Pagine

sabato 4 marzo 2023

LETTERA APERTA
di Girolamo Dell’Olio*


Sette domande ai presidi antifascisti di Firenze.   
 
Un amico mi ha fatto notare: ‘Sulla base di una singola scena hanno emesso una sentenza. Ma così si fa al bar, o sulla curva di uno stadio. Non a scuola! Non dalla cattedra di una Presidenza!’ Possiamo dargli torto? È stato saggio etichettare quel singolo atto, vergognoso e inaccettabile, video-documentato con un cellulare in via della Colonna, come una vera e propria azione squadristica tipica della Mala Pianta del Fascismo”, molto prima di conoscerne il contesto?
 
C’è chi ha proposto addirittura un accostamento storico fra quell’ignobile episodio e le origini del fascismo in Italia, che sarebbe nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. Sembra lecito domandarsi quali studi di storia contemporanea siano nel curricolo di chi osa anche lontanamente paragonare a quella attuale l’atmosfera del primo dopoguerra del secolo scorso, coi 600 mila morti al fronte, la ‘vittoria mutilata’, l’impresa di Fiume, l’occupazione delle terre e delle fabbriche… Paralleli di questo tipo si addicono a una scuola chiamata per sua natura a fornire informazioni corrette e plausibili?
In compenso, al corteo definitosi ‘antifascista’ del 21 febbraio a Firenze sono stati scanditi in coro, fra gli altri, slogan come:
“Le sedi dei fascisti si chiudono col fuoco, ma coi fascisti dentro, sennò è troppo poco”; “Viva le foibe! Viva le foibe! Viva le foibe! Il compagno Tito ce l’ha insegnato, ogni fascista preso va infoibato”; “Fascisti di Firenze, venite fuori adesso, ve lo facciamo noi un bel processo”; “Fascista di merda, ti lascio morto in terra”; “Il maresciallo Tito ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato”; “Viva il compagno Giuseppe Stalin, terrore dei fascisti e dei falsi comunisti”.
Messaggi all’insegna del rispetto, della tolleranza, della tutela dei valori costituzionali? C’è qualche dirigente scolastico ‘antifascista’ che ne abbia preso le distanze? E davvero Antonio Gramsci, citato da più Presidenze in questi giorni, oppure le donne e gli uomini che hanno guadagnato a Firenze la Medaglia d’oro per la Resistenza, avrebbero apprezzato parole simili nel 2023? È stato spiegato ai ragazzi che fra Stalin e Tito, loro modelli di riferimento, già tre anni dopo la fine della guerra fu scontro frontale? E che pagarne le conseguenze toccò proprio ai nostri operai internazionalisti dei cantieri navali di Monfalcone, trasferitisi in Jugoslavia per contribuire alla costruzione di una società socialista? Rimasti fedeli a Stalin, in tanti vennero condannati alla detenzione nei gulag di Tito, tra i quali l’inferno di Goli Otok.
Si affronta questo tipo di storiografia nelle scuole dei presidi ‘antifascisti’?


 
Qualcuno è entrato poi nel merito dei contenuti del volantino che si è impedito di distribuire davanti al Michelangiolo? Sui mezzi di informazione dominanti non se ne è parlato. I dirigenti scolastici l’hanno letto? In un regime di omologazione, passività e sofferenza sono forse di per sé slogan ‘fascisti’ le esortazioni a contestare il ‘pensiero unico’, a sognare, a combattere, a distinguersi? Bastano forse quei verbi a connotare come razzista un testo? Non meriterebbero piuttosto una pronta attenzione pedagogica? O è invece un indicatore di sana e robusta costituzione democratica la volontà di togliere la parola a chi non aderisce all’ortodossia, alla narrativa prevalente, alle verità-di-Stato? C’è forse una discriminazione ‘buona’ e una discriminazione ‘cattiva’?
Che tipo di calore ha trasmesso la scuola alle ragazze e ai ragazzi negli ultimi anni, quando ha collaborato a comprimere duramente le loro LIBERTÀ fondamentali? Perché la maggior parte degli insegnanti e dei presidi si sono limitati a imporre l’obbedienza a obblighi discutibili (dal distanziamento sociale alle mascherine, dalla Dad dall’inoculazione di prodotti sperimentali, fino al green pass persino per l’accesso ai mezzi pubblici), dettati a vantaggio di un’industria farmaceutica intraprendente e a danno della salute fisica e psichica delle giovani generazioni, come tanti resoconti sanitari indipendenti attestano? È stato promosso nelle scuole il diritto al dubbio, al confronto, all’esercizio del pensiero critico? Sono stati discussi e studiati, nelle aule, antidoti efficaci al ricatto esistenziale, cui i ragazzi venivano sistematicamente sottoposti, per poter godere della socialità nel proprio tempo libero? O si è piuttosto ratificato il loro assoggettamento a un modello che - questo sì - presenta caratteri distintivi dell’ideologia totalitaria?



Numerosi articoli della Costituzione, e alcuni dei suoi princìpi fondamentali, a partire dall’art. 1, sono stati calpestati col pretesto di un’emergenza artificialmente permanente: prima il Covid, poi la guerra, la crisi energetica e quella climatica. Ma la Costituzione repubblicana è nata proprio in risposta a un’emergenza sociale ventennale, pesante e concreta, e a cinque anni di guerra distruttiva, allo scopo di dotare la comunità nazionale di una protezione solida, sicura e inviolabile. Quali e quanti dirigenti scolastici se ne avvalgono, oggi, per invitare studenti e famiglie, con circolari altrettanto appassionate, alla difesa attiva per esempio dell’art. 11 della Carta, dove “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”? I valori della Costituzione vanno declamati a parole o praticati coi fatti? Vanno evocati a ragione o scomodati un po’ a caso?
Qualcuno ha scritto in questi giorni che la violenza che prolifera nelle scuole (dagli insulti al mobbing, dal bullismo alle aggressioni) è il segnale di un male profondo che attraversa le famiglie e la società. Vogliamo domandarci, allora, se non esiste per caso una relazione di causa-effetto fra le restrizioni imposte alle giovani generazioni senza dibattito, senza possibilità di libera scelta, in nome di una cosiddetta scienza divenuta dogma, e le reazioni aggressive in cui si manifesta - dentro e fuori dalla scuola - la loro sofferenza? A chi giova continuare a sottovalutare le conseguenze dell’umiliazione fisica, morale e spirituale imposta in questi ultimi tempi ai ragazzi? Non è piuttosto urgente contrastare il condizionamento digitale, la cultura della comunicazione mediata dalla tecnica e dall’elettronica, l’informazione unilaterale e manichea, il controllo sociale pervasivo che mira a renderli - se non sclerano - docili burattini obbedienti, come già intuiva don Lorenzo Milani? Alcuni presidi hanno ricevuto nei mesi scorsi, da singoli cittadini e da un’associazione fiorentina, un invito ad aprire gli Istituti al confronto, al dibattito, al contributo costruttivo che le voci non allineate sono in grado di offrire. Finora, quel suggerimento è caduto nel vuoto. Sperando in un’accoglienza migliore, lo ripropongo qui ai dirigenti scolastici dell’area fiorentina, alle studentesse e agli studenti. Anche a loro distribuirò di persona questa lettera aperta nelle prossime ore davanti ad alcune scuole della città.
 
*Fino al 2018 lavoratore della scuola all’IIS “Leonardo da Vinci” di Firenze
girdel@gmail.com