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sabato 29 aprile 2023

LA GUERRA PARTIGIANA IN VALLE CAMONICA
di Marco Vitale


Si è svolto a Sellero, il 21 aprile scorso, un incontro promosso da Ecomuseo della Resistenza, Federazione Volontari per la Libertà, Associazione Fiamme Verdi, A.N.P.I Sezione di Valsaviore e Alta Valle Camonica, Comune di Sellero. Proponiamo ai nostri lettori la prolusione tenuta da Marco Vitale.
 
È questa unità d’intenti, di propositi, di azione che fu propria della Resistenza che noi vogliamo celebrare in questo nostro incontro. Ho detto celebrare e non commemorare. Il nostro incontro non è una commemorazione. Le commemorazioni interessano i morti, le cose morte, e noi invece vogliamo esaltare qualcosa che in noi è vivo e deve essere vivo nell’Italia di oggi. E vivi sono nei nostri cuori e nel loro insegnamento i compagni che hanno affermato col supremo sacrificio la loro fede.
(Lionello Levi Sandri. Discorso tenuto il 22 settembre 1984 al Convegno dei candidati partigiani)
 
La guerra partigiana bresciana è stata assai importante, illustrata da personaggi di valore, ben documentata da studi storici seri ed affidabili. Nel suo ambito le vicende della Val Camonica e dei suoi protagonisti occupano un ruolo di primo piano. Basti pensare al feroce assalto fascista del 3 luglio 1944 a Cevo (Valsaviore), che lasciò ottocento abitanti su mille senza tetto. O pensare all’eroica Corteno dove, secondo i fascisti, anche i muli sono partigiani e dove opera il gruppo di Antonio Schivardi 34 anni, insegnante “primo tra i primi in ogni combattimento, in ogni audacia”, come reca la motivazione della medaglia d’oro al valore militare decretata alla memoria. O ricordare che nel settembre 1944 Pontedilegno fu liberata dai partigiani e venne amministrata, con il metodo democratico, dopo aver allontanato il podestà fascista. E lo stesso avvenne in altri comuni dell’Alta Val Camonica, come Vezza d’Oglio, Vione, Corteno e altre località e comuni dove operava la 54° Brigata Garibaldi come in Valsaviore, Cimbergo, Paspardo. E penso soprattutto alle due battaglie del Mortirolo, la prima del 22 febbraio 1944 e la seconda che inizia il 10 aprile 1945. Le battaglie del Mortirolo furono gli unici scontri campali della Resistenza. Sul passo del Mortirolo le Fiamme Verdi avevano creato una postazione stabile, ben protetta e ben guidata da Lionello Levi Sandri, capitano e combattente coraggioso, ma anche finissimo giurista. Ebreo per parte di padre, per lunghi anni apprezzato ed amato professore al Liceo Arnaldo, espulso dalla scuola a causa delle leggi antiebraiche. Il Distretto Culturale di Valle Camonica ha dedicato un saggio importante alla famiglia Levi Sandri in un bel libro intitolato “Storie di ebrei in Val Camonica tra fughe e Resistenza” (Compagnia della Stampa, 2016). Io avrò occasione di collaborare con Lionello Levi Sandri, presidente del Consiglio di Stato nel corso degli anni ’80.



Fu grazie alla guerra partigiana che la medaglia d’argento al valore militare che decora il gonfalone del Comune di Brescia poté essere motivata con queste parole: ‘Nella lotta di liberazione la Città di Brescia prodigava con generosa larghezza il sangue dei suoi figli migliori e con il fiero e tenace contegno degli abitanti della città e della provincia sosteneva validamente la resistenza contro l’invasore. Memorabili e duri gli scontri combattuti nelle valli, e mirabili tra tutti quelli del passo del Mortirolo e quelli delle valli Trompia e Sabbia. Nei giorni della insurrezione generale, liberatasi con fulminea azione dall’occupazione nemica, la popolazione bresciana osava chiudere le sue strade alle colonne tedesche in ritirata e con sanguinosi combattimenti causava gravi danni al nemico e provocava la cattura di migliaia di prigionieri’.
 
Le cifre della Resistenza bresciana sono queste:
3 medaglie d’oro al valore militare
26 medaglie d’argento al valore militare
21 medaglie di bronzo al valore militare
19 croci di guerra
I caduti nelle formazioni partigiane e nei campi di concentramento furono 1312.
 


E dietro a queste crude cifre ci sono tante storie umanamente e intellettualmente coinvolgenti, in gran parte testimoniate dalle lettere di commiato dei condannati a morte, come Astolfo Lunardi (53 anni) condannato insieme a Ermanno Margheriti (24 anni) e fucilati insieme, come padre e figlio. Come Luigi Ercoli di Bienno, 26 anni, uno dei primi organizzatori del movimento partigiano in Val Camonica. Fu sottoposto a durissime torture e poi inviato ad un campo di concentramento vicino a Mauthausen dove muore il 15 gennaio 1945. La sua ultima lettera inviata dal carcere bresciano a un amico è tra le più drammatiche e forti della Resistenza bresciana. In essa descrive dettagliatamente le torture subite e definisce gli obiettivi di tante sofferenze con queste parole: “Ora mi scorrono le lacrime. Le prime da che sono qua. Piango e non so il perché. Forse è l’essere qua inattivo per quella libertà. Ma se Iddio ci guarda dovrà pur concordare che Dio, Patria, Famiglia, devono essere accompagnate da Fede, Libertà e Pace, sei cose che noi vogliamo ed avremo. Costi quello che costi.
E poi a Brescia ci sono i carcerati nella cella dei “politici”, la cella 101, dove su una parete qualcuno ha scritto: “Quando nel mondo l’ingiustizia impera, la patria degli onesti è la galera”. Qui sono passati in tanti, tra i quali Luigi Ercoli del quale ho già detto. Edoardo Ziletti, nelle sue memorie dal carcere, così descrive gli ospiti della cella 101 di quell’amarissimo autunno 1944:
E rivedo anche te, amico Boni, disteso sulla branda, inseguire teoremi di fisica e proposizioni filosofiche, in attesa paziente di tempi più umani; e il tumultuoso Vitale e il pacifico Lorandi e l’allegro Marconi e il flemmatico Leonardi, la bella compagnia cui è venuto ad aggiungersi il giovane Botticelli coi segni delle percosse sul viso… E Don Vender? L’avete visto guizzare, in pantaloni e maniche di camicia, per i corridoi, da un usciolo all’altro a portare cibo, biglietti, parole di incoraggiamento e di conforto? Se lo beccavano, chi l’avrebbe salvato? Non ho mai visto un uomo così pieno di fede e di coraggio come lui, allora.



In realtà quello che Don Vender faceva anche in carcere, e cioè assistere gli antifascisti e i partigiani arrestati, era quello che molti facevano fuori dal carcere, senza pensare che, secondo le ordinanze dei tedeschi, queste attività erano passibili di pena di morte. Il periodo dal 25 luglio 1943 (caduta del fascismo) e dall’8 settembre 1943 (armistizio del governo Badoglio con gli Angloamericani con immediata occupazione tedesca dell’Italia del Nord), sino al 25 aprile 1945, fu un periodo tumultuoso, intenso e doloroso. In ogni città e valle del Nord si andò organizzando la Resistenza partigiana per la liberazione dell’Italia dai tedeschi e dai fascisti della repubblica sociale di Salò. Mio padre, liberale crociano e antifascista da sempre, collaborò nell’organizzazione della Resistenza partigiana nel bresciano e riceverà una croce di guerra per questa attività. Fu anche lui carcerato a Brescia con Boni e Vender, ma non fu processato perché durante il grande bombardamento del 13 luglio 1944 riuscì, con altri, a fuggire. Noi eravamo rifugiati in una casetta che mio padre, con grande lungimiranza, aveva acquistato ed attrezzato sino dal 1938.


 
Con queste radici e in questa atmosfera familiare potete, forse, capire come anche un ragazzo tra gli 8 e 10 anni potesse essere molto consapevole e partecipe della situazione. Io porto la apparentemente strana testimonianza che, in quegli anni, anche un ragazzo tra gli 8 e 10 anni poteva capire perfettamente cosa stesse succedendo e sentirsi partecipe degli eventi. Ma quelli erano anni in cui si cresceva in fretta. In quei due anni incontrai, al seguito di mio padre, parecchi antifascisti militanti e parecchi partigiani. La nostra casetta era molto isolata e si trovava ai piedi delle montagne che segnano il passaggio dalla Franciacorta alla Val Camonica. Da lì partivano i sentieri di montagna che da un lato salivano a Polaveno e si connettevano con la Val Trompia e dall’altro quelli che si connettevano con la Val Camonica e con la Svizzera. La maggioranza dei combattenti che si fermavano a casa nostra erano in transito ma c’erano anche dei partigiani stanziali insieme ai quali ascoltavamo i messaggi di Radio Londra. Era affascinante per me stare con i grandi che mi chiamavano “bocia” e ascoltare insieme a loro i messaggi criptati che erano di grande importanza per gli aviolanci. “La scuola è cominciata” voleva dire: siamo pronti al lancio; “il vulcano si è spento”, non abbiamo potuto lanciare; “andate in cerca di funghi”, scenderanno dei paracadutisti.  Ma il messaggio che non ho mai dimenticato per la gioia che esso suscitò nei grandi fu il messaggio: “Attenzione! Per Alberico le foglie spuntano” voleva dire che gli anglo-americani si erano convinti a lanciare materiale utile sul Mortirolo, dove le Fiamme Verdi si erano radicate. E ricordo, a contrario, il senso di demoralizzazione e di tristezza quando, nell’autunno 1944, giunse il proclama indirizzato dagli Alleati ai combattenti della Resistenza che diceva: “Patrioti, la campagna estiva è finita ed ha inizio la campagna invernale. Il sopravvenire della pioggia e del fango inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia. Quindi le istruzioni sono come segue:
cesserete per il momento operazioni organizzate su vasta scala;
conserverete le vostre munizioni e vi terrete pronti per nuovi ordini;
ascolterete il più possibile il programma Italia combatte” trasmesso da questo Quartier Generale, in modo da essere al corrente di nuovi ordini e cambiamenti di situazione.


Teresio Olivelli
 

Il messaggio fu inteso come un ordine di smobilitazione. E comunque gli aviolanci furono sospesi. Ma nessuno realmente smobilitò ed anzi qualcuno incominciò a pensare alla ricostruzione, come Teresio Olivelli. Il 12 gennaio 1945 muore nel campo di lavori forzati di Hersbruck Teresio Olivelli, medaglia d’oro della Resistenza e che era entrato a far parte della resistenza a Brescia pur non essendo bresciano e che tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 svolse tra Milano e Brescia un’attività prodigiosa, prima di essere arrestato il 27 aprile 1944. È lui l’autore della Preghiera del Ribelle, la più bella composizione poetica della Resistenza. È lui, insieme al compagno Sertori, entrambi membri del Collegio Universitario Ghislieri di Pavia, del quali Olivelli fu giovanissimo rettore, il principale progettatore e animatore della rivista Il Ribelle, la più importante rivista della Resistenza, il cui primo numero uscì a Brescia nel marzo 1944. Se ne stamparono 15 mila copie e fu distribuito oltre che a Brescia, a Pavia, Cremona, Bergamo, Val Camonica, Val Sabbia, Lago d’Orta.
 


Nel corso del 1944 si andò organizzando il movimento delle Fiamme Verdi, certamente la più originale formazione partigiana bresciana, nata una notte di dicembre del 1943 a Brescia, in casa Piotti, via Aleardi 11 e che avrà il comando operativo e il quartiere generale in Cividate Camuno nella canonica di Don Carlo Comensoli un prete coraggioso. Il regolamento delle Fiamme Verdi è molto chiaro ed evidenzia le caratteristiche del movimento:
Le Fiamme Verdi continuano la gloriosa tradizione dei battaglioni alpini italiani che non hanno conosciuto sconfitta. Le Fiamme Verdi appartengono al Corpo Volontari della Libertà e fanno parte, come unità guerrigliera, dell’Esercito italiano di Liberazione. Essere una Fiamma Verde è un onore e un impegno totale. La Fiamma Verde rispetta la proprietà altrui, lenisce la miseria, denuncia ai superiori l’ingiustizia e disciplinatamente, se gli sia comandato, la punisce.
C’è anche il giuramento da fare, la mano sul Vangelo:
Giuro di combattere finché i tedeschi e fascisti non siano cacciati definitivamente dal suolo della Patria, finché l’Italia non abbia unità, libertà, dignità. Giuro di non far tregua coi vili, i rinnegati, le spie; di mantenere il segreto e di non venire mai meno alla disciplina. Qualora venissi meno al mio giuramento, invoco su di me la vendetta dei fratelli italiani e la giustizia di Dio.



Le Fiamme Verdi sono un movimento di chiara ed esplicita ispirazione cattolica, ma non si identificano con nessun partito come è chiaramente confermato nel messaggio di congedo che il Generale Masini, comandante delle Fiamme Verdi, invierà il 28 aprile 1945:
La grande ora è venuta. Le bandiere della libertà sono ora tutte spiegate al vento. Dai monti e dalle valli sono scese alle città le nostre belle divisioni. Si sono aperte la strada combattendo e le loro verdi fiamme hanno annunciato al popolo l’ora della liberazione. Ed è anche venuto il momento per noi conclusivo, quello che noi abbiamo voluto come unica meta, quello oltre il quale ognuno riprende la sua strada. Il nostro compito di soldati è terminato. Comincia domani il compito di ciascuno come cittadino, secondo le aspirazioni e le tendenze politiche che lo indirizzano. Una sola cosa abbiamo da rivendicare: la volontà di mantenere all’Italia la libertà che i patrioti le hanno riconsacrato col sangue e l’amore per questa nostra Patria sfortunata ed eroica.
 
28 aprile 1945
Il Generale Masini
Comandante le Fiamme Verdi
 
Piero Calamandrei

Un giorno, ricordando Don Vender, il prete dell’argine, già cappellano militare delle Fiamme Verdi, Mino Martinazzoli concluse dicendo: “La lezione di questi uomini, di questi preti, certamente ha prodotto un seme che non può esser diventato infecondo. Il problema vero che abbiamo è quello di essere dei buoni cittadini, capaci per questo, di approntare una buona terra che lo riscaldi e torni a farlo fiorire”. Le nostre generazioni (intendo quella di Martinazzoli e la mia) hanno avuto grandi maestri. Ma non siamo stati bravi allievi. Ne abbiamo fatto mediocre uso. Per questo la Resistenza non finisce il 25 aprile 1945, ma deve riprendere e continuare in difesa della Libertà (non solo nostra) e della nostra Costituzione che sono il frutto migliore di quella stagione, ma che sono ora in forte pericolo e si stanno sgretolando. L’unica cosa seria che possiamo fare è di trasmettere, con grande umiltà, ai giovani gli insegnamenti e gli esempi che noi abbiamo ricevuto. Così, con Luciano Costa, possiamo trasmettere un bellissimo insegnamento di Don Vender: “Animo, Animo”. E insieme quello che un altro grande maestro, Piero Calamandrei, indirizzò ai giovani, in occasione di un altro 25 aprile: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.