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giovedì 27 aprile 2023

NON BANALIZZIAMO IL “PIANO MATTEI”
di Franco Astengo

 
La presidente del governo in carica ha più volte richiamato la necessità di varare un "Piano Mattei" rivolto ai paesi africani per agevolare la possibilità dell'Italia di fronteggiare il fabbisogno energetico in forme diverse rispetto a quanto avvenuto nel corso degli ultimi anni: la guerra in corso dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha accelerato questo tipo di esigenza. Per non banalizzare il richiamo al presidente dell'ENI e oltrepassare anche il riferimento alla sua tragica fine sarebbe il caso di richiamare - sia pure in forme schematica - all'interno di quale quadro economico - politico Mattei avesse agito: anche in questo caso oltrepassando il rituale scenario dello scontro con le "Sette Sorelle" cui si fa normalmente riferimento in questi casi di richiamo più o meno storico.
Allora cerchiamo di andare per ordine:
1) Alla vigilia della seconda guerra mondiale l'Italia era classificata al settimo posto al mondo per il valore aggiunto della produzione manifatturiera calcolata in dollari correnti e pari a 1.798.000.000- il 2,7% del totale - alle spalle e a enorme distanza di USA, Germania, URSS, Inghilterra ma anche, in misura minore a Giappone e Francia;
2) Nel 1937 i punti di debolezza dell'Italia si misuravano nel numero degli addetti all'industria e negli HP di potenza installata; nei limiti dell'organizzazione aziendale mentre il livello della tecnologia non era molto distante da quello dei 6 paesi citati (in particolare nella produzione di energia elettrica, in quella di fibre tessili artificiali, in alcuni settori della chimica e della meccanica);
3) Al termine della seconda guerra mondiale il sistema economico nazionale si configurava come poco più di un ammasso informe di giacimenti minerari, di aree agricole, di impianti industriali, di reti di trasporto, di comunicazione, di distribuzione. Il patrimonio industriale aveva subito danni ragguardevoli dov'era meno consistente, nell'area centromeridionale: quivi tuttavia erano ubicati i più grandi stabilimenti del settore siderurgico ed alcuni del settore chimico;
4) Posto 100 l'indice del 1938 la produzione manifatturiera era precipitata al 29,1 e quella agricola al 67.3. Per la ricostruzione furono decisivi due fattori: lo schieramento dalla parte degli USA (con l'accettazione del Piano Marshall) e l'intervento pubblico in economia, prima di tutto per la ricostruzione della rete infrastrutturale.


In questo quadro la disoccupazione fu una scelta strategica. Le conseguenze furono il rallentamento della ripresa industriale, la riduzione dei salari, il blocco della domanda interna. La cosa che evidenzia il carattere di classe di questa scelta riguarda il fatto che accanto alla stretta creditizia, come misura complementare per ridurre la spesa pubblica e quindi tenere a freno il finanziamento monetario del deficit, vi fu il drastico aumento del prezzo del pane e dei prezzi amministrati. Il pane era ancora uno di quei beni che rimaneva razionato. La politica liberista del governo aveva dunque fatto pagare costi salatissimi sia al proletariato industriale del Nord, sia al bracciantato del Mezzogiorno.
Agli elevati profitti stavano di fronte salari bassi e pesantissime condizioni di lavoro: condizioni miserrime per milioni di persone cui si accompagnava una fortissima emigrazione verso i Paesi europei (pensiamo allo scambio carbone /manodopera con il Belgio e la trasmigrazione di interi paesi del Sud in Germania o in Svizzera), le Americhe e l’Australia.
La ricostruzione poteva considerarsi ultimata nel 1954, quando la produzione industriale aveva superato ormai dell’81% la produzione del 1938, ma le condizioni reali di vita di gran parte del Paese iniziarono a migliorare soltanto con l’avvio della modernizzazione della grande industria, avvenuta grazie all’innovazione tecnologica che aveva fornito grande vantaggio alle esportazioni.
Toccò all’industria di Stato ricoprire il ruolo di capofila sia sul terreno dell’innovazione tecnologica, sia rispetto alle esportazioni, nella siderurgia, nella chimica e nell’industria petrolifera, con la vicenda legata all’ENI di Mattei fino alla sua misteriosa scomparsa.
Ma se aumentò complessivamente la produttività e con essa i profitti, i salari rimasero comunque indietro e scarsi furono i progressi dell’occupazione: nel 1955 risultavano ancora ben 2.161.000 disoccupati.
In una fase di sviluppo caratterizzata da alti profitti e da bassi salari, il padronato portò avanti una dura politica di attacco ai sindacati.



5) Nell'ottobre 1955 da più parti si tentò di compilare un bilancio di quella fase: fu annunciato lo "schema Vanoni" per lo sviluppo del reddito e dell'occupazione, fu organizzato il Primo Convegno degli Amici del Mondo dedicato alla "lotta contro i monopoli" e Palmiro Togliatti in un saggio dedicato alla scomparsa di Alcide De Gasperi (pubblicato da Rinascita in due parti) usò per la prima volta la categoria di "restaurazione capitalistica" che poi ebbe una considerevole fortuna;
6) Il caso più importante e clamoroso nel quadro di questo processo di restaurazione capitalistica fu quello dell'Eni di Enrico Mattei. L'Eni sorse nel 1953 dopo la mancata liquidazione dell'Agip, come holding che riuniva varie società statali del settore energetico con un fondo di dotazione di 30 miliardi e con "il compito di promuovere, anche con partecipazione diretta, iniziative riguardanti tutti i settori collegati al petrolio e al gas naturale in Italia e all'estero, con il diritto esclusivo di ricerca e di sfruttamento del metano nella Valle Padana. La sua crescita fu rapidissima e prorompente. Gli investimenti aumentarono del 700 per cento tra il 1954 e il 1962. L'impegno della holding si estese ad alcuni settori collaterali (raffinazione oli minerali, produzione gomma sintetica, fertilizzanti) con una politica molto aggressiva sul mercato. Mattei si era mosso cercando di procurarsi petrolio greggio direttamente dagli stati produttori, oltrepassando le multinazionali (le famose "Seven Sisters") al punto da arrivare ad un accordo con l'Iran (1957) basato su di un rapporto del 25% alla sua società e al 75% allo stato iraniano. Caduto il primo ministro Mossadeq che aveva accettato quell'accordo (mentre le già ricordate multinazionali pretendevano il 50%) Mattei fu violentemente attaccato fino ad arrivare al misterioso incidente che ne provocò la morte nel 1962. Mattei rappresentò, in sostanza, un punto di riferimento fondamentale in quel discorso di restaurazione e modernizzazione capitalistica di cui stiamo accennando.
7) Un tentativo effettivamente volto a riformare quel quadro fu tentato con la nascita del primo governo organico di centro-sinistra attraverso un progetto di attuazione del concetto di programmazione economica tentato dal ministro socialista Antonio Giolitti. La novità del Piano Giolitti, rispetto a precedenti documenti, risiedeva nel tentativo di giungere al momento della definizione delle decisioni di riforma o di investimento che dovevano incidere non nel medio periodo ma nell’immediato. I rapporti con il sistema delle imprese venivano affrontati sulla base di una premessa molto chiaramente formulata: “Il problema di programmazione si compie in un’economia mista, nella quale coesistono centri di decisione pubblici e privati, ciascuno dei quali è dotato di una propria sfera di autonomia. Il programma non investe ovviamente la sfera di autonomia dei vari centri se non nella misura in cui coordinamenti e vincoli si rivelano necessari per la realizzazione delle sue finalità.


E. Mattei

Il Piano Giolitti continuava facendo notare la scarsa esperienza del Ministero delle Partecipazioni Statali di orientare i programmi delle maggiori imprese pubbliche; si proponeva quindi, la revisione della struttura organizzativa delle imprese a partecipazione Statale, sulla base di grandi gruppi integrati come l’Iri e l’Eni, e inoltre veniva proposto il rafforzamento del controllo del Governo sulle imprese a partecipazione dello Stato. 
Anche il Ministro Giolitti, nella relazione che illustrava il suo Piano, parlava di Mezzogiorno; egli concentrava la maggior parte delle risorse dello Stato, per garantire la massima industrializzazione nelle aree maggiormente suscettibili di sviluppo. La maggior parte degli investimenti arrivavano al Sud del paese, attraverso progetti finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno.
I comunisti discussero della linea del centro sinistra rispetto alla programmazione economica in un convegno rimasto celebre e svolto nel marzo 1962 presso l’Istituto Gramsci.
La compattezza della cultura marxista cominciava ad incrinarsi, interrogata da correnti di pensiero che non vi avevano mai avuto cittadinanza (l’esistenzialismo, i francofortesi, la psicoanalisi). In questo contesto era maturata l’esigenza di una rinnovata riflessione sui principi teorici, le strategie politiche, le strutture organizzative e gli stessi referenti sociali su cui il Pci aveva fondato il proprio radicamento nel primo quindicennio repubblicano. Di tale esigenza fu espressione il convegno del Gramsci, segnato da un memorabile scontro tra Giorgio Amendola da una parte e Bruno Trentin, Vittorio Foa e Lucio Magri dall’altra.