri tempi è sbagliato, è di questo tempo perché,
quelli come lui sono essenziali per non far morire la speranza. Basta leggere i
suoi ultimi scritti per capire che il socialismo nella libertà e in democrazia
è una risposta necessaria. Si muore soltanto quando il nome non viene più
pronunciato o anche pensato come ricordo, perciò Fulvio non è morto domenica,
ma è qui con noi e lo sarà per molti anni ancora. Già lo ricorda mia figlia, di
cui ha letto ed apprezzato la tesi di laurea in filosofia e lo ricorderà ai
suoi figli. Una consolazione per la sua cara e amata Marisa, non sufficiente a
colmare il suo dolore, ma renderlo un po’ più lieve sentendo l’affetto che la
circonda di tutti quelli che, insieme a Lei e al figlio Daniele, hanno amato
Fulvio, maestro di vita. [Felice Besostri]
Papi con Aniasi e Scalfaro |
La
presa di posizione della Direzione del Psi sui fatti d’Ungheria riportata sul
quotidiano l’Avanti! Papi in qualità di redattore scrisse un editoriale
molto duro che poi la Direzione fece proprio.
Poeti
PER ANTONIA POZZI
Smarrimento
di tempo e senso
in
una sabbia
privandoti
della luce nell’anima
credevi
alle magie
di
quelle povere parole
che
intensamente guardano
se
si mettono a cercare i misteri
non
lasciandosi increspare
da
fantasie e desideri
L’anima
sì che fugge dalla carne
e
chiede le ali
steli
vivi nel vento delle certezze,
come
l’erba che cresce
per
le notti giovani dei poeti
e
annega in tensione di vento
Leggera
barca fatta di pietra
lasci
gli ormeggi
te
ne vai con la bussola delle stelle
verso
il lago azzurro
portando
la nostalgia di ciò che è vero
e
di ciò che è sognato nel dolore
Barca
poesia madre di suoni
che
provengono
dall’organetto
del cuore
quando
piano s’allontana
e
canta sulla malinconica strada
dove
vanno a morire
le
foglie dei pioppi
Si
chiudono le porte
le
vele si perdono
nell’ultima
sera d’un sogno
Zaccaria
Gallo
Libri
PARTIGIANI
Il
romanzo di Elisabetta Violani.
Un
libro nuovo che spezza il paradigma del romanzo del Novecento. Costruito su
una architettura linguistica incalzante ove i fatti e i personaggi non
lasciano respiro. Coniglio, così chiamato per la sua presunta inadeguatezza ad
un gruppo genovese sbandato sulle montagne del genovese, soffre la sua
diversità (è un disertore tedesco), regge il racconto con le sue paure, le sue
angosce, l'ansia di non sfigurare con i compagni più esperti. Ma si fa
alla fine apprezzare per la sua umanità portando sulle spalle un compagno
ferito e nel preferire il carboncino, che tiene nello zaino e con il quale
disegna la vita che gli appare, al mitra usato dagli altri con perizia. Costruito
sul dialogo incessante e martellante tra i personaggi dell’avventura, con pochi
e rari collegamenti dell’autrice, il romanzo è anche un diario scritto in
presenza durante le peripezie. Il climax o la catarsi per Coniglio coincide con
la fine della guerra e il ritrovarsi con Bruna, la giovane donna che l’aveva
avviato alla lotta partigiana.
Roberto
Taioli
Elisabetta
Violani
Sono
Coniglio, partigiano
Echos
Edizioni, 2021
Pagg. 118 € 13.00.
martedì 29 novembre 2022
A FULVIO PAPI
di
Gabriele Scaramuzza
Papi con Ernesto Treccani
Non ricordo
quando esattamente ho conosciuto Fulvio Papi. O meglio, l’unica data certa (è
Papi a ricordarlo, e la sua memoria è assolutamente inconfutabile) è il 13-14
maggio 1967, a Reggio Emilia, in occasione del Convegno di Studi
Banfiani, di cui furono poi pubblicati gli Atti col titolo Antonio
Banfi e il pensiero contemporaneo da La Nuova Italia a
Firenze nel 1969. Lì c’era sicuramente Papi, e c’ero io; ricordo soprattutto il
viaggio comune di ritorno verso Milano in macchina, con sua moglie Marisa e
Egle Becchi. Non risulta invece comprovata dai fatti (e dai ricordi più
circostanziati di Papi) la mia ipotesi (tenace) di averlo di sfuggita
incontrato prima, a Milano, negli anni attorno al 1962, in cui preparavo
la tesi. Anche dopo di essa continuavo a occuparmi di Banfi, e frequentavo la
casa di corso Magenta 50, dove ancora viveva la vedova Daria
Banfi Malaguzzi.
Tra i primi scritti di Papi che ho
letto, e mi sono rimasti impressi, naturalmente c’è Il pensiero di
Antonio Banfi, indispensabile per la mia tesi, e tuttora insostituibile per
qualsiasi approccio a Banfi. Ho poi letto, ça
va sans dire, gli scritti, numerosi, e comunque imprescindibili, che Papi
ha dedicato al suo maestro, fino a Antonio Banfi. Dal pacifismo alla
questione comunista; e ho anche tenuto conto di sue testimonianze orali,
che ho raccolto in tante conversazioni telefoniche. Sono venuti poi i suoi
scritti sugli allievi di Banfi - da Vita e filosofia (in cui
viene il termine “La scuola di Milano”, corrente poi tra noi tutti) a Gli
amati dintorni e La memoria ostinata. Ma soprattutto ho
amato L’infinita speranza di un ritorno, dedicato alla poesia di Antonia
Pozzi, non pochi scritti narrativi; hanno calamitato la mia attenzione gli
scritti dedicati a Vittorio Sereni, e poi a tanta arte. È strano però
che miei tentativi di parlare di musica con lui sono caduti nel vuoto: una
volta mi ha detto che non se la sentiva di scrivere sulla musica, perché gli
mancavano le specifiche competenze. Cosa su cui non mi sentivo del tutto
d’accordo: temevo che la (pur invidiabile) competenza rischiasse l’affidarsi a
un unico linguaggio, scartandone altri possibili e talvolta necessari.
Papi con Ernesto Treccani |
Ho recensito taluni scritti di Papi,
anche su “Odissea”, e della mia attenzione si è mostrato grato. Mi ha anzi
ricambiato recensendo a sua volta i mei scritti di questi ultimi anni, con una
capacità di penetrazione, una generosità, e una volontà di valorizzazione
unica. Di questo gli resterò nel mio sempre grato.
Concludo risalendo ai suoi ultimi
giorni. Non era in
senso proprio “malato”, viveva rinserrato in casa da anni, senza poter mai
uscire, passeggiare, ritrovarsi sotto gli alberi di fronte al suo amato lago.
Ma era sempre lucido, disponibile, attivo nella lettura e nella scrittura. Ha
scritto fino agli ultimi attimi precedenti il tracollo; è morto scrivendo forse
si può dire; un po’ come in diverso ambito Mitropoulos e Sinopoli sono morti
dirigendo. Progettava una accolta di scritti sotto
il titolo Il tempo e la doppia anima. Sabato 19 l’ho sentito verso sera, ed è stata
l’ultima telefonata: si è parlato del tema delle “Conversazioni di Estetica”
del prossimo anno alla Fondazione Corrente: L’arte e
il sogno, proposto da Silvana Borutti. Ci ha aderito con entusiasmo e ha
condiviso la
partecipazione a esse della sua allieva Monica
Luchi.
La
sua vita sembrava stesse riprendendosi, con intima adesione a sé:
il ravvivarsi della vita ai limiti della morte è un classico; anche se
per lo più non è così. C’è stato in Fulvio Papi un intensificarsi di progetti, della
voglia di fare, al proiettarsi verso un “più che vita” caro a Simmel e a Banfi:
Che gioia si dice siano state le ultime parole di Goethe, e (per
trasposizione non so quanto attendibile) di Antonio Banfi, che su Goethe ci ha
lasciato uno dei suoi saggi migliori. A me è tornata in mente anche l’esclamazione
Oh! Gio…ia! di Violetta prima della ricaduta finale. So che Fulvio, non
verdiano ma sempre disponibile verso i gusti e le ragioni altrui, mi perdonerà
questa conclusione.
RICORDO DI UN MAESTRO
di
Silvana Borutti
Un’allieva di 57 anni fa.
Ricordo del mio Maestro.
Nel
novembre 1965, tra noi studenti del secondo anno di Filosofia (otto in tutto),
si diffuse la notizia dell’arrivo di un nuovo professore di Filosofia morale.
Eravamo in uno studio al primo piano del Cortile delle magnolie, uno dei
cortili più belli del corpo centrale, rifatto nel Settecento per volere di
Maria Teresa d’Austria, dell’Università di Pavia. Ci chiedevamo come sarebbe
stato il nuovo professore (avevamo già avuto come docenti Vittorio Enzo
Alfieri, il vecchio signore con un gusto un po’ antiquato per la filologia del
testo filosofico, Remo Cantoni, l’affabulatore signorile che univa l’antropologia,
la grande letteratura e Merleau-Ponty, Carlo Tullio Altan, l’antropologo che
parlava il linguaggio di una disciplina nuova e molto coinvolgente). Ecco che
un nostro compagno ci dice, compiaciuto per la primizia: il professore è alto,
e ha begli occhi azzurri. L’attesa di uno sguardo azzurro è stato il mio primo
incontro con il mio maestro. Non so perché lo scelsi come maestro, non avendo
io allora alcuna idea o progetto per il mio futuro; so però che lo feci con
convinzione. Pensandoci in questi giorni, fra i miei ricordi è emerso un
frammento di ricordo. Lo voglio però raccontare, questo frammento irrilevante,
perché per me aveva avuto un significato. All’inizio di una lezione di
Filosofia morale, forse nel 1966 (ma sono sicura che fosse martedì, alle cinque
del pomeriggio: la memoria ha degli strani grumi di intensità), il professore
mi rivolse un saluto affettuoso, e vedendomi imbarazzata mi disse qualcosa
come: «Ma non sia così scorbutica!» Non mi sono mai sentita così informe in
vita mia, e credo di aver pensato che avrei dovuto dimostrargli qualcosa; anzi,
a dirla tutta provai un sentimento di sfida.
Il
corso era sull’analisi del linguaggio morale: un affresco dei temi su cui si
stava affermando lo stile analitico del filosofare. Un corso molto à la page,
dunque, ma che Fulvio Papi fece con il rigore e la puntigliosità che gli veniva
dall’ascendenza neokantiana. Quel corso fu come entrare nel mondo dei concetti,
e capire che il linguaggio non parla delle cose, ma della loro traduzione in un
mondo simbolico condivisibile; nello stesso tempo, però, Fulvio ci insegnava
che, se non bisogna avere una concezione realistica, cosale, dei concetti
filosofici, tuttavia la filosofia non è pura astrazione, ci insegnava che c’è
sempre un rapporto tra la pensabilità e la
realtà delle cose.
Per una intelligenza ricettiva, ma informe come la mia, era un bello shock, e
decisi di chiedergli la tesi; era una sfida a me stessa, e forse insieme una
sfida al professore che mi trovava scorbutica.
In
realtà non ho mai riflettuto molto sulla faccenda del maestro, su che tipo di
maestro fosse il professor Papi. Ma molti anni dopo, in una conversazione con
Giorgio Lunghini, anche lui maestro di generazioni di economisti, rispondendo a
una sua domanda, finii per far emergere dei tratti di Fulvio come maestro:
tirai fuori alcuni aspetti di come lo ho immaginato come maestro, e che cosa ho
creduto di imparare da lui. Lunghini mi chiese allora: «È finito il tempo dei
maestri?»
E
ci mettemmo a ragionare su cosa sia un maestro, e se ce ne siano ancora in
circolazione. Io ragionavo ovviamente pensando a Fulvio, e dissi che un maestro
è qualcuno che esercita il magistero in un’alchimia di distanza e vicinanza, e
che insegna il valore del tempo nella formazione. Me ne ricordo, perché poi
scrissi anche qualche pagina sul tema.
Che
il magistero avvenga nella distanza e insieme vicinanza tra maestro e allievo,
è cosa di cui ci accorgemmo subito, noi allievi di Filosofia morale nel
1965/66. Noi ragazzi sapevamo che il professore veniva da un’altra storia, che
aveva la distanza esperienziale di una vita vissuta secondo diversi registri
del sapere e del saper fare, che non sapeva solo fare delle belle lezioni, ma
aveva ricoperto ruoli rilevanti nella vita pubblica; che aveva un pensiero
politico e una preoccupazione civile. Aspetti che lo rendevano più interessante
e meno professorale. Credo che questi aspetti fossero importanti nel dettare lo
stile del suo magistero, uno stile distaccato e insieme attento. Tanto che io
mi facevo un punto d’onore a non chiedere troppo al professore: sprovveduta
com’ero, avevo però probabilmente capito la sua sapienza nel darsi e nel
sottrarsi, per costringere l’allieva che io ero all’autonomia e alla scelta di
un proprio percorso di pensiero. È del resto un fatto che Fulvio Papi ha avuto
una scuola numerosa, ma i suoi allievi non l’hanno imitato, hanno seguito ciascuno
la propria strada. E ciascuno l’ha interiorizzato a suo modo.
Il
tempo è l’altro elemento rilevante nella sua opera educativa. Nelle nostre
frequenti conversazioni, quando mi fui un po’ liberata del mio carattere timido
e scorbutico, lui ed io tornavamo spesso a ragionare sul tempo di una vita,
delle sue contingenze, delle sue tensioni simboliche e progettuali, e delle sue
cadute di persuasione. Così il maestro mi liberava dall’affanno delle accelerazioni
artificiali, delle “full immersions”, e mi incoraggiava a prendermi il tempo
della comprensione e della formazione, della Bildung intesa come progetto che
si forma nel tempo e che dà forma al tempo. Del resto, con un altro maestro,
Mario Vegetti, avevo letto nel Fedro la faccenda dei giardini di Adone,
che sprecano i semi in una fioritura velocissima, nella stagione sbagliata. Quanto
alla domanda «È finito il tempo dei maestri?», questa domanda portò Lunghini e
me a riflessioni un po’ negative, e forse un po’ banali, sull’eclisse dei
maestri. Ma una considerazione resta vera: nell’epoca dei maestri televisivi e
dei loro best-sellers, la preoccupazione dell’imitazione, del diventare come
lui, prevale sul tempo della formazione e dell’identificazione, prevale sul
tempo del diventare con lui,
approfittando della sua distanza esperienziale. Non saprei dire compiutamente
come sono cambiate le figure magistrali all’epoca della televisione e di
Internet; so però che Fulvio Papi è riuscito a restare un Maestro anche quando
cucinò un risotto parlando di filosofia con Andrea Pezzi, nella trasmissione
televisiva “Kitchen”.
MANOVRA POLITICA
di
Franco Astengo
La
neo-Presidente del Consiglio lo ha rivendicato con "chiarezza":
questa è una manovra politica. Di conseguenza si tratta di una manovra di
destra, da valutare non tanto e non solo con il bilancino del peso in cifre dei
vari provvedimenti ma - appunto - della loro scaturigine politica, e di
conseguenza sociale vista la matrice "storica" degli estensori. Una
manovra di impostazione ideologica (si veda la questione delle modifiche
dell'opzione donna in materia di pensioni) e corporativa con il deficit
orientato ad aiutare le imprese (abolizione progressiva del reddito di
cittadinanza, flat tax incrementale per gli autonomi, detassazione dei premi di
produttività venduta come versione "tassa piatta" per i dipendenti). Qualche
venatura populista (marca Forza Italia) la si ravvede nella rimodulazione della
rivalutazione delle pensioni.
In
realtà è la rivendicazione "politica" che appare davvero
controcorrente: un richiamo di distacco verso la linea del governo Draghi verso
la quale Fratelli d'Italia compì un'abile "opposizione di Sua
Maestà". Una rivendicazione di appartenenza, quella della manovra
politica, rivolta soprattutto ad approfittare del vuoto di espressione del PD
che annuncia una mobilitazione di piazza scoprendosi per adesso privo di
obiettivi: mentre il M5S può sbandierare comunque la difesa ad oltranza del
reddito di cittadinanza come punto di appoggio nella lotta contro la povertà. L'opposizione
paga ancora l'assenza di visione complessiva, già pagata nel corso dell'amorfa
campagna elettorale. L'opposizione alla manovra dovrebbe essere accompagnata
anche da una forte iniziativa politica sulle grandi questioni di politica internazionale:
prima fra tutte la richiesta della pace e di nuovi equilibri individuando e
respingendo l'azione più pericolosa che questo governo sta compiendo: quella di
voler far coincidere la NATO con l'UE che significa assieme sudditanza USA e
spostamento a Est dell'asse europeo.
Torniamo
però all'assenza di visione al riguardo dello specifico della critica alla
manovra di bilancio. Un'assenza di visione che riguarda soprattutto i temi
delle scelte da compiere sul piano sociale che dovrebbero precedere quelle da
compiersi sul piano delle poste di bilancio con l'abbandono di ipotesi concrete
di programmazione economica rivolta nel senso del riequilibrio: prima fra tutte
la patrimoniale, di seguito la riduzione delle spese militari, la
programmazione industriale (esiste un'enorme questione di iniziativa pubblica
sui grandi nodi dell'industria: primo fra tutti quello riguardante la
siderurgia); la destinazione del surplus delle aziende energetiche che dovrebbe
essere destinato a fronteggiare la crescita dell'inflazione ( con il ripristino
anche temporaneo di un meccanismo di scala mobile) e ancora l'espressione di
una chiara visione del PNRR rivolto alle priorità del deficit infrastrutturale,
delle energie alternative e del riequilibrio Nord/Sud.
Non
secondaria sarebbe un'espressione di forte opposizione alle grandi opere:
"in primis" il dannato Ponte sullo stretto.
Musica
L’ARTE DELLA FUGA
Al
Museo Bagatti Valsecchi.
Al
Museo Bagatti Valsecchi di Milano si è svolto un interessante concerto inserito
nella stagione musicale-letteraria dedicata alle donne. Questa grandiosa opera
di J.S. Bach ha fatto da pretesto per parlare di una “grande donna” che
affianca un “grande uomo”. Parliamo di Anna Maddalena Bach, seconda moglie del
sommo compositore, sono stati letti alcuni brani tratti dalla “Piccola Cronaca
di Anna Maddalena Bach” in cui Maddalena racconta dal suo punto di vista la
genesi dell’Arte della fuga, un racconto intenso e partecipato fatto
dalla moglie premurosa che ha supportato e amato il “genio” anche in questa
prova compositiva impegnativa, l’ultima di Bach. Graziella Baroli, che ha
presentato il concerto, ha esortato il pubblico a non farsi intimorire da
quest’opera così complessa dal punto di vista compositivo ma a farsi trascinare
dalla musica e a lasciarsi andare in un mondo di sensazioni, di sogni e
pensieri, e per meglio realizzare questo ascolto è stata letta una poesia di T.
S. Eliot tratta dalla raccolta di poesie Quartet. Quattro sono le voci
delle fughe e quattro sono gli strumenti che le realizzano: due violini, viola
e cello, il violone e il cembalo fanno da ripieno.
Momento
di grande impatto la fine dell’ultima fuga che è incompleta perché Bach morì
prima di portarla a compimento. A questo punto per sottolineare l’anima
religiosa del compositore è stato letto Il Magnificat tratto dal vangelo di San
Luca, di cui esiste anche un bellissimo commento fatto da Lutero. Grande
successo di pubblico, la sala piena e purtroppo alcune persone non hanno potuto
entrare.
Gli
interpreti:
Giambattista Pianezzola e Claudia Monti violini, Marco Calderara viola, Claudio
Frigerio violoncello, Nicola Moneta violone, Graziella Baroli cembalo, Anna
Cernuschi voce recitante.
PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI
Più
libri più liberi è la Fiera Nazionale della Piccola e Media
Editoria e si svolge a Roma nel mese di dicembre. Più
libri è la prima fiera italiana dedicata esclusivamente all’editoria
indipendente dove ogni anno circa 500 editori, provenienti da tutta Italia,
presentano al pubblico le novità ed il proprio catalogo. Cinque giorni e oltre
650 eventi in cui incontrare gli autori, assistere a reading e performance
musicali, ascoltare dibattiti sulle tematiche di settore.
I
Libri per la pace
Mimesis
Edizioni sarà presente con gli ultimi libri di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici
scritti in collaborazione con molte altre personalità del mondo della cultura,
della politica, dello spettacolo, dell'attivismo sempre in prima linea per la
pace e i diritti umani e contro ogni guerra e prevaricazione imperialista.
I
principali titoli presentati da Mimesis Edizioni sono Riace. Musica per l'umanità,
il celebre libro con intervista a Mimmo Lucano che è stato presentato in RAI da
Fabio Fazio nella molto seguita trasmissione Che Tempo che fa. Poi sarà esposto
Memoria e Futuro un autentico manuale di nonviolenza attiva con gli
scritti di grandi uomini di Pace da Moni Ovadia a Alex Zanotelli a Vittorio
Agnoletto. E non ultimo il libello Resistenza e Nonviolenza creativa
che rappresenta una analisi descrittiva di azioni di donne e uomini più o meno
celebri portatori di impegno contro la dittatura nazifascista, ma anche in
epoca contemporanea, che hanno dato il loro piccolo e grande contributo per la
pace, per i diritti umani e per un mondo libero da totalitarismi e ingiustizie
e prevaricazioni sociali.
Pamphlet
Ecologico
è il libro postumo di Virginio Bettini a cura di Laura Tussi, Fabrizio
Cracolici e Maurizio Acerbo con scritti di Paolo Ferrero e del giovane
accademico e ricercatore di professione in un istituto universitario in Scozia
David Boldrin Weffort che fin da piccolo ha conosciuto e si è formato sui saggi
e i libri del noto ecologista di fama mondiale Virginio Bettini. Bettini sempre
inserito nelle commissioni di inchiesta a livello mondiale contro il nucleare,
insieme a Laura Conti, Barry Commoner, Alex Langer e Giorgio Nebbia. Saggio
fondamentale. La follia del nucleare: come uscirne con la rete ICAN,
campagna per il disarmo nucleare universale insignita del Premio Nobel per la
pace 2017 di cui tutti noi attivisti per la pace e la nonviolenza siamo
testimoni e instancabili promotori.
E
dulcis in fundo un Romanzo di
Oliviero Sorbini dal titolo Le Rivelazioni. Un suggestivo racconto di
narrazione che presenta una metempsicosi di vite e di ideali tra più
protagonisti che rappresentano la molteplicità di noi attivisti che lottiamo
contro le estreme minacce che incombono sull'umanità: la guerra e il nucleare,
i dissesti climatici, la disuguaglianza sociale globale e per comprendere il
tutto, la violenza strutturale contro i più fragili del pianeta.
Il
progetto: Più libri più liberi.
L’obiettivo
è quello di offrire al maggior numero possibile di case editrici uno spazio per
portare in primo piano la propria produzione, spesso “oscurata” da quella delle
imprese più grandi, garantendogli la vetrina che meritano.
Una vetrina d’eccezione nella capitale. Il vero cuore della fiera è
il programma culturale: incontri con autori, reading, dibattiti su
temi di attualità, iniziative per la promozione della lettura, musica e
performance live scandiscono le cinque giornate della manifestazione in una
successione continua di eventi.
[L.
T.]
lunedì 28 novembre 2022
MONTE DI PIETÀ
di
Franco Astengo
Il palazzo del Monte di Pietà di Vicenza
I
giornali locali titolano "Code al Monte dei Pegni, lite tra i clienti,
picchiata un'anziana". Succede a Savona piccola e tranquilla città di
provincia post- operaia, in declino economico e di identità: età superiore alla
media (la provincia è la più longeva d'Italia), immigrazione minima, lunghe
file di negozi chiusi in particolare nelle vie che collegano il centro alla
periferia.
Il
Monte dei Pegni corrisponde all'antico Monte di Pietà dove i poveri
"impegnavano" i pochi beni in cambio di denaro utile per le spese
quotidiane; beni che poi si cercava di riscattare mesi dopo con grande fatica
e, qualche volta, con il risultato di vederseli battuti all'asta. Si impegnava
di tutto: in particolare, nella forma classica, la biancheria o le posate e le
stoviglie magari ricevute come dono di nozze. Allora "Il Monte" si
trovava in pieno centro storico, in un palazzo avito che oggi ospita un
importante museo: anche in quel tempo si vedevano le code per depositare e riscattare,
parte di un indimenticabile panorama umano. Adesso ci troviamo oltre allo
stadio dei "Compro oro": siamo al segno di una povertà diffusa,
magari vissuta dignitosamente da anziani rimasti soli, una "povertà da
giacche rivoltate" come accadeva un tempo di cui sembrava persa la
memoria. Roba da anni'50, da quel neorealismo di cui Andreotti, grande
interpreta della censura di un'Italia dalla facciata perbenista, diceva "i
panni sporchi vanno lavati in casa". Tutto questo accade nel Nord del
Paese, alla vigilia del luccichio natalizio, con attorno la vacuità di un
presunto turismo marino, anche in questo caso molto di facciata nell'affannarsi
della reciproca voracità dello spendere e dell'accumulare da parte delle
categorie espressioni della modernità di un corporativismo ben espresso dal
recente voto politico.
Una
città, Savona, dalla borghesia ricca che ha storicamente riempito le banche
senza investire con gli imprenditori venuti dall'estero per lanciare
l'industria alla fine dell'800. Una città, Savona, che ha vissuto davvero la
lotta di classe condotta da quella che si definiva "classe operaia forte,
stabile, concentrata" poco incline anche verso il consumismo degli anni '60.
Una
città nella quale le disuguaglianze continuano sottilmente a crescere avendo
come risultato larghi vuoti soprattutto nel "lineare" centro
ottocentesco, modellato sulla Torino anni'30-'40 del XIX secolo e di
conseguenza sulla Parigi di allora : appartamenti sfitti e in decadenza,
facciate antiche ormai consunte in un panorama dove spuntano ancora gioielli
liberty accanto all'invasione del cemento risalente alla frenesia degli anni
del grande scambio della deindustrializzazione/speculazione edilizia, la cui
espressione più evidente rimane la noia dell'essere punto di passaggio della crocieristica
fiera delle vanità. La lite davanti al Monte dei Pegni sembra l'emblema di una
"pervasività" del declino. Amministratori di buona volontà stanno
cercando di fronteggiare questo stato di cose soprattutto recuperando alcuni
importanti contenitori storici e da lì tentare il modellarsi di una nuova
identità. Un tentativo da incoraggiare con fiducia: rimane però la sensazione
dell'antico che afferra il nuovo e cerca di trascinarlo nel ritorno alla triste
povertà di un tempo lontano mentre rimane il ricordo delle ciminiere da cui
usciva il fumo degli altiforni: laddove stava la Savona del lavoro.
Il palazzo del Monte di Pietà di Vicenza |
L’IMPEGNO FILOSOFICO E CIVILE DI PAPI
di
Franco Toscani
Papi con Roberta De Monticelli
alla Sala del Grechetto per il
decennale di Odissea il 27 settembre
del 2013
Non
è qui possibile render conto in termini esaustivi della grande passione
filosofica, culturale, politica e civile di Fulvio Papi (1930-2022),
testimoniata anche dalla sua sterminata bibliografia (pensiamo ad esempio ai
suoi libri su Bruno, Kant, Marx, Hegel), dal suo lavoro di docente
universitario, dalla sua attività di conferenziere, dai suoi interessi
politici. In tempi lontani assunse pure, grazie alla collaborazione con Lelio Basso
e Riccardo Lombardi, la vicedirezione dell'Avanti! Filosofo e storico
della filosofia, allievo di Antonio Banfi, proprio sul suo maestro Papi ha
scritto in numerose occasioni testi di assoluto rilievo (qui ricordiamo
soltanto la monografia Il
pensiero di Antonio Banfi, Parenti Editore, Firenze 1961), non a caso focalizzati
spesso sul rapporto tra pensiero e azione, vita e filosofia. Proprio Vita e filosofia. La Scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci,
Preti è
il titolo di un altro suo libro uscito nel 1990 presso Guerini e Associati che
ci fa comprendere molto di quella "Scuola di Milano", sorta a partire
dall'insegnamento di Banfi, alla quale lo stesso Papi appartiene e che
costituisce un filone assai importante e stimolante nella storia della
filosofia italiana della seconda metà del XX secolo (cfr. anche AA. VV., Sulla Scuola di Milano. Antonio Banfi e Valentino Bompiani nella
cultura e nella società italiana dalla dittatura alla democrazia, a cura di F. Minazzi,
Giunti, Firenze 2019). Sino all'ultimo, Papi ha mantenuto viva la sua passione
politica e civile, mi riferisco qui a quello che probabilmente è il suo ultimo
scritto, pubblicato pochi giorni prima della morte il 17 novembre 2022 dalla
rivista milanese on line "Odissea"
(diretta da Angelo Gaccione) e intitolato in modo eloquente Quando finirà la guerra?, in cui si interroga con inquietudine sulle
prospettive e sulla possibile fine della guerra in Ucraina scatenata
dall'invasione russa del 24 febbraio 2022. In particolare, qui il filosofo
(triestino d'origine e milanese di adozione) pone l'attenzione sui pericoli dei
nazionalismi e sovranismi odierni, sull'esigenza della sicurezza e della
tolleranza, di una pace da raggiungere sulla base della possibile reciprocità
di un'idea di giustizia; poi anche sulla sproporzione, sul contrasto e divario
tra l'attuale straordinaria potenza scientifico-tecnologica e il grado di
consapevolezza etica dei popoli e dell'umanità nel suo complesso. Papi si pone
tra coloro che "non contano niente" e che però non cessano di
aspirare a un più degno abitare dell'uomo, secondo una tensione etico-politica
irriducibile, la quale non può che essere critica nei confronti delle forme
date del potere politico. Per mettere in risalto la statura, l'atteggiamento e
l'onestà intellettuale di Papi, concludo queste brevi note rammentando un
episodio di cui egli fu testimone, riguardante il suo amico filosofo Franco
Fergnani, un altro allievo di Banfi che insegnò presso la Università statale di
Milano tra l'inizio degli anni Settanta e la fine del Novecento. L'episodio è
davvero emblematico e significativo, merita a mio avviso la massima attenzione.
Rievocando la figura di Fergnani (morto nel 2009 e sul cui pensiero sono in via
di pubblicazione gli Atti del convegno di studi organizzato presso l'Università
dell'Insubria di Varese, a cura di Fabio Minazzi), Papi riferisce di quanto
avvenne durante la discussione della tesi di laurea di Fergnani sulla
interpretazione marxiana della Fenomenologia
dello spirito di
Hegel, in cui l'autore della tesi ammetteva apertamente, a più riprese, di
fronte al maestro Banfi i limiti e le insufficienze del proprio lavoro. Papi
commentò l'episodio sottolineando che durante la discussione delle tesi di
laurea non si era mai vista una cosa del genere, a testimonianza della
rettitudine morale e intellettuale di Fergnani. Papi stesso, inoltre, ammise
apertamente di aver imparato molto da Fergnani, negli anni dei loro studi
giovanili, circa l'interpretazione del pensiero hegeliano. Purtroppo non ho mai
frequentato Papi, ma negli ultimi anni, soprattutto grazie alla intermediazione
di Gaccione e alla collaborazione comune con "Odissea", ho potuto
avere con lui un fruttuoso scambio e confronto intellettuale, importanti segni
di riconoscimento e di affetto, che mi confortano. Con Fergnani e con Papi se
ne vanno altri due grandi vecchi della filosofia italiana, maestri non solo di
filosofia, ma anche di umanità, di concreta verità umana, di pensiero vissuto,
aperto, libero e antidogmatico, ricco di relazioni e di rapporti.
Papi con Roberta De Monticelli alla Sala del Grechetto per il decennale di Odissea il 27 settembre del 2013 |