Trieste. Ieri
pomeriggio (21-12-2022) sono passata
in via Ghega a Trieste. Ero di fretta e avevo le borse della spesa pesanti, ho
superato due piccole targhe quadrate di bronzo incastonate sul marciapiede
davanti al portone di un palazzo. Per la fretta avevo proseguito per venti
metri. Poi mi sono fermata ed ho deciso di tornare indietro e leggere cosa era
scritto su queste piccole targhe. Anche perché ricordavo il racconto di
un ragazzo palestinese che le aveva viste in Germania e fotografate. Aveva poi
raccontato le sensazioni di una persona che ha vissuto la persecuzione e si è
poi trovata di fronte alla targa commemorativa di persone ebree che hanno
vissuto la persecuzione nazista in Germania. Mi sono fermata sopra le due
targhe, ho scattato due foto, però sono rimasta per alcuni minuti ferma lì
inchiodata sul posto persa e combattuta in mille pensieri confusi e sentimenti
contradittori. Ad un certo punto ho fatto un respiro profondo ed ho acceso una
sigaretta. Ho allargato il collo del cappotto che mi soffocava ed ho lasciato
ai miei pensieri la libertà di esprimersi in libertà... Sinceramente
proprio ieri mi ero svegliata molto presto, erano le 5, e acceso il cellulare
avevo scoperto che un prigioniero palestinese malato di cancro era morto all’ospedale.
L’occupazione aveva dato alla madre il permesso di vederlo solo quando era già
in coma. Poi hanno deciso di sequestrarne il corpo. Malgrado non fosse un
evento nuovo, anzi succede tutti i giorni in Palestina, ero rimasta molto male
di fronte a tanta cattiveria umana. Nel frattempo, nonostante tutto, non
riuscivo ad ignorare quelle targhe per due persone che esistevano ed erano
state uccise solo per il fatto di essere ebree. Pensavo a chissà quante volte
ero passata su quel marciapiede e avevo calpestato le targhe senza
accorgermene. Erano lì ed è tutto quello che rimane di persone che esistevano e
sono state eliminate solamente per la loro etnia o religione, etnia o religione
che loro non avevano scelto ma appartenuta loro per nascita come a tutti noi
abitanti di questo pianeta. Cosa sentiranno e penseranno, come me adesso, nei
confronti dei palestinesi o dei libanesi e dei siriani che ogni santo giorno
subiscono la violenza dall’entità sionista che parla a nome di tutti gli ebrei del
mondo? A dir la verità non sono riuscita ad andare oltre quelle targhe e
spero di non aver mai calpestato i loro nomi per rispetto alla memoria delle
vittime della ferocia umana. E soprattutto spero che ci siano tanti, moltissimi
ebrei soprattutto israeliani, che conservino ancora memoria e umanità, e che
nutrano questi stessi sentimenti nei confronti delle vittime in Palestina. È
molto importante che tutti, nonostante il male stia flagellando l’umanità,
conserviamo la nostra coscienza e rimaniamo umani. Mouna Fares
* PALESTINESI E MARTIRIO
Nasser Abu Hamid
Sono Nasser Abu Hamid. Ho messo il mio
nome nei libri di storia 3 decenni fa. Nella prima intifada, il mio nome era
una metafora della rivoluzione, quando le donne erano orgogliose dei loro
figli, dicevano che Assad sarebbe diventato come Nasser. Potevo sopportare l’insopportabile,
ma non potevo sopportare nemmeno per un momento un traditore. Mi sono ammalato
di cancro per negligenza medica, non sono come te, e non posso andare in
ospedale ogni volta che sento dolore, non posso aprire la finestra quando tutti
nella stanza si accendono le sigarette. Ma Dio mi ha sempre salvato. Come se mi
volesse per qualcos’altro! Ho trascorso più di due terzi della mia vita in
prigione, non importa, se non vado in prigione per amore della libertà, allora
a che serve la libertà? Sono stato sottoposto a un tentativo di omicidio all’inizio
della mia giovinezza. Una dozzina di proiettili hanno trafitto il mio corpo. Il
mio corpo ha ceduto alla morte in quel momento, ma la mia mente non ha accettato
la morte e la terra era ancora occupata. Quando è scoppiata la seconda
Intifada, tutti i miei progetti sono stati cancellati, non posso sposarmi, non
posso aprire un’attività privata o una casa, non posso dormire, la patria
chiede uomini e chi più di me può rispondere alla chiamata della patria! Non ho
fallito nemmeno una volta nell’affrontare il terrorismo israeliano, chiedi alla
mia pistola, Bisan, e ti dirà cosa abbiamo fatto insieme. È stata sottoposta a tre tentativi di omicidio durante l’intifada di
Al-Aqsa. Ora sono malato terminale e alla mercé del mio carceriere. E hanno avuto l’opportunità
di uccidermi lentamente, potrebbero effettivamente uccidere il mio corpo, ma
non uccideranno la mia determinazione e volontà, formerò un esercito nei
cimiteri e combatterò di nuovo i loro morti! Nasser Abu Hamid