NON BANALIZZIAMO
IL “PIANO MATTEI” di Franco
Astengo
La presidente
del governo in carica ha più volte richiamato la necessità di varare un
"Piano Mattei" rivolto ai paesi africani per agevolare la possibilità
dell'Italia di fronteggiare il fabbisogno energetico in forme diverse rispetto
a quanto avvenuto nel corso degli ultimi anni: la guerra in corso dopo
l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha accelerato questo tipo di
esigenza.Per non banalizzare il richiamo al presidente dell'ENI e
oltrepassare anche il riferimento alla sua tragica fine sarebbe il caso di
richiamare - sia pure in forme schematica - all'interno di quale quadro
economico - politico Mattei avesse agito: anche in questo caso oltrepassando il
rituale scenario dello scontro con le "Sette Sorelle" cui si fa
normalmente riferimento in questi casi di richiamo più o meno storico. Allora cerchiamo di andare per
ordine: 1) Alla vigilia
della seconda guerra mondiale l'Italia era classificata al settimo posto al
mondo per il valore aggiunto della produzione manifatturiera calcolata in
dollari correnti e pari a 1.798.000.000- il 2,7% del totale - alle spalle e a
enorme distanza di USA, Germania, URSS, Inghilterra ma anche, in misura minore
a Giappone e Francia; 2) Nel 1937 i
punti di debolezza dell'Italia si misuravano nel numero degli addetti all'industria
e negli HP di potenza installata; nei limiti dell'organizzazione aziendale
mentre il livello della tecnologia non era molto distante da quello dei 6 paesi
citati (in particolare nella produzione di energia elettrica, in quella di
fibre tessili artificiali, in alcuni settori della chimica e della meccanica); 3) Al termine
della seconda guerra mondiale il sistema economico nazionale si configurava
come poco più di un ammasso informe di giacimenti minerari, di aree agricole,
di impianti industriali, di reti di trasporto, di comunicazione, di
distribuzione. Il patrimonio industriale aveva subito danni ragguardevoli
dov'era meno consistente, nell'area centromeridionale: quivi tuttavia erano
ubicati i più grandi stabilimenti del settore siderurgico ed alcuni del settore
chimico; 4) Posto 100
l'indice del 1938 la produzione manifatturiera era precipitata al 29,1 e quella
agricola al 67.3. Per la ricostruzione furono decisivi due fattori: lo schieramento
dalla parte degli USA (con l'accettazione del Piano Marshall) e l'intervento
pubblico in economia, prima di tutto per la ricostruzione della rete
infrastrutturale.
In questo quadro la
disoccupazione fu una scelta strategica. Le conseguenze furono il rallentamento
della ripresa industriale, la riduzione dei salari, il blocco della domanda
interna. La cosa che evidenzia il carattere di classe di questa scelta riguarda
il fatto che accanto alla stretta creditizia, come misura complementare per ridurre
la spesa pubblica e quindi tenere a freno il finanziamento monetario del
deficit, vi fu il drastico aumento del prezzo del pane e dei prezzi
amministrati. Il pane era ancora uno di quei beni che rimaneva
razionato. La politica liberista del governo aveva dunque fatto pagare
costi salatissimi sia al proletariato industriale del Nord, sia al bracciantato
del Mezzogiorno. Agli elevati profitti stavano di fronte salari bassi e
pesantissime condizioni di lavoro: condizioni miserrime per milioni di persone
cui si accompagnava una fortissima emigrazione verso i Paesi europei (pensiamo
allo scambio carbone /manodopera con il Belgio e la trasmigrazione di interi
paesi del Sud in Germania o in Svizzera), le Americhe e l’Australia. La ricostruzione poteva considerarsi ultimata nel 1954, quando la
produzione industriale aveva superato ormai dell’81% la produzione del 1938, ma
le condizioni reali di vita di gran parte del Paese iniziarono a migliorare
soltanto con l’avvio della modernizzazione della grande industria, avvenuta
grazie all’innovazione tecnologica che aveva fornito grande vantaggio alle
esportazioni. Toccò all’industria di Stato ricoprire il ruolo di capofila sia
sul terreno dell’innovazione tecnologica, sia rispetto alle esportazioni, nella
siderurgia, nella chimica e nell’industria petrolifera, con la vicenda legata
all’ENI di Mattei fino alla sua misteriosa scomparsa. Ma se aumentò complessivamente la produttività e con essa i
profitti, i salari rimasero comunque indietro e scarsi furono i progressi dell’occupazione:
nel 1955 risultavano ancora ben 2.161.000 disoccupati. In una fase di sviluppo caratterizzata da alti profitti e da bassi
salari, il padronato portò avanti una dura politica di attacco ai sindacati.
5) Nell'ottobre 1955 da più parti si tentò di compilare un bilancio
di quella fase: fu annunciato lo "schema Vanoni" per lo sviluppo del
reddito e dell'occupazione, fu organizzato il Primo Convegno degli Amici del
Mondo dedicato alla "lotta contro i monopoli" e Palmiro Togliatti in
un saggio dedicato alla scomparsa di Alcide De Gasperi (pubblicato da Rinascita
in due parti) usò per la prima volta la categoria di "restaurazione
capitalistica" che poi ebbe una considerevole fortuna; 6) Il caso più importante e clamoroso nel quadro di questo processo di
restaurazione capitalistica fu quello dell'Eni di Enrico Mattei. L'Eni sorse
nel 1953 dopo la mancata liquidazione dell'Agip, come holding che riuniva varie
società statali del settore energetico con un fondo di dotazione di 30 miliardi
e con "il compito di promuovere, anche con partecipazione diretta,
iniziative riguardanti tutti i settori collegati al petrolio e al gas naturale
in Italia e all'estero, con il diritto esclusivo di ricerca e di sfruttamento
del metano nella Valle Padana. La sua crescita fu rapidissima e prorompente.
Gli investimenti aumentarono del 700 per cento tra il 1954 e il 1962. L'impegno
della holding si estese ad alcuni settori collaterali (raffinazione oli
minerali, produzione gomma sintetica, fertilizzanti) con una politica molto
aggressiva sul mercato. Mattei si era mosso cercando di procurarsi petrolio
greggio direttamente dagli stati produttori, oltrepassando le multinazionali
(le famose "Seven Sisters") al punto da arrivare ad un accordo con
l'Iran (1957) basato su di un rapporto del 25% alla sua società e al 75% allo
stato iraniano. Caduto il primo ministro Mossadeq che aveva accettato
quell'accordo (mentre le già ricordate multinazionali pretendevano il 50%)
Mattei fu violentemente attaccato fino ad arrivare al misterioso incidente che
ne provocò la morte nel 1962. Mattei rappresentò, in sostanza, un punto di
riferimento fondamentale in quel discorso di restaurazione e modernizzazione
capitalistica di cui stiamo accennando. 7) Un tentativo effettivamente volto a riformare quel quadro fu
tentato con la nascita del primo governo organico di centro-sinistra
attraverso un progetto di attuazione del concetto di programmazione economica
tentato dal ministro socialista Antonio Giolitti.La novità del
Piano Giolitti, rispetto a precedenti documenti, risiedeva nel tentativo di
giungere al momento della definizione delle decisioni di riforma o di
investimento che dovevano incidere non nel medio periodo ma nell’immediato.I rapporti con il sistema delle imprese venivano
affrontati sulla base di una premessa molto chiaramente formulata: “Il problema
di programmazione si compie in un’economia mista, nella quale coesistono centri
di decisione pubblici e privati, ciascuno dei quali è dotato di una propria sfera
di autonomia. Il programma non investe ovviamente la sfera di autonomia dei
vari centri se non nella misura in cui coordinamenti e vincoli si rivelano
necessari per la realizzazione delle sue finalità.
E. Mattei
Il Piano Giolitti continuava
facendo notare la scarsa esperienza del Ministero delle Partecipazioni Statali
di orientare i programmi delle maggiori imprese pubbliche; si proponeva quindi,
la revisione della struttura organizzativa delle imprese a partecipazione
Statale, sulla base di grandi gruppi integrati come l’Iri e l’Eni, e inoltre veniva
proposto il rafforzamento del controllo del Governo sulle imprese a
partecipazione dello Stato. Anche il Ministro Giolitti,
nella relazione che illustrava il suo Piano, parlava di Mezzogiorno; egli
concentrava la maggior parte delle risorse dello Stato, per garantire la
massima industrializzazione nelle aree maggiormente suscettibili di sviluppo.
La maggior parte degli investimenti arrivavano al Sud del paese, attraverso
progetti finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno. I
comunisti discussero della linea del centro sinistra rispetto alla
programmazione economica in un convegno rimasto celebre e svolto nel marzo 1962
presso l’Istituto Gramsci. La compattezza della cultura marxista
cominciava ad incrinarsi, interrogata da correnti di pensiero che non vi
avevano mai avuto cittadinanza (l’esistenzialismo, i francofortesi, la
psicoanalisi). In questo contesto era maturata l’esigenza di una rinnovata
riflessione sui principi teorici, le strategie politiche, le strutture
organizzative e gli stessi referenti sociali su cui il Pci aveva fondato il
proprio radicamento nel primo quindicennio repubblicano. Di tale esigenza fu
espressione il convegno del Gramsci, segnato da un memorabile scontro tra
Giorgio Amendola da una parte e Bruno Trentin, Vittorio Foa e Lucio Magri
dall’altra.