Chiunque sia andato almeno una
volta alla Fondazione “Corrente” di Ernesto Treccani in via Carlo Porta, non ha
potuto fare a meno di vedere quel celeste, ora sbiadito della facciata, e
quella marea di piastrelle che ricoprono l’intera superficie sulle cui
striature di colore svolazzano sagome nere di rondini. Il pittore che l’ha
abitata e dove ha dipinto fino alla morte ha voluto battezzarla proprio col
nome poetico di Casa delle rondini. Non deve sorprendere: molti lo
ignorano, ma Treccani ha scritto e pubblicato poesie ed ha avuto una spiccata
sensibilità per il verso poetico. In fondo le sue rarefatte e lievi pennellate
che fissano, con pochi ed essenziali tratti, elementi del mondo naturale, sono
vera e propria poesia dipinta. Un canto poetico. La prima volta che approdai in
via Carlo Porta rimasi deluso: mi aspettavo un palazzotto antico e un tripudio
di rondini di ogni dimensione. Si trattava invece di un edificio civile del
dopoguerra per nulla attraente, e se non fosse stato per le duemila piastrelle
che lo adornano con le sue rondini e le vibrazioni di colore, sarebbe passato
inosservato ai miei occhi. Non so se Ernesto con il suo intervento abbia inteso
proprio eliminare quell’anonimato che la sua casa presentava al passante.
Qualcuno ha sostenuto che il suo è stato un dono alla città di nascita, un
gesto amoroso. Il lavoro lo ha impegnato per un discreto numero di anni, dal
1980 al 1986, e in questo c’è certamente della passione, dell’affetto per gli
altri, oltre che orgoglio di sé stesso. In fondo a godere della vista sono i
cittadini milanesi e quanti transiteranno per quella strada.
Ma lo si legge
chiaramente nei versi poetici che il pittore ha voluto incidere di suo pugno su
un ovale, anch’esso in ceramica, murato di fianco. Versi che devono dare al
passante il senso di quell’abito leggiadro con cui ha rivestito la sua
casa: “Se
alzi gli occhi, un poco meno in alto del cielo vero, troverai un altro cielo
terreno. È il sogno di un pittore per la sua città”.