Pagine

sabato 11 marzo 2023

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
Oriente


Ci fu una radice: ορ, dalla quale furono dedotte molte parole, in greco e in latino. È una breve perifrasi sibillina, che si può rendere: l’ho scorre, che, nella lettura del grembo, è estremamente generica e che, tuttavia, dà l’abbrivio a significati ben precisi. La prima deduzione, senz’altro, fu: (orao) ράω: vedo, guardo, osservo, in quanto il pastore greco disse: dal sema (durante la gestazione) si evidenzia la gravidanza. Per formare tutte le voci verbali di questo verbo si avvalse di altre radici: ιδ (va il mancare, genera il mancare), che indica la progressiva formazione della creatura e di οπ da cui aveva dedotto: πσομαι/σσομαι: vedo, presagisco. I latini da ράω dedussero oracolo, che i greci, legando allo stesso contesto, avevano indicato con μαντεία e con χρησμός.
Un altro verbo molto importante, dedotto da ορ, fu (ornumi) ρνυμι, a cui furono assegnati i seguenti significati: faccio sorgere, mi alzo, mi levo, sorgo, eccito, spingo, azioni che il pastore determina, osservando il sollevamento del grembo. Da questa radice, dall’espansione di questa radice e mediante deduttivi, i greci dedussero tante parole. Una, in consonanza con sollevare fu (oros) ρος ρεως: monte, come metafora del sollevamento del grembo. In italiano si ebbe: orografia e sistema orografico. I greci, dallo scorrere in avanti, dedussero anche ρος ρου: limite, confine, ad indicare che lo scorrere della creatura ha un confine, oltre il quale c’è la nascita. Da limite c’è: chi limita, chi pone il limite: ρίζω, per cui il poeta poté dire: “e questa siepe, che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.  Da ciò si evince che l’orizzonte è la linea-limite, oltre la quale la vista non va.



Con una ε trasformò ρνυμι in ορανός: volta celeste, cielo, quindi l’aggettivo uranio nel senso del cielo e, quindi, altissimo e, poi, θεόι Ορανίωνες, poi, i figli di Urano: i Titani. Da ορ, sempre premettendo un ε, formò la radice ορ-έω: emetto con l’urina, urino, da cui, poi, i latini derivarono: urina. Il pastore greco espande la radice ορ, aggiungendo il gamma: οργ, da leggere: l’ho che scorre genera. Per prima, formula ργ-αω, che gli fa pensare alla voglia di generare (da ricollegare ad eccito presente in ρνυμι) e alla sua natura in quella situazione: desidero ardentemente, sono impaziente per, sono fecondo, sono rigoglioso, per cui deduce orgasmo, ma anche ργ-ή ργς: disposizione naturale, ma anche: collera, ira, sdegno, in quanto ης significa: dal generare il legare, per cui da una parte ricava la disposizione naturale, l’indole, come predisposizione, dall’altra la collera, l’ira, lo sdegno, frutti di un accumulo negativo (il legare per risentimento). Da οργ deduce: τά ργιά: le orge, ma anche culti misterici in onore di. Sempre da questa radice fu ricavato: τό ργανον, che, inizialmente, indicò l’organo, come fallo, organo della riproduzione, per, poi, indicare: strumento/utensile. Da organo fu dedotto: ργανικός: che serve come strumento, strumentale, organico, nel senso di: funzionale a, mentre oggi parliamo di materia organica, di materiale organico, da cui: gli organismi viventi. Gli italici, invece, dalla radice αοργαν/ωργαν, dedussero organizzo quanto è funzionale per la realizzazione della creatura in grembo.
Sicuramente, i greci, quando elaborarono l’aggettivo: ρ-θός: diritto, eretto, in linea eretta, retto, da cui ortogonale, ma anche retto, nel senso di corretto (ortografia), pensarono al fallo in erezione, quando lega. C’è da ricordare che questa radice fu inserita in molti contesti logici dai latini, come, ad esempio, nel perfetto irregolare ortus sum di orior. Tanto a voler dimostrare che è il pastore che, per una serie di concause anche logiche, deduce il significato dalla perifrasi con cui forma la parola.



Da ricordare, poi, che, da ορθ, i latini dedussero: orso/orsa, ma, quando formularono Ursa maior/Ursa minor, vollero indicare (dall’ho lo scorrere il crescere generare il legare) dei punti di riferimento, in cielo, per orientarsi negli spostamenti.
Da ρνυμι: mi sollevo, dedussero: (ornis ornithos) ρν-ις ρν-ιθος: uccello come volatile, in quanto la perifrasi suona così: va a crescere il sollevamento, da cui manca (si genera) il volatile; tale perifrasi ricorda: le cose coselle: funzionali all’acquisizione dei significati delle parole. Per apportare qualche altra esemplificazione, da ορ, aggiungendo la mi (μ) fu formulata la radice: ορμ (rimane lo scorrere, qui come fluire) da cui fecero una deduzione forte: ρμ-έω: sto all’ancora, sono ancorato, da cui, poi, in italiano: ormeggio. Nella lingua italiana, invece, questa radice determinò: orma, che è ciò che genera il rimanere di chi scorre, nel senso di scorrere procedendo, durante il cammino.
I latini non solo conobbero ορ, ma anche: ρνυμι, verbo che riformularono in orior/ortus sum: sorgo, mi levo, mi sollevo, nasco, e che, sicuramente, identificarono con il sorgere del sole, da cui oriente, come punto da cui si solleva il sole, e, quindi, l’orientamento, quando sono disorientato. Quindi, fu coniato: ab-orior: vengo meno, anche come tramonto, ma il pastore ripensò al sollevarsi del grembo, per cui dedusse: nasco prima del tempo e, in chi è nato prima del tempo, c’è l’aborto. Per quanto riguarda tramonto degli italici, bisogna dire che essi indicarono il tramonto del sole, attraverso la metafora del grembo, che, dopo il parto, scompare, cosa che, prima avevano fatto i latini con occasus.
Gli italici, in cui si erano stratificati tanti elementi concettuali, da ρνυμι, dal levare (del sole) dissero, alla maniera di Francesco: iornu, meglio ancora, nel mio dialetto: iurn’: giorno: si è sollevato il sole, si è fatto giorno, bisogna iniziare la giornata di lavoro e di fatica per procurarsi l’indispensabile, per soddisfare i bisogni!



Per quanto riguarda giorno è possibile che sia una deformazione fonica di diurnus, per come sostengono molti filologi.
In latino, la o di ορ si oscurò in ur, oppure, alla greca divenne: εο/ου (dall’ho), per cui aggiungendo un γ/g, si formulò la radice: urg che portò a urg-eo: deve nascere la creatura, si deve intervenire immediatamente, è urgente. Inoltre, premettendo a urg un δ (manco) assibilato, cambiò il contesto e si formò: surgo/subrectum/surrectum come metafora del grembo, poi: torno a sorgere: re-surgo, ma anche: insurgo, in quanto ins fu letto: si genera dentro il mancare, per cui la gente che manca dell’indispensabile insorge. Poi, a urg fu anteposto una θ, per cui si ebbe: t-urg-eo, turgore, turgido, che è ciò che si desume dal grembo pieno e dalle poppe turgide.
Premettendo una emme a urg/urχ si formò la murgia pugliese e quella calabrese, quella del mio paese, che è un rilievo compatto di pietrame di origine marina, che risale a centinaia di millenni. La perifrasi è molto vaga: rimane dall’ho lo scorrere il passare (è nel corso del tempo), ciò che genera il legare. Questa definizione non indica nulla, ma trova nella deissi gli elementi di comprensione, per cui il contadino di Amendolara può asserire: “iè tust’ com’ ann’murgia! Cu u movid’ ” (è duro di comprendonio, come la murgia! Chi lo smuove).
Da ur fu dedotta urna, che rimanda al grembo, con i significati: vaso, brocca, secchia, urna cineraria/sepolcrale, urna per la sorte.
I latini elaborarono: urbs urbis: città, che viene formulata con il linguaggio del grembo: va dall’ho lo scorrere il legare (durante i nove mesi, mentre tantissimi operano insieme) che fa nascere (mancare) le innumerevoli realizzazioni. Pertanto, la cultura, che è alla base dell’incivilimento, quella del civis, che sa vivere in comunità, producendo grandiosi risultati, prevale sulla natura, sullo stato di natura, che aveva costretto gli uomini a vivere l’uno contro l’altro. Da urbs furono generati urbano e urbanità. Gli italici da ur, probabilmente alla greca: ουρ, dedussero urto e urtare (come mi urta!), in quanto la creatura batte contro la parete elastica!
Da ur i latini dedussero ur-o: brucio. La spiegazione è possibile solo con delle ipotesi.



I latini, come anche i greci, furono molto ingegnosi per coniare fuoco e bruciare. I greci da una perifrasi molto vaga: è ciò che faccio (ciò che avviene) dall’andare il generare, che è la radice kai, da cui καίω, derivarono: brucio. I latini elaborarono ignis, asserendo: va a generarsi dentro il mancare frutto del legare (della legna?). Formularono uro/ustum (alla greca per crasi di: εορ-ω) con questa perifrasi: è ciò che faccio quando incomincia lo scorrere (la gravidanza?). Dal supino ustum, fu dedotto il participio perfetto ustus (bruciato), mediante questa perifrasi: è ciò che è mancato/avvenuto (us desinenza si rende con: dall’ho il mancare) a seguito del crescere che tende, che potrebbe richiamare il fuoco che arde. Probabilmente il bruciare o era un atto propiziatorio o si riscontrava nella femmina in calore o semplicemente il fuoco che arde. D’altra parte, i greci avevano definito il fuoco πρ πυρός: fa l’ho (quello di cui parlo?, la creatura in grembo?) lo scorrere l’andare a legare, che è un modo molto astruso per indicare il fuoco. Il fatto che da πρ sia stata dedotta πύρα (pira), come catasta di legna su cui bruciare la vittima alla divinità, potrebbe far pensare a πρ come un atto propiziatorio, anche perché θύω: sacrifico, faccio fumare, alla lettera si rende: cresce l’ho.
Sicuramente la parola fuoco, in latino focus, trova un’origine molto plausibile, come dedotto da: φς φωτός: luce, nel senso che la luce è emanazione del fuoco. Tra l’altro, i latini, dalla radice φα di φα-ος, avevano anche dedotto fax facis: fiaccola, da cui face, facelle (in dialetto le faciglie sono le scintille), faville ecc.
Inoltre, con il prefisso a (genera), da ορ, greci e latini avevano elaborato ωρ da cui si ebbe: ρα: stagione, tempo opportuno, l’ora del giorno, hora, ora: costa. I latini, inoltre, per espansione logica elaborarono ordo ordinis, che rimanda al processo ordinato (successione regolare) del grembo, mentre lega. Gli italici, interpretando ordine come comando, lessero la lettera d come mancare che genera il legare, per cui pensarono che occorreva, in modo inderogabile, eseguire per come prestabilito. Con un’altra espansione logica elaborarono origo originis: l’essere che si genera ha una sua origine, che rimanda a coloro che l’hanno fatto nascere, quindi, formularono: originale, originario, originalità, che indica le qualità uniche di chi è stato generato.
In latino, c’è il verbo ornare, che dimostra, in modo inequivocabile, che il pastore legge il processo formativo del grembo. Infatti, ad orno/ornatum i latini attribuirono i seguenti significati: acconcio, abbellisco, in quanto, nella graduale formazione dell’essere, si riscontra l’abbellimento della creatura. Da orn fu dedotto: cornu cornus, quindi, cornuto, per cui Dante poté dire: “lo maggior corno della fiamma antica “e altri dissero: argomento cornuto. Gli italici, leggendo alla lettera la perifrasi, cornutus individuarono in curnut’ colui cui si attribuisce una paternità, senza meritarla. Da orno furono dedotti altri lemmi, tra gli altri: ad-orno e dis-ad-orno, ma anche: sub-orno: seduco, corrompo, in quanto il pastore latino lesse alla lettera la perifrasi suborno: adesco per far soggiacere al mio volere, in quanto sub, ad litteram, è da tradurre: è ciò che nasce dal generare il mancare. Infine, un sinonimo di subornare è se-ducere: conduco in disparte, in quanto se si traduce: dal generare il mancare, poi, acquisì il significato di: condurre per mancare, per cui si ebbe: seducere testimonem, seducere puellam.