5.
La sacralizzazione della guerra e la sua
strumentalizzazione religiosa. In
Dulce bellum inexpertis si afferma
perentoriamente che, quando si comincia con l'ammazzare animali e usare
crudeltà contro le altre specie viventi, si finisce con l'ammazzare senza tante
remore pure gli uomini. Nella storia umana, col progredire della civiltà gli
impulsi aggressivi si affinarono e armarono d'intelligenza, s'inventarono armi
di ogni tipo, si formarono scontri collettivi, crebbe la protervia, scoppiarono
guerre fra città, province e nazioni. Con la formazione e la crescita della
"cultura della guerra" e delle sue tecniche, s'accompagna quasi
sempre la contemporanea crescita della disumanità, dell'ingiustizia e della
crudeltà (cfr. AD, 216-219). Sempre di più, non la fama o la gloria (laus) divenne lo scopo della guerra, ma
il sordidum lucrum ("sordido
guadagno") o etiam sceleratius
aliquid ("qualcosa di più vergognoso ancora", cfr. AD, 220-221).
Ancora una volta la filosofia, ossia il genuino amore per la saggezza e per la
sapienza può soccorrere e costituire un potente antidoto contro la guerra.
Erasmo si richiama infatti al sapientissimus
Pitagora che, cum philosophico commento
(con una invenzione o con un espediente filosofico), aveva cercato di
distogliere la moltitudine dall'uccidere animali, intuendo che l'abitudine di
versare il sangue delle bestie innocue avrebbe portato facilmente a versare
anche sangue umano. I potenti, però, considerano deliramenta (farneticamenti)
queste sagge riflessioni filosofiche che reputano la guerra nient'altro che un commune homicidium (omicidio collettivo,
di gruppo) e un latrocinium
(brigantaggio) infame ed esteso. Ciò accade perché non di rado i potenti si
montano la testa, si sentono al livello di Dio, onnipotenti e infallibili, ma
essi non sono in realtà neanche a livello dell'uomo, in quanto molto spesso
privi di ogni dignità e dediti ai loro interessi particolari (cfr. AD,
220-221). Erasmo è letteralmente indignato dall'imperversare della guerra e dal
fatto che essa - che è essenzialmente diaboli
regnum, res plusquam tartarea (iniziativa superdiabolica) - viene
sostanzialmente accettata, considerata normale, addirittura ritenuta pure
santa; essa che pone i cristiani contro gli altri uomini e contro gli stessi
cristiani, con una ferocia e una crudeltà che superano quelle dei pagani e dei
barbari (cfr. AD, 222-223). La guerra viene dunque sacralizzata e
strumentalizzata persino religiosamente: nel 1512, ad esempio, il papa Giulio
II scomunicò con una bolla tutti coloro che erano al seguito del re di Francia
Luigi XII e garantì l'assoluzione a tutti coloro che - come il re d'Inghilterra
Enrico VIII e il suo esercito - presero le armi contro il re di Francia; il
papa garantiva poi l'indulgenza plenaria a coloro che servivano sotto Enrico
VIII e pure a tutti quelli che provvedevano alle spese di spedizione.
Oggi
è certa l'attribuzione ad Erasmo del dialogo Iulius exclusus e coelis (Giulio
escluso dai cieli, 1517), rimasto a lungo anonimo; è la storia di Giulio
II, il papa guerriero e privo di scrupoli, avido di potere e di ricchezze che,
una volta morto, cerca di varcare le porte del Paradiso, ma viene respinto da
san Pietro, perché Giulio II possiede solo la potentiae clavis ("chiave della potenza") e non la scientiae clavis ("chiave della
scienza"). Con papi come Giulio II la religione diviene instrumentum regni, viene elaborata una
vera e propria ideologia e cultura della guerra, che utilizza in senso
politico-propagandistico e militare (come avvenne durante la guerra della Lega
Santa) gli stessi testi sacri, come il Libro
dei Salmi (il Nostro fa l'esempio della strumentalizzazione in senso
filo-bellico di Sal 91, 5-13). Viene
distorta in senso blasfemo la parola dei profeti. Certi vescovi, teologi e
monaci offrono ben altro che la formula di saluto sacerdotale Pax vobiscum! si riempiono anzi la bocca di sermoni belligeranti e Gesù
Cristo viene da essi coinvolto in un'impresa diabolica, portata avanti nel
segno della Croce (cfr. AD, 222-223).