La
scomparsa di Marianne Schneider. Èmancata lo scorso 2 febbraio Marianne Schneider. Nata a Monaco l’11 settembre
del 1937, lì ha vissuto con la madre e la sorella (il padre è morto a
Leningrado nel 1942); li si è formata e ha studiato, soprattutto lingue neolatine;
e non a caso si è laureata poi anche a Aix-en-Provence. Sposata con Sebastiano Galanti,
si è trasferita poi a Firenze con la sua famiglia (due figli: Lorenzo e
Leonardo), e qui ha vissuto per decenni, fino alla fine. L’ho
conosciuta all’inizio del 1964, in seguito alla conoscenza con la sua e mia
amica Heidi. Il primo ricordo netto che mi resta di lei è un incontro all’Englischer
Garten; a un lato del giardino c’è il Kleinhesselhohersee, dove una sera, non
so Heidi dove fosse, sono stato in barca con lei. È sempre stata Mandy per noi,
Heidi giocava sempre con la pronuncia, che tendevo ad ammorbidire in “d”,
mentre in lei suonava “t”. Era
persona autenticamente amica per me. Mi ha fatto sentire la sua affettuosa
vicinanza in occasione della morte di mia sorella e dell’assassinio di Adriano
Manesco, amico di vecchia data, da ultimo vagante in Estremo Oriente, tra
Taipei, Singapore, Shanghai e soprattutto Bangkok. In questi ultimi tempi si interessava
sempre della malattia di Daniela. Autenticamente
colta, è nota per il suo lungo, intelligente lavoro di traduzione di tanta
letteratura italiana, per lo più contemporanea: Gadda, Bufalino, Celati,
Manganelli, Vigevani Meneghello, Ortese; saggi di Fachinelli, Calasso, Agamben.
Ma non si è occupata solo di scrittori d’oggi: anche di Leonardo, Leopardi,
Collodi, Verga, volendo esemplificare. Tra i libri che ha curato mi è caro
innanzitutto Poesie della Torre di Hölderlin (nell’edizione tedesca e
poi in quella italiana); con altri ha contribuito (e fatto contribuire) a Gemalte
Tiere e al Grosses Leonardo Buch. Ha svolto insegnamento
universitario a Reggio Emilia e a Bolzano. Ha attivamente collaborato al
fascicolo che abbiamo dedicato a Ludwig Englert e la sua lotta contro il
nazismo (in “Il Protagora”, n. 25-26, 2016). Senza contare che ha scritto
per noi penetranti pagine su Antonia Pozzi, poetessa milanese allieva di
Antonio Banfi, che si è tolta la vita a 26 anni nel 1938. Del
suo lavoro Mandy mi ha sempre messo a parte, mi è stata di grande aiuto per la
comprensione di termini non solo tedeschi; mi è stata prodiga di consigli anche
extra-letterari. All’invio dei miei scritti ha sempre risposto con generosità,
fino alla scorsa estate. Per parte mia le sono venuto incontro per quanto
potevo. Avevamo in comune certa visione del mondo, passioni letterarie,
musicali, artistiche, culturali in senso ampio. Quanto alle preferenze di gusto,
condividevamo talune riserve verso Wagner (per lei anche verso il tedesco di
Wagner), l’apprezzamento non solo di Mozart o Strauss, ma anche di Verdi e di
taluni contemporanei. Mi
ha confessato una volta la sua antipatia per Wagner, da profonda conoscitrice
della propria lingua, considerava i testi wagneriani “scritti in quel tipo di
tedesco germanico che poi hanno usato anche i nazi. Insopportabile specialmente
nel Ring. Sia come suono che come scelta di parole. Se pensi che abbiamo avuto
Kleist e Büchner, e poi questa ricaduta. Preferisco i peggiori libretti di
Verdi a quello stile falso e bombastico. Poi non mi sono mai piaciuti i
Nibelunghi, quei loschi tipi che non hanno mai una gioia né un godimento né una
bella risata, come invece l'hanno gli dei di Omero. Non puoi sapere com’ero
felice quando a scuola ho saputo degli dei dell'Olimpo, era un mondo che mi
rasserenava. Della musica è chiaro che Wagner è stato un innovatore. E tutto
quanto si sa. Ma uno può avere le sue preferenze, e amare altre musiche. Mi
piace comunque di più Mahler e anche Strauß che hanno imparato da lui e hanno
percorso poi altre strade”. Allorché
le indico alcuni brani wagneriano di grande bellezza (da Winterstürme al
finale della Götterdämmerung), mi risponde: “anche a me piacciono le
cose di Wagner che tu nomini”, ma “è il fenomeno Wagner che infastidisce. Del
tutto diverso è con Verdi che non pone barriere, anzi ci accolgono le sue
braccia aperte”. Condividevamo
orientamenti politici e di costume, parlavamo delle elezioni in Italia, di
Angela Merkel, della situazione tuttora in atto; della pandemia, e di fatti di
cronaca, di comuni conoscenze, in particolare di Heidi e della malattia che
tuttora la perseguita. Sento la mancanza di una persona con cui mi consigliavo
sempre; in più di un caso le ho fatto leggere pagine mie prima di pubblicarle,
e anche qui, soprattutto quando ho scritto alcune pagine sui miei giorni di
Monaco, mi ha aiutato a riequilibrare il tutto. Questi ultimi mesi sono
scomparsi gli amici che mi erano più vicini, da Emilio Renzi a Fulvio Papi, e
ora Mandy. Testimoni tutti di un’umanità, di un mondo di valori che ora di
nuovo sembra si stia atrocemente sfarinando.