LA GUERRA PARTIGIANA IN VALLE CAMONICA di
Marco Vitale
Si
è svolto a Sellero, il 21 aprile scorso, un incontro promosso da Ecomuseo della
Resistenza, Federazione Volontari per la Libertà, Associazione Fiamme Verdi, A.N.P.I
Sezione di Valsaviore e Alta Valle Camonica, Comune di Sellero. Proponiamo ai
nostri lettori la prolusione tenuta da Marco Vitale. “È
questa unità d’intenti, di propositi, di azione che fu propria della Resistenza
che noi vogliamo celebrare in questo nostro incontro. Ho detto celebrare e non
commemorare. Il nostro incontro non è una commemorazione. Le commemorazioni
interessano i morti, le cose morte, e noi invece vogliamo esaltare qualcosa che
in noi è vivo e deve essere vivo nell’Italia di oggi. E vivi sono nei nostri
cuori e nel loro insegnamento i compagni che hanno affermato col supremo
sacrificio la loro fede”. (Lionello
Levi Sandri. Discorso tenuto il 22 settembre 1984 al Convegno dei candidati
partigiani) La
guerra partigiana bresciana è stata assai importante, illustrata da personaggi
di valore, ben documentata da studi storici seri ed affidabili. Nel suo ambito
le vicende della Val Camonica e dei suoi protagonisti occupano un ruolo di
primo piano. Basti pensare al feroce assalto fascista del 3 luglio 1944 a Cevo
(Valsaviore), che lasciò ottocento abitanti su mille senza tetto. O pensare
all’eroica Corteno dove, secondo i fascisti, anche i muli sono partigiani e
dove opera il gruppo di Antonio Schivardi 34 anni, insegnante “primo tra i
primi in ogni combattimento, in ogni audacia”, come reca la motivazione della
medaglia d’oro al valore militare decretata alla memoria. O ricordare che nel
settembre 1944 Pontedilegno fu liberata dai partigiani e venne amministrata,
con il metodo democratico, dopo aver allontanato il podestà fascista. E lo
stesso avvenne in altri comuni dell’Alta Val Camonica, come Vezza d’Oglio, Vione,
Corteno e altre località e comuni dove operava la 54° Brigata Garibaldi come in
Valsaviore, Cimbergo, Paspardo. E penso soprattutto alle due battaglie del
Mortirolo, la prima del 22 febbraio 1944 e la seconda che inizia il 10 aprile
1945. Le battaglie del Mortirolo furono gli unici scontri campali della
Resistenza. Sul passo del Mortirolo le Fiamme Verdi avevano creato una
postazione stabile, ben protetta e ben guidata da Lionello Levi Sandri,
capitano e combattente coraggioso, ma anche finissimo giurista. Ebreo per parte
di padre, per lunghi anni apprezzato ed amato professore al Liceo Arnaldo,
espulso dalla scuola a causa delle leggi antiebraiche. Il Distretto Culturale
di Valle Camonica ha dedicato un saggio importante alla famiglia Levi Sandri in
un bel libro intitolato “Storie di ebrei in Val Camonica tra fughe e
Resistenza” (Compagnia della Stampa, 2016). Io avrò occasione di collaborare
con Lionello Levi Sandri, presidente del Consiglio di Stato nel corso degli
anni ’80.
Fu
grazie alla guerra partigiana che la medaglia d’argento al valore militare che
decora il gonfalone del Comune di Brescia poté essere motivata con queste
parole: ‘Nella lotta di liberazione la Città di Brescia prodigava con generosa
larghezza il sangue dei suoi figli migliori e con il fiero e tenace contegno
degli abitanti della città e della provincia sosteneva validamente la
resistenza contro l’invasore. Memorabili e duri gli scontri combattuti nelle
valli, e mirabili tra tutti quelli del passo del Mortirolo e quelli delle valli
Trompia e Sabbia. Nei giorni della insurrezione generale, liberatasi con
fulminea azione dall’occupazione nemica, la popolazione bresciana osava
chiudere le sue strade alle colonne tedesche in ritirata e con sanguinosi
combattimenti causava gravi danni al nemico e provocava la cattura di migliaia
di prigionieri’. Le
cifre della Resistenza bresciana sono queste: 3
medaglie d’oro al valore militare 26
medaglie d’argento al valore militare 21
medaglie di bronzo al valore militare 19
croci di guerra I
caduti nelle formazioni partigiane e nei campi di concentramento furono 1312.
E
dietro a queste crude cifre ci sono tante storie umanamente e intellettualmente
coinvolgenti, in gran parte testimoniate dalle lettere di commiato dei
condannati a morte, come Astolfo Lunardi (53 anni) condannato insieme a Ermanno
Margheriti (24 anni) e fucilati insieme, come padre e figlio. Come Luigi Ercoli
di Bienno, 26 anni, uno dei primi organizzatori del movimento partigiano in Val
Camonica. Fu sottoposto a durissime torture e poi inviato ad un campo di
concentramento vicino a Mauthausen dove muore il 15 gennaio 1945. La sua ultima
lettera inviata dal carcere bresciano a un amico è tra le più drammatiche e
forti della Resistenza bresciana. In essa descrive dettagliatamente le torture
subite e definisce gli obiettivi di tante sofferenze con queste parole: “Ora
mi scorrono le lacrime. Le prime da che sono qua. Piango e non so il perché.
Forse è l’essere qua inattivo per quella libertà. Ma se Iddio ci guarda dovrà
pur concordare che Dio, Patria, Famiglia, devono essere accompagnate da Fede, Libertà
e Pace, sei cose che noi vogliamo ed avremo. Costi quello che costi”. E
poi a Brescia ci sono i carcerati nella cella dei “politici”, la cella 101,
dove su una parete qualcuno ha scritto: “Quando nel mondo l’ingiustizia impera,
la patria degli onesti è la galera”. Qui sono passati in tanti, tra i quali
Luigi Ercoli del quale ho già detto. Edoardo Ziletti, nelle sue memorie dal carcere,
così descrive gli ospiti della cella 101 di quell’amarissimo autunno 1944: “E
rivedo anche te, amico Boni, disteso sulla branda, inseguire teoremi di fisica
e proposizioni filosofiche, in attesa paziente di tempi più umani; e il
tumultuoso Vitale e il pacifico Lorandi e l’allegro Marconi e il flemmatico
Leonardi, la bella compagnia cui è venuto ad aggiungersi il giovane Botticelli
coi segni delle percosse sul viso… E Don Vender? L’avete visto guizzare, in
pantaloni e maniche di camicia, per i corridoi, da un usciolo all’altro a
portare cibo, biglietti, parole di incoraggiamento e di conforto? Se lo
beccavano, chi l’avrebbe salvato? Non ho mai visto un uomo così pieno di fede e
di coraggio come lui, allora”.
In
realtà quello che Don Vender faceva anche in carcere, e cioè assistere gli
antifascisti e i partigiani arrestati, era quello che molti facevano fuori dal
carcere, senza pensare che, secondo le ordinanze dei tedeschi, queste attività
erano passibili di pena di morte. Il periodo dal 25 luglio 1943 (caduta del
fascismo) e dall’8 settembre 1943 (armistizio del governo Badoglio con gli
Angloamericani con immediata occupazione tedesca dell’Italia del Nord), sino al
25 aprile 1945, fu un periodo tumultuoso, intenso e doloroso. In ogni città e
valle del Nord si andò organizzando la Resistenza partigiana per la liberazione
dell’Italia dai tedeschi e dai fascisti della repubblica sociale di Salò. Mio padre,
liberale crociano e antifascista da sempre, collaborò nell’organizzazione della
Resistenza partigiana nel bresciano e riceverà una croce di guerra per questa
attività. Fu anche lui carcerato a Brescia con Boni e Vender, ma non fu
processato perché durante il grande bombardamento del 13 luglio 1944 riuscì,
con altri, a fuggire. Noi eravamo rifugiati in una casetta che mio padre, con
grande lungimiranza, aveva acquistato ed attrezzato sino dal 1938.
Con
queste radici e in questa atmosfera familiare potete, forse, capire come anche
un ragazzo tra gli 8 e 10 anni potesse essere molto consapevole e partecipe
della situazione. Io porto la apparentemente strana testimonianza che, in quegli
anni, anche un ragazzo tra gli 8 e 10 anni poteva capire perfettamente cosa
stesse succedendo e sentirsi partecipe degli eventi. Ma quelli erano anni in
cui si cresceva in fretta. In quei due anni incontrai, al seguito di mio padre,
parecchi antifascisti militanti e parecchi partigiani. La nostra casetta era
molto isolata e si trovava ai piedi delle montagne che segnano il passaggio dalla
Franciacorta alla Val Camonica. Da lì partivano i sentieri di montagna che da
un lato salivano a Polaveno e si connettevano con la Val Trompia e dall’altro
quelli che si connettevano con la Val Camonica e con la Svizzera. La
maggioranza dei combattenti che si fermavano a casa nostra erano in transito ma
c’erano anche dei partigiani stanziali insieme ai quali ascoltavamo i messaggi
di Radio Londra. Era affascinante per me stare con i grandi che mi chiamavano “bocia”
e ascoltare insieme a loro i messaggi criptati che erano di grande importanza
per gli aviolanci. “La scuola è cominciata” voleva dire: siamo pronti al
lancio; “il vulcano si è spento”, non abbiamo potuto lanciare; “andate in cerca
di funghi”, scenderanno dei paracadutisti.Ma il messaggio che non ho mai dimenticato per la gioia che esso suscitò
nei grandi fu il messaggio: “Attenzione! Per Alberico le foglie spuntano”
voleva dire che gli anglo-americani si erano convinti a lanciare materiale
utile sul Mortirolo, dove le Fiamme Verdi si erano radicate. E ricordo, a
contrario, il senso di demoralizzazione e di tristezza quando, nell’autunno
1944, giunse il proclama indirizzato dagli Alleati ai combattenti della
Resistenza che diceva: “Patrioti, la campagna estiva è finita ed ha inizio
la campagna invernale. Il sopravvenire della pioggia e del fango
inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia. Quindi le
istruzioni sono come segue: cesserete
per il momento operazioni organizzate su vasta scala; conserverete
le vostre munizioni e vi terrete pronti per nuovi ordini; ascolterete
il più possibile il programma “Italia combatte” trasmesso da questo Quartier
Generale, in modo da essere al corrente di nuovi ordini e cambiamenti di
situazione”.
Teresio Olivelli
Il
messaggio fu inteso come un ordine di smobilitazione. E comunque gli aviolanci
furono sospesi. Ma nessuno realmente smobilitò ed anzi qualcuno incominciò a
pensare alla ricostruzione, come Teresio Olivelli. Il 12 gennaio 1945 muore nel
campo di lavori forzati di Hersbruck Teresio Olivelli, medaglia d’oro della
Resistenza e che era entrato a far parte della resistenza a Brescia pur non
essendo bresciano e che tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 svolse tra
Milano e Brescia un’attività prodigiosa, prima di essere arrestato il 27 aprile
1944. È lui l’autore della Preghiera del Ribelle, la più bella composizione
poetica della Resistenza. È lui, insieme al compagno Sertori, entrambi membri del
Collegio Universitario Ghislieri di Pavia, del quali Olivelli fu giovanissimo
rettore, il principale progettatore e animatore della rivista Il Ribelle, la
più importante rivista della Resistenza, il cui primo numero uscì a Brescia nel
marzo 1944. Se ne stamparono 15 mila copie e fu distribuito oltre che a
Brescia, a Pavia, Cremona, Bergamo, Val Camonica, Val Sabbia, Lago d’Orta.
Nel
corso del 1944 si andò organizzando il movimento delle Fiamme Verdi, certamente
la più originale formazione partigiana bresciana, nata una notte di dicembre
del 1943 a Brescia, in casa Piotti, via Aleardi 11 e che avrà il comando operativo
e il quartiere generale in Cividate Camuno nella canonica di Don Carlo Comensoli
un prete coraggioso.Il regolamento
delle Fiamme Verdi è molto chiaro ed evidenzia le caratteristiche del
movimento: “Le
Fiamme Verdi continuano la gloriosa tradizione dei battaglioni alpini italiani
che non hanno conosciuto sconfitta. Le Fiamme Verdi appartengono al Corpo
Volontari della Libertà e fanno parte, come unità guerrigliera, dell’Esercito
italiano di Liberazione. Essere una Fiamma Verde è un onore e un impegno
totale. La Fiamma Verde rispetta la proprietà altrui, lenisce la miseria,
denuncia ai superiori l’ingiustizia e disciplinatamente, se gli sia comandato,
la punisce”. C’è
anche il giuramento da fare, la mano sul Vangelo: “Giuro
di combattere finché i tedeschi e fascisti non siano cacciati definitivamente
dal suolo della Patria, finché l’Italia non abbia unità, libertà, dignità.
Giuro di non far tregua coi vili, i rinnegati, le spie; di mantenere il segreto
e di non venire mai meno alla disciplina. Qualora venissi meno al mio
giuramento, invoco su di me la vendetta dei fratelli italiani e la giustizia di
Dio”.
Le
Fiamme Verdi sono un movimento di chiara ed esplicita ispirazione cattolica, ma
non si identificano con nessun partito come è chiaramente confermato nel
messaggio di congedo che il Generale Masini, comandante delle Fiamme Verdi,
invierà il 28 aprile 1945: “La
grande ora è venuta. Le bandiere della libertà sono ora tutte spiegate al
vento. Dai monti e dalle valli sono scese alle città le nostre belle divisioni.
Si sono aperte la strada combattendo e le loro verdi fiamme hanno annunciato al
popolo l’ora della liberazione. Ed è anche venuto il momento per noi
conclusivo, quello che noi abbiamo voluto come unica meta, quello oltre il
quale ognuno riprende la sua strada. Il nostro compito di soldati è terminato.
Comincia domani il compito di ciascuno come cittadino, secondo le aspirazioni e
le tendenze politiche che lo indirizzano. Una sola cosa abbiamo da rivendicare:
la volontà di mantenere all’Italia la libertà che i patrioti le hanno
riconsacrato col sangue e l’amore per questa nostra Patria sfortunata ed eroica”. 28
aprile 1945 Il
Generale Masini Comandante
le Fiamme Verdi
Piero Calamandrei
Un
giorno, ricordando Don Vender, il prete dell’argine, già cappellano militare delle
Fiamme Verdi, Mino Martinazzoli concluse dicendo: “La lezione di questi
uomini, di questi preti, certamente ha prodotto un seme che non può esser
diventato infecondo. Il problema vero che abbiamo è quello di essere dei buoni
cittadini, capaci per questo, di approntare una buona terra che lo riscaldi e
torni a farlo fiorire”. Le nostre generazioni (intendo quella di
Martinazzoli e la mia) hanno avuto grandi maestri. Ma non siamo stati bravi
allievi. Ne abbiamo fatto mediocre uso. Per questo la Resistenza non finisce il
25 aprile 1945, ma deve riprendere e continuare in difesa della Libertà (non
solo nostra) e della nostra Costituzione che sono il frutto migliore di quella
stagione, ma che sono ora in forte pericolo e si stanno sgretolando. L’unica
cosa seria che possiamo fare è di trasmettere, con grande umiltà, ai giovani
gli insegnamenti e gli esempi che noi abbiamo ricevuto. Così, con Luciano
Costa, possiamo trasmettere un bellissimo insegnamento di Don Vender: “Animo, Animo”.
E insieme quello che un altro grande maestro, Piero Calamandrei, indirizzò ai
giovani, in occasione di un altro 25 aprile: “Se voi volete andare in
pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle
montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei
campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la
libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la
nostra Costituzione”.