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lunedì 13 febbraio 2023

CAMPI ELISI
di Gabriele Scaramuzza
 


La scomparsa di Marianne Schneider.
 
È mancata lo scorso 2 febbraio Marianne Schneider. Nata a Monaco l’11 settembre del 1937, lì ha vissuto con la madre e la sorella (il padre è morto a Leningrado nel 1942); li si è formata e ha studiato, soprattutto lingue neolatine; e non a caso si è laureata poi anche a Aix-en-Provence. Sposata con Sebastiano Galanti, si è trasferita poi a Firenze con la sua famiglia (due figli: Lorenzo e Leonardo), e qui ha vissuto per decenni, fino alla fine.
L’ho conosciuta all’inizio del 1964, in seguito alla conoscenza con la sua e mia amica Heidi. Il primo ricordo netto che mi resta di lei è un incontro all’Englischer Garten; a un lato del giardino c’è il Kleinhesselhohersee, dove una sera, non so Heidi dove fosse, sono stato in barca con lei. È sempre stata Mandy per noi, Heidi giocava sempre con la pronuncia, che tendevo ad ammorbidire in “d”, mentre in lei suonava “t”.      
Era persona autenticamente amica per me. Mi ha fatto sentire la sua affettuosa vicinanza in occasione della morte di mia sorella e dell’assassinio di Adriano Manesco, amico di vecchia data, da ultimo vagante in Estremo Oriente, tra Taipei, Singapore, Shanghai e soprattutto Bangkok. In questi ultimi tempi si interessava sempre della malattia di Daniela.
Autenticamente colta, è nota per il suo lungo, intelligente lavoro di traduzione di tanta letteratura italiana, per lo più contemporanea: Gadda, Bufalino, Celati, Manganelli, Vigevani Meneghello, Ortese; saggi di Fachinelli, Calasso, Agamben. Ma non si è occupata solo di scrittori d’oggi: anche di Leonardo, Leopardi, Collodi, Verga, volendo esemplificare. Tra i libri che ha curato mi è caro innanzitutto Poesie della Torre di Hölderlin (nell’edizione tedesca e poi in quella italiana); con altri ha contribuito (e fatto contribuire) a Gemalte Tiere e al Grosses Leonardo Buch. Ha svolto insegnamento universitario a Reggio Emilia e a Bolzano. Ha attivamente collaborato al fascicolo che abbiamo dedicato a Ludwig Englert e la sua lotta contro il nazismo (in “Il Protagora”, n. 25-26, 2016). Senza contare che ha scritto per noi penetranti pagine su Antonia Pozzi, poetessa milanese allieva di Antonio Banfi, che si è tolta la vita a 26 anni nel 1938.
Del suo lavoro Mandy mi ha sempre messo a parte, mi è stata di grande aiuto per la comprensione di termini non solo tedeschi; mi è stata prodiga di consigli anche extra-letterari. All’invio dei miei scritti ha sempre risposto con generosità, fino alla scorsa estate. Per parte mia le sono venuto incontro per quanto potevo. Avevamo in comune certa visione del mondo, passioni letterarie, musicali, artistiche, culturali in senso ampio. Quanto alle preferenze di gusto, condividevamo talune riserve verso Wagner (per lei anche verso il tedesco di Wagner), l’apprezzamento non solo di Mozart o Strauss, ma anche di Verdi e di taluni contemporanei.  
Mi ha confessato una volta la sua antipatia per Wagner, da profonda conoscitrice della propria lingua, considerava i testi wagneriani “scritti in quel tipo di tedesco germanico che poi hanno usato anche i nazi. Insopportabile specialmente nel Ring. Sia come suono che come scelta di parole. Se pensi che abbiamo avuto Kleist e Büchner, e poi questa ricaduta. Preferisco i peggiori libretti di Verdi a quello stile falso e bombastico. Poi non mi sono mai piaciuti i Nibelunghi, quei loschi tipi che non hanno mai una gioia né un godimento né una bella risata, come invece l'hanno gli dei di Omero. Non puoi sapere com’ero felice quando a scuola ho saputo degli dei dell'Olimpo, era un mondo che mi rasserenava. Della musica è chiaro che Wagner è stato un innovatore. E tutto quanto si sa. Ma uno può avere le sue preferenze, e amare altre musiche. Mi piace comunque di più Mahler e anche Strauß che hanno imparato da lui e hanno percorso poi altre strade”.
Allorché le indico alcuni brani wagneriano di grande bellezza (da Winterstürme al finale della Götterdämmerung), mi risponde: “anche a me piacciono le cose di Wagner che tu nomini”, ma “è il fenomeno Wagner che infastidisce. Del tutto diverso è con Verdi che non pone barriere, anzi ci accolgono le sue braccia aperte”.
Condividevamo orientamenti politici e di costume, parlavamo delle elezioni in Italia, di Angela Merkel, della situazione tuttora in atto; della pandemia, e di fatti di cronaca, di comuni conoscenze, in particolare di Heidi e della malattia che tuttora la perseguita. Sento la mancanza di una persona con cui mi consigliavo sempre; in più di un caso le ho fatto leggere pagine mie prima di pubblicarle, e anche qui, soprattutto quando ho scritto alcune pagine sui miei giorni di Monaco, mi ha aiutato a riequilibrare il tutto. Questi ultimi mesi sono scomparsi gli amici che mi erano più vicini, da Emilio Renzi a Fulvio Papi, e ora Mandy. Testimoni tutti di un’umanità, di un mondo di valori che ora di nuovo sembra si stia atrocemente sfarinando.