La Francia e l’Italia: Macron e Meloni. Chi
avesse preso sul serio ciò che, per molti anni aveva minacciato Giorgia
Meloni, soprattutto quando si era opposta duramente a Mario Draghi (e a tutto
l’establishment cosiddetto di sinistra, e non solo esso, che gli
teneva bordone) parlando a destra e a manca, avrebbe potuto temere (non a
torto, dandole credito) robusti scossoni per l’Unione Europea e seri
pericoli per la fedeltà atlantica, se al potere fosse giunto un
centro-destra da lei condotto. In
realtà, l’ambiziosa aspirazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
aveva già compiuto il “miracolo” di una radicale trasformazione della leader
post fascista di Fratelli d’Italia, nel corso della campagna elettorale. La
Meloni aveva, infatti, molto “annacquato” le sue posizioni barricadere
(per ingraziarsi gli Americani, cogliendone le propensioni verso una
rivalutazione del nazi-fascismo scoperto in Ucraina) e la sua “propaganda”
aveva sorpreso i suoi stessi “camerati”, che avevano seguito la
loro leader, adusi a un’obbedienza “pronta, cieca ed assoluta”. È
verosimile, però, che essi pur disposti a credere, obbedire, (e far combattere
gli ucraini, con le armi fornite da Crosetto) qualche sorpresa l’abbiano
avvertita per il recente viaggio di Emmanuel Macron in Cina. Il Presidente
della Repubblica Francese (che non a caso, in precedenza, qualche sgarbo alla
Meloni lo aveva fatto, per prendere le distanze dalla sua politica) incontrando
Xi Jinping, a parte la tessitura di utili rapporti commerciali, si è convinto
che l’Europa debba scrollarsi di dosso l’egemonia (non ha aggiunto:
prevaricante, ma era questo l’aggettivo che in un linguaggio meno diplomatico
avrebbe usato) degli Statunitensi e starsene buona nel caso in cui la
Cina, anelando a ricostituire la sua unità nazionale, avesse annesso alla
Repubblica Popolare lo Stato di Taiwan. Considerato, infatti, che il
comunismo è considerato da Xi Jinping un errore del passato (da non
ripetere) e che l’annessione non comprometterebbe i principi di libertà
economica esistenti nell’isola, l’idea non deve essere apparsa all’uomo
politico francese diversa dalle aspirazioni galliche, di tempo addietro, di
far proprie “Nizza, Savoia e Corsica fatal” (considerate dal Duce “sponde di
romanità”) e a quelle italiche di ricongiungere alla “madre-Patria” Trieste
e Trento. Naturalmente, Ursula von der Layen, “terzo incomodo” allo storico
incontro di Pechino, si è dissociata dal compagno di viaggio francese, ripetendo
alla stampa e in televisione i consueti “bla bla bla” sull’unità Europea. Non
è dato ancora sapere se il suo connazionale a capo del governo tedesco che, di
recente, qualche torto dagli americani lo ha ricevuto, condividerà la sua
posizione. Staremo a vedere!