Per
trentacinque anni ho prestato servizio, come medico ospedaliero, in una
struttura pubblica, fin dalla data in cui, attraverso le lotte dei lavoratori e
degli stessi operatori, fu possibile far partire in Italia la Riforma Sanitaria.
Fu quella una conquista storica: si passò sostanzialmente dal regime mutualistico
a una visione moderna di welfare sanitario, acquisendo il principio che era
giunto il tempo di dover erogare non solo la semplice assistenza medica ma
anche iniziare a mettere in moto due pilastri principali della salute: la
prevenzione e la riabilitazione. E questo estenderlo a tutti i cittadini, ai
ricchi così come ai meno abbienti, senza distinzioni. Negli anni successivi i
buoni propositi hanno dovuto fare i conticon tutta una serie di ostacoli, la gran parte da addebitare a scelte di
politica economica che hanno progressivamente drenato le necessarie risorse
finanziarie dalla sanità pubblica (e dalla scuola) ad altri settori, e parte da
addebitare a crescenti interessi privati che, più che vicariare insufficienze
pubbliche, le accrescevano aggravando diseguaglianze tra chi aveva possibilità
di curarsi a proprie spesee chidi quelle possibilità ne era privo. Ma non
voglio fare la storia di questa distorsione: soltanto evidenziare alcune
premesse che possano poi farci riflettere sulla situazione attuale. Con la manovra
economica predisposta dall’attuale Governo non si intravede alcuna inversione
di tendenza all’attuale situazione di disagio, alla quale sono sottoposti i
cittadini italiani in tema di salute pubblica. Sono totalmente d’accordo con l’analisi
che Francesco Saverio Lanza ieri su “Odissea” ha fatto con il suo articolo “La
Sanità ammalata” e posso aggiungere che se la situazione lombarda è quella
descritta così bene, la stessa in molte aree del meridione d’Italia è ancora
peggiore.
Nella
Azienda Sanitaria in cui vivo, l’erogazione delle prestazioni sanitarie di
prevenzione e di follow up delle neoplasie ha raggiunto ritardi insostenibili.
Una mammografia di controllo in una paziente operata di carcinoma mammario (mia
moglie!) è stata erogata dopo dieci mesi dalla richiesta regolarmente
presentata agli uffici della BAT. Ma il paradosso lo si può poi toccare con
mano tenendo presente che, ad esempio, solo nella città di Bisceglie (Cinquantamila
abitanti) ci sono tre strutture che erogano esami radiologici e ecografici, due
delle quali sono private e convenzionate per modo di dire, se è vero che le
prestazioni private vengono erogate prima di quelle pubbliche. Se, dunque, attualmente l’aumento
della durata della vita media, si è allungata, producendo come effetto la
presenza su ogni territorio di patologie che con attenta e periodica indagine
epidemiologica si possono affrontare e risolvere, risulta evidente che
occorrono più medici e più operatori sanitari nelle strutture pubbliche; che
gli interventi di prevenzione (essenziali
per ottenere una riduzione della spesa pubblica e delle intollerabili liste
d’attesa) si possono e si devono fare istituendo Distretti Sanitari di Base e
privilegiando il ricorso ai Pronto Soccorsi Ospedalieri solo per gli interventi
d’urgenza e infine che devono essere riviste le convenzioni che regolano a
livello regionale i rapporti tra strutture pubbliche private. So già che chi legge obietterà
immediatamente che servono molti più soldi di quanto oggi vengano stanziati. È vero! Ma la tutela del “diritto alla salute” non viene prima della spesa
per gli armamenti?