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sabato 3 dicembre 2022

RIVOLUZIONE E TIRANNI



C’è un passaggio nello scritto di Rosella Simone Valchirie rosse (“Odissea” lunedì 14 novembre 2022) che va doverosamente corretto, quello in cui scrive che la Rivoluzione russa sia miseramente implosa settant’anni dopo. Purtroppo quella rivoluzione è tragicamente implosa quasi subito. Quando i soviet vennero espropriati da ogni potere per concentralo nelle mani di un solo partito, quando fu assassinata ogni forma di autogestione e di federalismo, quando nel 1921 furono massacrati gli insorti di Kronstadt, quando i dirigenti bolscevichi innamorati del fanatismo teocratico dei giacobini imposero la dittatura “del proletariato”. Quando si acquisì pari pari la vecchia burocrazia zarista, quando si ereditò l’esercito così com’era perché le milizie popolari dal basso in fondo avrebbero fatto paura al nuovo potere autoritario. E i becchini di quella rivoluzione si chiamano Lenin, Trotsky e compagnia. E furono loro a spianare la strada al tiranno Stalin. Stalin non è venuto dalla luna, un po’ di sano marxismo non guasta, anche se è stupefacente come un uomo dotato di grande intelligenza analitica come Marx e con una grande capacità di leggere la storia, non abbia capito che la dittatura, così come si è sempre incarnata nella storia (dalla Grecia antica alla Roma imperiale fino a Napoleone, tanto per restare in ambito occidentale), altro non è stata che concentrazione assoluta del potere in poche mani. E dire che si era entusiasmato di quella straordinaria e illuminante esperienza che è stata la Comune di Parigi. Stalin cancellerà assieme ai protagonisti della rivoluzione, ogni barlume di idea socialista e persino la speranza. Si fece dittatore e tiranno e regolò i conti anche con Trotsky e i suoi seguaci. A Lenin andò meglio perché morì prematuramente. Quello che seguì, nella sostanza è simile al nazismo. Cerchiamo di impararlo una volta per tutte.      [A. G]