Sette domande ai presidi antifascisti di Firenze. Un amico mi ha fatto
notare: ‘Sulla base di una singola scena hanno emesso una sentenza. Ma
così si fa al bar, o sulla curva di uno stadio. Non a scuola! Non dalla cattedra
di una Presidenza!’ Possiamo dargli torto? È stato saggio etichettare quel singolo
atto, vergognoso e inaccettabile, video-documentato con un cellulare in via
della Colonna, come una “vera e propria azione squadristica tipica
della Mala Pianta del Fascismo”,
molto prima di conoscerne il contesto? C’è chi ha proposto addirittura
un accostamento storico fra quell’ignobile episodio e le origini del fascismo
in Italia, che sarebbe “nato ai bordi di un
marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è
stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti”. Sembra lecito domandarsi quali
studi di storia contemporanea siano nel curricolo di chi osa anche lontanamente
paragonare a quella attuale l’atmosfera del primo dopoguerra del secolo scorso,
coi 600 mila morti al fronte, la ‘vittoria mutilata’, l’impresa di Fiume,
l’occupazione delle terre e delle fabbriche… Paralleli di questo tipo si
addicono a una scuola chiamata per sua natura a fornire informazioni corrette e
plausibili? In compenso, al corteo
definitosi ‘antifascista’ del 21 febbraio a Firenze sono stati scanditi in
coro, fra gli altri, slogan come: “Le sedi dei fascisti si chiudono col fuoco, ma coi fascisti
dentro, sennò è troppo poco”; “Viva le foibe! Viva le foibe! Viva le foibe! Il
compagno Tito ce l’ha insegnato, ogni fascista preso va infoibato”; “Fascisti
di Firenze, venite fuori adesso, ve lo facciamo noi un bel processo”; “Fascista
di merda, ti lascio morto in terra”; “Il maresciallo Tito ce l’ha insegnato, uccidere
un fascista non è reato”; “Viva il compagno Giuseppe Stalin, terrore dei
fascisti e dei falsi comunisti”. Messaggi all’insegna del rispetto,
della tolleranza, della tutela dei valori costituzionali? C’è qualche dirigente
scolastico ‘antifascista’ che ne abbia preso le distanze? E davvero Antonio
Gramsci, citato da più Presidenze in questi giorni, oppure le donne e gli
uomini che hanno guadagnato a Firenze la Medaglia d’oro per la Resistenza,
avrebbero apprezzato parole simili nel 2023? È stato spiegato ai ragazzi che
fra Stalin e Tito, loro modelli di riferimento, già tre anni dopo la fine della
guerra fu scontro frontale? E che pagarne le conseguenze toccò proprio ai
nostri operai internazionalisti dei cantieri navali di Monfalcone, trasferitisi
in Jugoslavia per contribuire alla costruzione di una società socialista?
Rimasti fedeli a Stalin, in tanti vennero condannati alla detenzione nei gulag di Tito, tra i quali l’inferno di
Goli Otok. Si affronta questo tipo di
storiografia nelle scuole dei presidi ‘antifascisti’?
Qualcuno è entrato poi nel
merito dei contenuti del volantino che si è impedito di distribuire
davanti al Michelangiolo? Sui mezzi di informazione dominanti non se ne è
parlato. I dirigenti scolastici l’hanno letto? In un regime di omologazione,
passività e sofferenza sono forse di per sé slogan ‘fascisti’ le esortazioni a
contestare il ‘pensiero unico’, a sognare, a combattere, a distinguersi?
Bastano forse quei verbi a connotare come razzista un testo? Non meriterebbero
piuttosto una pronta attenzionepedagogica? O è invece un
indicatore di sana e robusta costituzione democratica la volontà di togliere la
parola a chi non aderisce all’ortodossia, alla narrativa prevalente, alle
verità-di-Stato? C’è forse una discriminazione ‘buona’ e una discriminazione ‘cattiva’? Che tipo di calore ha trasmesso
la scuola alle ragazze e ai ragazzi negli ultimi anni, quando ha collaborato a
comprimere duramente le loro LIBERTÀ fondamentali? Perché la maggior parte
degli insegnanti e dei presidi si sono limitati a imporre l’obbedienza a
obblighi discutibili (dal distanziamento sociale alle mascherine, dalla Dad
dall’inoculazione di prodotti sperimentali, fino al green pass persino per
l’accesso ai mezzi pubblici), dettati a vantaggio di un’industria farmaceutica
intraprendente e a danno della salute fisica e psichica delle giovani
generazioni, come tanti resoconti sanitari indipendenti attestano? È stato
promosso nelle scuole il diritto al dubbio, al confronto, all’esercizio del pensiero
critico? Sono stati discussi e studiati, nelle aule, antidoti efficaci al ricatto
esistenziale,cui i ragazzi venivano sistematicamente sottoposti, per
poter godere della socialità nel proprio tempo libero? O si è piuttosto
ratificato il loro assoggettamento a un modello che - questo sì - presenta
caratteri distintivi dell’ideologia totalitaria?
Numerosi articoli della Costituzione,
e alcuni dei suoi princìpi fondamentali, a partire dall’art. 1, sono stati
calpestati col pretesto di un’emergenza artificialmente permanente: prima il Covid,
poi la guerra, la crisi energetica e quella climatica. Ma la Costituzione repubblicana
è nata proprio in risposta a un’emergenza sociale ventennale, pesante e
concreta, e a cinque anni di guerra distruttiva, allo scopo di dotare la comunità
nazionale di una protezione solida, sicura e inviolabile. Quali e quanti dirigenti
scolastici se ne avvalgono, oggi, per invitare studenti e famiglie, con circolari
altrettanto appassionate, alla difesa attiva per esempio dell’art. 11 della Carta,
dove “L’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali”? I valori della Costituzione vanno declamati
a parole o praticati coi fatti? Vanno evocati a ragione o scomodati un po’ a
caso? Qualcuno ha scritto in
questi giorni che la violenza che
prolifera nelle scuole (dagli insulti al mobbing, dal bullismo alle
aggressioni) è il segnale di un male profondo che attraversa le famiglie e la
società. Vogliamo domandarci, allora, se non esiste per caso una relazione di
causa-effetto fra le restrizioni imposte alle giovani generazioni senza
dibattito, senza possibilità di libera scelta, in nome di una cosiddetta scienza
divenuta dogma, e le reazioni aggressive in cui si manifesta - dentro e fuori
dalla scuola - la loro sofferenza? A chi giova continuare a sottovalutare le
conseguenze dell’umiliazione fisica, morale e spirituale imposta in questi
ultimi tempi ai ragazzi? Non è piuttosto urgente contrastare il condizionamento
digitale, la cultura della comunicazione mediata dalla tecnica e
dall’elettronica, l’informazione unilaterale e manichea, il controllo sociale
pervasivo che mira a renderli - se non sclerano - docili burattini obbedienti,
come già intuiva don Lorenzo Milani? Alcuni presidi hanno ricevuto nei mesi
scorsi, da singoli cittadini e da un’associazione fiorentina, un invito ad aprire
gli Istituti al confronto, al dibattito, al contributo costruttivo che le voci non
allineate sono in grado di offrire. Finora, quel suggerimento è caduto nel
vuoto. Sperando in un’accoglienza migliore, lo ripropongo qui ai dirigenti
scolastici dell’area fiorentina, alle studentesse e agli studenti. Anche a loro
distribuirò di persona questa lettera
aperta nelle prossime ore davanti ad alcune scuole della città. *Fino al 2018 lavoratore
della scuola all’IIS “Leonardo da Vinci” di Firenze girdel@gmail.com