Una
lotta operaia che ha segnato la storia d’Italia. Come sempre ricordiamo gli scioperi
operai del 1° marzo 1944.Scioperi rivolti contro
l’invasore nazifascista.Scioperi che
segnarono un punto di svolta nella Resistenza dimostrandone il radicamento nei
settori decisivi della classe operaia delle grandi fabbriche.Da ricordare ancora, in questo giorno così importante per
la nostra memoria storica, l’efferatezza che reca sempre con sé la guerra.Gli scioperi del 1° marzo 1944 furono prima di tutto
un atto di “fierezza operaia” anche se furono soprattutto il frutto di una
meticolosa organizzazione politica.Quella
giornata va tenuta ancora nella memoria come esempio di sacrificio e di
dedizione alla causa comune della pace e della dignità umana ricordando il
sacrificio dei martiri che in quei giorni subirono la deportazione nei campi di
sterminio.Entrarono in sciopero, nelle
diverse fasi della lotta, circa mezzo milione di operai nelle grandi fabbriche
del Nord. Tra
marzo e giugno, furono deportati a Mauthausen circa 3.000 lavoratori scelti tra
gli organizzatori degli scioperi e tra i più attivi quadri politici presenti
nelle fabbriche.L’Unità del 15 marzo 1944, sotto l’occhiello: “La
classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava: “Lo
sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia
vinta contro gli oppressori della Patria”. Era quello, in estrema sintesi,
il giudizio che l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano forniva allo
sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1° marzo di quell’anno: un vero e
proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord, e che è necessario
ricordare non soltanto per dovere di cronaca o per ricordare quanti, in
quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di
sterminio, Mauthausen in particolare.L’intervento della
Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si
manifestò, infatti, con l’intensificata guerra partigiana sulle montagne e
nelle città.L’importanza e l’efficacia di
quel contributo deve essere collegato, quando si sviluppa un tentativo di
analisi storico-politica, alla vasta azione di massa condotta dalle classi
lavoratrici.Solo in quel modo, nella
saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi
fabbriche, il movimento di Resistenza avrebbe assunto un ruolo decisivo in
quella fase cruciale della guerra, alla vigilia dello sbarco in Normandia e
mentre sul fronte est le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate
verso Occidente.Considerata l’impossibilità
di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti
diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi
sarebbero rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1° marzo, per mancanza
di energia elettrica.
L’espediente, subito denunciato
da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e
in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila
lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro.Sin
dal primo giorno lo scioperò si rivelò imponente e vide complessivamente la
partecipazione di circa mezzo milione di lavoratori. A Milano scioperarono anche le
maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo
della grande borghesia lombarda non poté uscire.La repressione
tedesca fu dovunque feroce.L’ambasciatore
Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per
cento degli scioperanti.E anche se il
mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà
tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla
produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) si calcola che circa 1.200
operai furono subito deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di
Mauthausen.I fascisti s’assunsero il ruolo
servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni
agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro. A Genova, il capo della
provincia Basile lanciò un “ultimo avviso”, minacciando, - appunto - la
deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli
operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria”).Basile
era lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti
genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli
presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito che avrebbe dovuto
svolgersi proprio a Genova.Congresso che le
mobilitazioni di piazza impedirono si svolgesse aprendo la strada anche
alla caduta del governo monocolore che gli stessi missini stavano
sostenendo.
La sera stessa del 1° marzo, a
Savona, 150 operai dell’Ilva e della Scarpa e Magnano furono arrestati per
essere poi avviati alla deportazione (un carico di savonesi arrivò a Mauthausen
il 26 marzo dopo essere passato per la Casa dello Studente e San Vittore):
altri luoghi d’origine della deportazione furono Varese (50 deportati), Prato
(dove lo sciopero fu totale e generale), Bologna. Da Torino furono deportati 400
lavoratori (178 appartenenti alla FIAT), da Milano 500, in particolare
dall’area di Sesto San Giovanni (Breda, Falck, Marelli, Ansaldo). Il successivo 16 giugno 1944 in
adesione all’ordine di Hitler 1.488 operai genovesi furono deportati dopo
essere stati rastrellati all’ingresso del turno di lavoro nelle fabbriche
all’Ansaldo, all’Ilva, alla SIAC.Dati sicuramente
incompleti.In realtà lo sciopero fu una dimostrazione
imponente di forza e di volontà combattiva, fu un movimento di massa che non
trova riscontro nella storia della resistenza europea.Ai fini bellici la sua importanza non fu minore, se si
pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente
paralizzata in tutta l’Italia invasa.Il che
equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di
battaglia.Complessivamente è possibile
riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero
come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 marzo) rileggendo
quanto scritto all’epoca, da “La Nostra Lotta”: “Lo sciopero generale politico rivendicativo dell’1°- 8 marzo assume
un’importanza e un significato nazionale e internazionale di gran lunga superiori
agli obiettivi immediati che esso si poneva; indica la strada da seguire nel
prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e
nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli.
Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che
l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto possono
essere fieri e orgogliosi della grande battaglia combattuta: essa s’iscrive fra
le migliori pagine della lotta dei popoli per la propria libertà e costituisce
una tappa decisiva per il risorgimento della nostra patria. I sacrifici di oggi
sono il prezzo e il pegno del sicuro trionfo di domani”. Per non dimenticare mai.