Ci fu una radice: ορ, dalla quale furono dedotte molte parole,
in greco e in latino. È una breve perifrasi sibillina, che si può rendere: l’ho
scorre, che, nella lettura del grembo, è estremamente generica e che, tuttavia,
dà l’abbrivio a significati ben precisi. La prima deduzione, senz’altro, fu:
(orao) ὁράω: vedo,
guardo, osservo, in quanto il pastore greco disse: dal sema
(durante la gestazione)si evidenzia la gravidanza. Per formare
tutte le voci verbali di questo verbo si avvalse di altre radici: ιδ(va
il mancare, genera il mancare), che indica la progressiva formazione della
creatura e di οπ da cui aveva dedotto: ὄπσομαι/ὄσσομαι: vedo, presagisco. I latini da ὁράω dedussero oracolo, che i greci,
legando allo stesso contesto, avevano indicato con μαντεία e con χρησμός. Un altro verbo molto importante,
dedotto da ορ, fu (ornumi) ὄρνυμι, a
cui furono assegnati i seguenti significati: faccio sorgere, mialzo,
mi levo, sorgo, eccito, spingo, azioni che il
pastore determina, osservando il sollevamento del grembo. Da questa
radice, dall’espansione di questa radice e mediante deduttivi, i greci
dedussero tante parole. Una, in consonanza con sollevare fu (oros) ὄροςὄρεως: monte, come metafora del
sollevamento del grembo. In italiano si ebbe: orografia e sistema
orografico. I greci, dallo scorrere in avanti, dedussero anche ὅροςὅρου: limite, confine, ad
indicare che lo scorrere della creatura ha un confine, oltre il quale c’è la
nascita. Da limite c’è: chi limita, chi poneil limite:
ὁρίζω, per
cui il poeta poté dire: “e questa siepe, che da tanta parte/dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude”.
Da ciò si evince che l’orizzonte è
la linea-limite, oltre la quale la vista non va.
Con una εtrasformò
ὄρνυμι in οὐρανός: volta
celeste, cielo, quindi l’aggettivo uranio nel senso del
cielo e, quindi, altissimo e, poi, θεόιΟὐρανίωνες, poi, i figli di Urano: i
Titani. Da ορ, sempre premettendo un ε, formò la radice οὐρ-έω: emetto con l’urina, urino,
da cui, poi, i latini derivarono: urina. Il pastore greco espande la
radice ορ, aggiungendo il gamma: οργ, da leggere: l’ho che scorre genera.
Per prima, formula ὀργ-αω, che gli
fa pensare alla voglia di generare (da ricollegare ad eccito presente in
ὄρνυμι) e alla sua natura in quella
situazione: desidero ardentemente, sono impaziente per, sono
fecondo, sono rigoglioso, per cui deduce orgasmo, ma anche ὀργ-ήὀργῆς:
disposizione naturale, ma anche: collera, ira, sdegno,
in quanto ης significa: dal generare il legare, per cui da una parte ricava la
disposizione naturale, l’indole, come predisposizione, dall’altra la
collera, l’ira, lo sdegno, frutti di un accumulonegativo
(il legare per risentimento). Da οργdeduce: τάὄργιά: le orge, ma anche culti
misterici in onore di. Sempre da questa radice fu ricavato: τόὄργανον, che, inizialmente, indicò
l’organo, come fallo, organo della riproduzione, per, poi,
indicare: strumento/utensile. Da organo fu dedotto: ὀργανικός: che
serve come strumento, strumentale, organico, nel senso di: funzionale
a, mentre oggi parliamo di materia organica, di materiale organico,
da cui: gli organismi viventi. Gli italici, invece, dalla radice αοργαν/ωργαν,
dedussero organizzo quanto è funzionale per la realizzazione della
creatura in grembo. Sicuramente, i greci, quando elaborarono
l’aggettivo: ὀρ-θός: diritto,
eretto, in linea eretta, retto, da cui ortogonale,
ma anche retto, nel senso di corretto (ortografia), pensarono al fallo
in erezione, quando lega. C’è da ricordare che questa radice fu inserita in
molti contesti logici dai latini, come, ad esempio, nel perfetto irregolare ortus
sum di orior. Tanto a voler dimostrare che è il pastore che, per una
serie di concause anche logiche, deduce il significato dalla perifrasi con cui forma
la parola.
Da ricordare, poi, che, da ορθ, i latini dedussero: orso/orsa,
ma, quando formularono Ursa maior/Ursa minor,volleroindicare
(dall’ho lo scorrere il crescere generare il legare) dei punti di riferimento,
in cielo, per orientarsi negli spostamenti. Da ὄρνυμι: mi sollevo,
dedussero: (ornis ornithos) ὄρν-ιςὄρν-ιθος: uccello
come volatile, in quanto la perifrasi suona così: va a crescere il sollevamento,
da cui manca (si genera) il volatile; tale perifrasi ricorda: le cosecoselle:funzionali all’acquisizione dei significati delle parole. Per apportare qualche
altra esemplificazione, da ορ, aggiungendo
la mi (μ) fu formulata la radice: ορμ (rimane lo scorrere, qui come fluire) da
cui fecero una deduzione forte: ὀρμ-έω: sto
all’ancora, sono ancorato, da cui, poi, in italiano: ormeggio.
Nella lingua italiana, invece, questa radice determinò: orma, che è ciò
che genera il rimanere di chi scorre, nel senso di scorrere procedendo, durante
il cammino. I latini non solo conobbero ορ, ma anche: ὄρνυμι, verbo
che riformularono in orior/ortus sum: sorgo, mi levo,
mi sollevo, nasco, e che, sicuramente, identificarono con il sorgere
del sole, da cui oriente, come punto da cui si solleva il sole, e,
quindi, l’orientamento, quando sono disorientato. Quindi, fu
coniato: ab-orior: vengo meno, anche come tramonto, ma il pastore
ripensò al sollevarsi del grembo, per cui dedusse: nasco prima del
tempo e, in chi è nato prima del tempo, c’è l’aborto. Per quanto
riguarda tramonto degli italici, bisogna dire che essi indicarono il
tramonto del sole, attraverso la metafora del grembo, che, dopo il parto,
scompare, cosa che, prima avevano fatto i latini con occasus. Gli italici, in cui si erano
stratificati tanti elementi concettuali, da ὄρνυμι, dal levare (del
sole) dissero, alla maniera di Francesco: iornu, meglio ancora, nel
mio dialetto: iurn’: giorno: si è sollevato il sole, si è fatto giorno,
bisogna iniziare la giornata di lavoro e di fatica per procurarsi
l’indispensabile, per soddisfare i bisogni!
Per quanto riguarda giorno è
possibile che sia una deformazione fonica di diurnus, per come sostengono
molti filologi. In latino, la o di ορsi
oscurò in ur, oppure, alla greca divenne: εο/ου (dall’ho),
per cui aggiungendo un γ/g, si
formulò la radice: urg che portò a urg-eo: deve nascere la
creatura, si deve intervenire immediatamente, è urgente. Inoltre,
premettendo a urg un δ (manco)
assibilato, cambiò il contesto e si formò: surgo/subrectum/surrectum
come metafora del grembo, poi: torno a sorgere: re-surgo, ma
anche: insurgo, in quanto ins fu letto: si genera dentro il
mancare, per cui la gente che manca dell’indispensabile insorge. Poi,
a urg fu anteposto una θ, per cui
si ebbe: t-urg-eo, turgore, turgido, che è ciò che si desume
dal grembo pieno e dalle poppe turgide. Premettendo una emme a urg/urχsi
formò la murgia pugliese e quella calabrese, quella del mio paese, che è
un rilievo compatto di pietrame di origine marina, che risale a centinaia di
millenni. La perifrasi è molto vaga: rimane dall’ho lo scorrere il passare (è nel
corso del tempo), ciò che genera il legare. Questa definizione non indica nulla,
ma trova nella deissi gli elementi di comprensione, per cui il contadino di
Amendolara può asserire: “iè tust’ com’ ann’murgia! Cu u movid’ ” (è duro
di comprendonio, come la murgia! Chi lo smuove). Da ur fu dedotta urna,
che rimanda al grembo, con i significati: vaso, brocca, secchia, urna cineraria/sepolcrale,
urna per la sorte. I latini elaborarono: urbs urbis:
città, che viene formulata con il linguaggio del grembo: va dall’ho lo
scorrere il legare (durante i nove mesi, mentre tantissimi operano insieme)
che fa nascere (mancare) le innumerevoli realizzazioni. Pertanto,
la cultura, che è alla base dell’incivilimento, quella del civis,
che sa vivere in comunità, producendo grandiosi risultati, prevale sulla natura,
sullo stato di natura, che aveva costretto gli uomini a vivere l’uno contro
l’altro. Da urbs furono generati urbano e urbanità. Gli italici
da ur, probabilmente alla greca: ουρ,dedussero
urto e urtare (come mi urta!), in quanto la creatura batte
contro la parete elastica! Da ur i latini dedussero ur-o:
brucio. La spiegazione è possibile solo con delle ipotesi.
I latini, come anche i greci, furono
molto ingegnosi per coniare fuoco e bruciare. I greci da una
perifrasi molto vaga: è ciò che faccio (ciò che avviene) dall’andare
il generare, che è la radice kai, da cui καίω, derivarono: brucio. I latini elaborarono
ignis, asserendo: va a generarsi dentro il mancare frutto del legare (della
legna?). Formularono uro/ustum (alla greca per crasi di: εορ-ω)con
questa perifrasi: è ciò che faccio quando incomincia lo scorrere (la
gravidanza?). Dal supino ustum, fu dedotto il participio perfetto ustus
(bruciato), mediante questa perifrasi: è ciò che è mancato/avvenuto
(us desinenza si rende con: dall’ho il mancare) a seguitodel
crescere che tende, che potrebbe richiamare il fuoco che arde. Probabilmente
il bruciare o era un atto propiziatorio o si riscontrava nella femmina
in calore o semplicemente il fuoco che arde. D’altra parte, i greci avevano
definito il fuoco πῦρπυρός: fa
l’ho (quello di cui parlo?, la creatura in grembo?) loscorrere l’andare
a legare, che è un modo molto astruso per indicare il fuoco. Il fatto che
da πῦρ sia stata
dedotta πύρα (pira), come catasta di legna su cui
bruciare la vittima alla divinità, potrebbe far pensare a πῦρ come un
atto propiziatorio, anche perché θύω: sacrifico,
faccio fumare, alla lettera si rende: cresce l’ho. Sicuramente la parola fuoco, in
latino focus, trova un’origine molto plausibile, come dedotto da: φῶςφωτός: luce,
nel senso che la luce è emanazione del fuoco. Tra l’altro, i latini, dalla radice
φα di φα-ος, avevano
anche dedotto fax facis: fiaccola, da cui face, facelle
(in dialetto le faciglie sono le scintille), faville ecc. Inoltre, con il prefisso a (genera),
da ορ, greci e latini avevano elaborato ωρda
cui si ebbe: ὥρα: stagione, tempo opportuno,
l’ora del giorno, hora, ora: costa. I latini,
inoltre, per espansione logica elaborarono ordo ordinis,
che rimanda al processo ordinato (successione regolare) del grembo, mentre lega.
Gli italici, interpretando ordine come comando, lessero la lettera d come
mancare che genera il legare, per cui pensarono che occorreva, in modo
inderogabile, eseguire per come prestabilito. Con un’altra espansione logica elaborarono
origo originis: l’essere che si genera ha una sua origine, che
rimanda a coloro che l’hanno fatto nascere, quindi, formularono: originale,
originario, originalità, che indica le qualità uniche di chi è
stato generato. In latino, c’è il verbo ornare,
che dimostra, in modo inequivocabile, che il pastore legge il processo
formativo del grembo. Infatti, ad orno/ornatum i latini attribuirono i
seguenti significati: acconcio, abbellisco, in quanto, nella graduale
formazione dell’essere, si riscontra l’abbellimento della creatura. Da orn fu
dedotto: cornu cornus, quindi, cornuto, per cui Dante poté dire: “lo
maggior corno della fiamma antica “e altri dissero: argomento cornuto.
Gli italici, leggendo alla lettera la perifrasi, cornutus individuarono in
curnut’ colui cui si attribuisce una paternità, senza meritarla. Da orno
furono dedotti altri lemmi, tra gli altri: ad-orno e dis-ad-orno,
ma anche: sub-orno: seduco, corrompo, in quanto il pastore
latino lesse alla lettera la perifrasi suborno: adesco per far
soggiacere al mio volere, in quanto sub, ad litteram, è da tradurre:
è ciò che nasce dal generare il mancare. Infine, un sinonimo di subornare è se-ducere:
conduco in disparte, in quanto se si traduce: dal generare il
mancare, poi, acquisì il significato di: condurre per mancare, per
cui si ebbe: seducere testimonem, seducere puellam.