La
difficile costruzione di un blocco sociale e politico alternativo al sistema. Leonardo
Boff cita Noam Chomsky “Il Brasile è un caso speciale. Raramente ho visto un
paese in cui elementi delle élite nutrono un tale disprezzo e un tale odio per
i poveri e per i lavoratori”. I
retaggi della storia e del contesto complessivo delle periferie del mondo. I
secoli di schiavitù, e di uso del lavoro schiavistico, dei neri e
dell’oppressione e della distruzione delle comunità indigene agiscono sempre.
Ieri e oggi. Enormi, intollerabili diseguaglianze, allora e oggi. Oligarchie
ricchissime in alto (oggi il vertice costituito da 350 miliardari) e svariati
milioni di poveri e di poverissimi in basso. L’odio di classe e l’odio razziale
uniti. Come in Venezuela, nei confronti del compianto meticcio Hugo Chavez, e
come avviene in generale nell’America Latina. Oggi
con circa 215 milioni di abitanti, in Brasile si contano 33 milioni di affamati
e 110 milioni con “insufficienza alimentare”. Metà della popolazione povera
vivente nelle disumane favelas, la gran parte neri e meticci.
I. All’origine
è il Forum Economico Mondiale (Fem) dei potenti della terra a Davos e,
dialetticamente, è l’alternativa del Forum Sociale Mondiale (Fsm) di Porto
Alegre 2001. Puntualmente la
importante Ong Oxfam, negli ultimi anni, ogni gennaio, in occasione del Fem,
diffonde un documento prezioso sullo stato del mondo dal lato delle
diseguaglianze. Quest’anno il titolo è “La diseguaglianza non conosce crisi”. È
l’ennesima impietosa evidenza del divario, della polarizzazione su scala
mondiale di ricchezza estrema, da una parte, e di povertà estrema dall’altra.Le ragioni
grandi del movimento altermondialista rimangono. Il Fsm oggi è in crisi, ma nel
2001 rappresentava la grande speranza, soprattutto nel Sud Globale, del
rivolgimento, della messa in discussione della triade capitalismo
(globalizzazione neoliberista): colonialismo/imperialismo-patriarcato. La
partecipazione e la vitalità dei movimenti sociali di tutto il mondo erano
impetuosi a Porto Alegre. Ma soprattutto, per quanto ci riguarda, i movimenti
sociali e la sinistra in generale (comunisti di varie tendenze, socialisti,
cristiani di sinistra ecc.) del Brasile.Tutto ciò ha dato impulso, ha fortemente alimentato
la spinta per il cambiamento nelle elezioni presidenziali del 2002. Lula lo ha
espresso in varie occasioni. Il Fsm e il movimento altermondialista hanno dato
un contributo decisivo per la svolta in Brasile. Il movimento operaio e i
sindacati (la Cut in primo luogo), i movimenti contadini e il Movimento Sem
Terra, i popoli indigeni e l’indigenismo, i movimenti femminili, gli
ambientalisti e gli ecosocialisti, il solidarismo cristiano e cattolico, il
vasto e prezioso mondo intellettuale delle scuole, delle università, delle
riviste, dei mass media non controllati dalle oligarchie brasiliane, attivisti
e attiviste di varia ispirazione e su temi vari ecc. hanno rappresentato il
blocco sociale e politco, la base di massa che ha sorretto il Pt e Lula. Le
prime presidenze di Lula miravano a trovare soluzioni a favore degli strati più
poveri con la Bolsa Familia (aiuti alle famiglie) e con il programma Fome
Zero (Fame Zero). Nel contesto del fine perseguito di creare e di
alimentare una classe media, i nostrani “ceti medi riflessivi”, come cuscinetto
attivo e modernizzatore in una realtà così polarizzata come il Brasile. Uno
strato medio, usando vecchie, ma sempre valide categorie (Samir Amin), di
“borghesia nazionale” di contro alla sempiterna, nelle periferie del mondo,
“borghesia compradora”. In Brasile asservita agli interessi del capitale
finanziario, delle multinazionali, degli Usa in ultima istanza. Lo sviluppo
economico favoriva questa tendenza. Il Pil tra il 2002 e il 2010 cresceva
annualmente del 4,5% e il Brasile consolidava la sua posizione nel mondo e come
potenza regionale nell’America Latina. La
crisi economica mondiale a partire del 2007-2008, a partire dal 2010 ha
compromesso questa tendenza e questa classe media, arricchitasi negli anni precedenti,
ha cominciato ad abbandonare il sostegno al governo Lula. Il golpe giudiziario
del 2016, denominato “Operazione Lava Jato”, suggerito dal grande fratello Usa,
contro Dilma Rousseff e contro Lula troverà, in questi ceti medi colpiti dalla
crisi economica, un terreno favorevole. L’aspetto
critico-problematico di tutto ciò consisteva nell’attenzione di Lula a non
inimicarsi il Fondo Monetario Internazionale e a frenare la fuga dei capitali,
classica opzione delle oligarchie per contrastare il nuovo corso. Il blocco
sociale avverso, allora e oggi, rimane quello agrario-militar-evangelico. Con
il concorso del capitale finanziario interno ed esterno. La tanto attesa, e nel
programma di governo prevista, riforma agraria veniva differita. Qui
lo scontro è sempre stato feroce. La ferocia dei latifondisti con i propri
squadroni armati, da una parte, e la spinta continua dei Sem Terra e dei
movimenti contadini, dall’altra. Una parte del movimento ha cominciato a
criticare Lula e il Pt al governo per questa inadempienza e per aver dato
libero corso all’agribusiness, alle coltivazioni Ogm, soprattutto della soia,
allo “estrattivismo” di minerali e idrocarburi ecc.
II. Un
piccolo intermezzo. Il Brasile cattolico, negli anni della dittatura militare
dopo il golpe del 1964, fu investito dal vento purificatore della Chiesa uscita
dal Concilio Vaticano II. Costituì un vasto terreno favorevole per la
diffusione della Teologia della Liberazione. Si formarono circa 100.000
“comunità ecclesiali di base” con il coinvolgimento di tanti milioni di
cristiani partecipanti e attivi. Tutto ciò intollerabile per il reazionario
anticomunista papa Wojtyla e per l’allora capo del Sant’Uffizio Joseph
Ratzinger. Con
il processo del 1984 al francescano Leonardo Boff, esponente di punta della
Teologia della Liberazione, si iniziò a reprimere e a bonificare il Brasile.
Nel corso degli anni si svuotò il Brasile delle comunità di base e al loro
posto si introdussero le chiese evangeliche, pentecostali ecc. Con soldi e sul
modello statunitensi. Niente in comune con le importanti chiese evangeliche
(valdese, metodista ecc.) italiane. Queste chiese in Brasile, nelle quali
vengono aggregati molti strati poveri e poverissimi, costituiscono una base di
massa di Bolsonaro e del blocco sociale agrario-militar-evangelico. Malgrado
la dinamica di cui sopra, rimasero comunque organismi, associazioni, gruppi del
cattolicesimo sociale e del solidarismo importanti per le sorti della
democrazia e della sinistra in Brasile.
III. La
vittoria di Lula alle elezioni presidenziali di ottobre 2022 è stata risicata.
La vera base di massa per Lula oggi è il Brasile povero e poverissimo del
Nord-Est e del Brasile amazzonico. Indigenismo, movimenti contadini, movimenti
femminili radicalizzati, intellettuali ecc. costituiscono l’attuale riferimento
sociale di Lula. I sindacati e il movimento operaio lo sostengono sempre, ma il
lavoro dipendente è oggi indebolito dalla crisi del “fordismo periferico”, con
ulteriori delocalizzazioni, “in entrata” a suo tempo, e da qui l’ingrossamento
delle file del lavoro salariato brasiliano, da anni “in uscita”, a misura delle
trasformazioni in atto nella globalizzazione neoliberista e nello sviluppo di
nuove tecnologie. L’ideologia
è sempre importante, accanto alle dinamiche strutturali. Essa agisce sempre,
soprattutto con la retorica e la propaganda della “sicurezza”, portata avanti
da Bolsonaro, e una parte non trascurabile di detto lavoro salariato simpatizza
per l’estrema destra. Per
comprendere le difficoltà di Lula. Alle elezioni i governatori di sinistra
eletti sono stati solo 6 mentre 21 sono andati alla destra e la maggioranza dei
deputati eletti è composta di oppositori. Il vicepresidente attuale è Geraldo
Alckmin del Psdb (partito socialdemocratico brasiliano), a suo tempo principale
partito di opposizione. Alckmin e Psdb hanno sostenuto il golpe giudiziario
contro Dilma Roussef e contro Lula. Benché
sventato, il golpe del 8 gennaio rimane come minaccia e come deterrenza
costanti. Occorre tenere presente che i militari non si sono mossi in questa
occasione per paura delle “sanzioni internazionali”. Tradotto. Gli Usa non
hanno dato il via libera e tengono il mastino al guinzaglio pronto a liberarlo
qualora il clima cambiasse. Alle elezioni la stampa controllata e dominata dall’oligarchia
non ha sostenuto Bolsonaro. Ma non ha neanche sostenuto Lula. Bolsonaro e il
suo blocco si preparano alle prossime elezioni del 2026.
IV. Il
Brasile è un paese importante in sé. Per dimensione economica e per
popolazione. Ma è soprattutto molto importante nella visione di un mondo
multipolare. È componente fondamentale dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica) ed è paese-chiave per gli equilibri in America Latina, soprattutto
in questa fase storica in cui può trovare alleati molti paesi che hanno avviato
il cambiamento in quel continente. Un
tempo chiamavamo “subimperialismo brasiliano” il ruolo assegnato dagli Usa a
questo paese dopo il golpe del 1964. Oggi il Brasile rappresenta invece il
crocevia per la giustizia sociale e per la riduzione delle diseguaglianze, in
casa e nel mondo, per la sfida dei problemi ambientali e della giustizia
climatica (in primo luogo con la fine della deforestazione dell’Amazzonia). Il
crocevia per un possibile ulteriore sviluppo economico grazie a molti settori
di punta brasiliani nelle nuove tecnologie, nell’industria aeronautica, nelle
biotecnologie ecc. In
questo senso, il destino del Brasile non interessa solo alle classi subalterne,
alle sinistre politiche, ai democratici del paese in questione. Il destino del
Brasile investe anche noi. Soprattutto interessa a chi opera per un mondo
multipolare antiegemonico. Contro l’egemonia Usa e Nato e contro l’impulso
neocolonialistico-imperialistico di europei e di occidentali in generale.
Impulso ampiamente dispiegato anche nell’attuale guerra Usa-Nato-Russia. Con
l’Europa e con l’Occidente arruolati e con l’Ucraina usata come pedina da
sacrificare.