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giovedì 8 dicembre 2022

LA “CARTOGRAFIA AUDACE DELLE ALLODOLE”
di Gabriella Galzio



 
Nel tentare un approfondimento della scrittura di Claudio Zanini, occorre sempre tener presente che in questo autore convergono più anime espressive: la poesia, il romanzo e le arti visive; e che in tutte e tre si agita uno spirito filosofico e scientifico inquieto. In questo libro di poesia in particolare - Ansiose geometrie - si va dalla teoria della curvatura spazio-tempo alla fisica quantistica, dalle geometrie non euclidee all’aritmetica dell’infinito, sempre nella percezione del carattere illusorio di ogni apparente conquista (“illudersi”, “illusorio”, “enigma” essendo – insieme a “pensiero” – parole chiave del lessico ricorrente del libro).
Intanto il titolo reca l’impronta ossimorica che permea tutta la raccolta, laddove all’ossimoro (figura della poesia) corrisponde il principio di contraddizione (figura della filosofia). Quindi siamo catapultati tra aporie, antinomie, enigmi, teoremi irrisolti – finito-infinito, visibile-invisibile, apparire-essere – e se il pensiero è lucido per il filosofo che osserva il confine con la mente, l’ansia dell’oltre è del poeta che quel confine abita con tutto il suo sé emozionato, laddove “ci si chiede se sia veramente/ esangue la geometria delle figure, / ed incorporea la sostanza loro”. E sono ansiose le sue geometrie poiché il poeta si pone sulla “soglia di un altrove/ informulato laddove naufraga il pensiero”. Come non sentire in questo naufragio lo stesso vago infinito di Leopardi, come in questi due versi: “dolce è tuttavia sostare laddove il confine è vago/ sommersi dall’onda temporale che trascorre.”
L’altro grande immaginario poetico è certamente Borges, con i suoi labirinti e realtà parallele e la biblioteca infinita tra verità e finzione, immaginario borgesiano che informa anche la narrativa di Zanini e i suoi enigmi. E anche in poesia assistiamo alla comparsa di personae – il cartografo valente, il matematico, il chierico geometra, il calligrafo di vaglia – che nella narrativa si svilupperebbero in veri e propri personaggi. 


 

Ma prima ancora predomina il pensiero che parla in terza persona al tempo presente della registrazione oggettiva dei fenomeni; cui si accompagna una lingua caratterizzata da limpidezza di comunicazione che si addice al nitore filosofico quasi incline all’aforisma. Se dunque oscuro, ignoto ed enigmatico appare il volto invisibile del reale, chiari sono i versi che illuminano il mondo degli oggetti. Non c’è posto per l’io in questi versi, le cui ansie vengono proiettate proprio sugli oggetti, così “ansiose geometrie” o “tenerissime aporie” o misteriosi “occhiali smessi” che continuano a guardare prendendo ad animarsi come creature che sfuggano al loro creatore e a lui si ribellino come i triangoli che si vendicano e feriscono un supporto cartaceo indifeso, o come i numeri detti irrazionali poiché “dediti ai turbamenti della passione”.
Nella sfida del perturbante alla chiarezza razionale c’è tutta l’ansia del poeta che ora tenta di opporre un baluardo all’eccessiva vastità, ora ne è pericolosamente attratto, tentato a evadere da quella “miope strategia di reclusione”. E questa tensione tra il bisogno di contenimento razionale e l’insofferenza di spezzarne i vincoli è palpabile, tanto in poesia (si legga a p. 27), quanto nei romanzi, dove si fronteggiano luoghi chiusi come istituzioni totali e spirito di rivolta (v. La carrozza n. 7 dove la questione del potere è centrale).



Quanto all’abitudine alla perfezione in Zanini è dunque un’abitudine inquieta, contrastata, combattuta, poiché all’”aurea perfezione” egli preferisce “un’aura stupefatta”. E che la bellezza non risieda tanto nella perfezione delle forme, ma che “il giardino più bello è l’incompiuto”, trova riscontro anche nel finale dei romanzi che ci consegnano a un senso di apertura. Così in Ansiose geometrie il poeta si affida alla “cartografia audace delle allodole: / alla misura irridente del loro canto. Un canto, quello di Zanini, retto da assonanze e rime interne, in una versificazione libera di versi più lunghi che brevi, più intenta a seguire le volute del pensiero che non una metrica regolare. E caso mai incline all’inversione sintattica (p.es. del soggetto “Folgorante appare l’intuizione del geometra” oppure “nell’artificio illusorio della luce, varco”).
Ma forse tra parallele, triangoli, quadrangoli e numeri irrazionali merita infine un’attenzione particolare l’ambivalenza che l’autore riserva al tempo: perché da un lato “il tempo non è percorso lineare, ma/ forse ritorna, come il volgersi dell’onda/ che di sé ribagna lo stesso lido,/ si ritrae e, quindi, fluisce nuovamente”, consegnando il tempo, e noi con esso, alla speranza in un’eterna rinascita; ma dall’altro il tempo “non può volgendosi ritrarsi e/ guardando indietro prova nostalgia e dolore”. Ed è in questo umanizzarsi del tempo che, dopo un’intera testimonianza in terza persona, l’ultimo verso del libro si chiude con un “noi”, accomunati in un destino ineluttabile: “Noi siamo figli suoi e lui, Crono, avido ci divora.”



Claudio Zanini
Ansiose geometrie 
Edizioni Nulla die, Piazza Armerina (EN) 2022.
Pagine 72