Il 7 marzo 1884 nasceva ad Altamura Tommaso Fiore. «Chi avrebbe mai potuto
prevedere che tutta la mia vita avrei protestato con violenza contro ogni
ipocrisia politica, religiosa, morale ed economica. E chi avrebbe preveduto che
io, screanzato per dispettoso proposito, avrei precocemente portato la mia
protesta contro ogni vigliaccheria e ipocrisia avvilente in alto come in
basso?». «Cos’è dunque la vita umana? Certo è una battaglia ammirevole, anche
se si vince spesso, ma si è anche vinti qualche volta». Primo abbozzo de La mia vita. Autobiografia
popolareggiante di T. Fiore. È stata una genuina personalità di intellettuale
meridionale che ha congiunto la sua salda conoscenza letteraria all’impegno
sociale e politico posto a fianco della povera gente del sud Italia, in
particolare della popolazione rurale (“il popolo di formiche”). Fedele alle sue
origini, diceva: “Il figlio del muratore e della tessitrice deve portare in
ogni cosa, sin dall’infanzia, uno spirito critico di opposizione”. A cinquant’anni dalla morte, non gli è stata
restituita la degna collocazione che merita nella storia della cultura e della
politica nazionale. Rimase sempre attaccato ai valori che apprese dai suoi
maestri: Gaetano Salvemini, Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Piero Gobetti,
Guido Dorso, Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli. Ebbe rapporti con
intellettuali importanti di levatura nazionale: Gabriele Pepe, Fabrizio
Canfora, Aldo Capitini, Leonardo Sciascia, Carlo Levi per citarne solo alcuni. Fu
sempre accanto ai giovani tanto che, nel 1970, quasi novantenne, diresse la
rivista “Il Risveglio del Mezzogiorno”, nella quale inserì la collaborazione di
molti giovani intellettuali che a loro volta lo riconobbero come maestro
indiscusso. Una rivista nata per rendere sempre presente la storia delle
comunità e degli intellettuali meridionali.
A lui dedico questi miei versi. PER TOMMASO FIORE Tu
senti i luoghi perduti, l’eremo disabitato, il
cardo blu con le sue spine lungo le strade, la
pietra che non smette di chiamarci perché
per ore e ore parlano e vive sono. Hanno
la voce del maestrale e del favonio, il
sommerso canto del popolo di formiche, degli eterni vinti che si
confondono col suolo, e
portano antiche leggende in odore di mare. Prende
dimora con te, tra schegge di nuvole, la
voce di quelli che voce non hanno e in
questo mistero abita il diroccare dei muri l’eterno
sognare delle rade masserie, il
fruscio dei fili d’erba nelle notti di luna.