Valchirie rosse:
una lettura commovente. Valchirie
rosse, la rivoluzione nell’est europeo (Donzelli
editori, 193 pagine) racconta le vite avventurose e originali di cinque donne
fantastiche, rivoluzionarie e femministe socialiste riscoperte, guarda il
destino, da Kristen R. Ghodsee docente statunitense di Studi russi e dell’Est
Europeo all’Università della Pennsylvania. Non che fossero sconosciute,
Aleksandra Kollontaj è stata una grande protagonista della rivoluzione bolscevica; Nadezda Krupskaja è
nota come moglie di Lenin e questo ha offuscato, come sempre accade, la sua
abilità di straordinaria organizzatrice e la sua tenace militanza
rivoluzionaria; anche Inessa Armand, poliglotta, valente collaboratrice di
Lenin e audace militante si è conquistata una certa fama. Meno nota è Ljudmila
Pavlicenko infallibile cecchina antinazista mentre è rimasta quasi sconosciuta
in occidente la bulgara Elena Lagadinova scienziata e leader del Movimento
globale delle donne sino alla caduta del muro di Berlino. Oltre
all’instancabile militanza rivoluzionarie a unire le loro vite è stato
l’impegno costante per l’uguaglianza delle donne nella vita, nella politica,
nel lavoro, nell’amore e nella Storia. Allora perché queste splendide amazzoni
non sono state più valorizzate dal femminismo nostrano? Perché sono rimaste
“fedeli alla linea” nonostante tutto, nonostante la testardaggine dell’uomo al
potere, fosse Lenin o Stalin o Breznev. Lo ammette la stessa autrice: “La
sottomissione di Nadezhda Krupskaja e di Inessa Armand alla causa (specialmente
alle richieste di Lenin) mi disturba perché è emblematica di una dinamica
patriarcale, che oggi le attiviste rigettano in quanto sessista e ingiusta”.
Se, infatti, invece di avventurarsi dietro l’uomo del destino di turno con
dedizione assoluta avessero osato difendere non solo i diritti delle donne e la
loro emancipazione ma andare oltre e dare un valore rivoluzionario al pensiero
delle donne, si si fossero concesso quel pizzico di autostima in più forse il
mondo oggi sarebbe diverso. Ma ognuno vive il suo tempo e il suo luogo e nella
Russia dell’inizio del secolo la vita media era di 30 anni e per lottare
bisogna almeno avere la possibilità di vivere.
Nadezhda Krupskaja
Queste donne hanno visto la
realtà nella quale vivevano e hanno pensato che non ci poteva essere libertà
per le donne se non insieme alla libertà di tutti. In questo hanno creduto
senza paura e senza arrendersi al carcere, ai dittatori, alla malattia, alla
fatica e neanche al “doppio turno” che ancora oggi pesa sulla vita delle donne
e che loro hanno cercato di alleviare per dare a tutte il diritto alla libertà.
Si sono battute affinché le donne avessero diritto all’istruzione, agli asili
nido, alle mense aziendali e a lavanderie pubbliche che avessero insomma tempo
per vivere lottare pensare amare. Ma hanno fatto anche molto di più. Per
resistere al peso dei molteplici compiti pubblici e privati che si erano date
si erano inventate un mondo di relazioni del tutto nuove con i mariti. i figli,
gli amanti e le compagne di lotta che sono state sorelle e anche amanti,
riuscendo grazie a questo rivoluzionario modo di intendere le relazioni a fare
tutto e anche di più, persino una rivoluzione. Peccato che quella rivoluzione
sia miseramente implosa settant’anni dopo quegli sforzi e quei sacrifici. Di
loro cosa resta? Intanto l’averci provato a combattere e denunciare il modello
capitalista liberista che oggi sta portando il pianeta alla rovina e forse noi,
donne di occidente, dovremmo fare tesoro della loro “lezione di umiltà”. Quella
che, piaccia o no, ha contribuito a far vincere quella rivoluzione e forse
potrebbe aiutarci a vincere la nuova sfida che ci si para davanti, perché solo
un mondo di donne in lotta potrà illuminare il futuro. Noi femministe
d’occidente dobbiamo cambiare attitudine. Basta puntare sul proprio ruolo
individuale, su di sé come individue, che poi è il lascito ingannevole del
capitalismo, sul credere di diventare personaggi perché abbiamo messo una foto
su Tik Tok o Facebook, o perché il nostro saggio è stata pubblicato, o perché
saremo elette in Parlamento. Non puntiamo mente e passione sul fare la
rivoluzione ma finiamo per accontentarci di un piccolo o grande primato
personale, di quel piccolo plauso che compiacerà il nostro orgoglio, se ci
accontentiamo, ma certo non cambierà l’abisso nel quale l’umanità sembra
impazienza di precipitare.