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lunedì 24 luglio 2023

UNA VITA ESTREMA, UNA POESIA INTENSA
di Angelo Gaccione
 

Nancy Cunard

La raccolta poetica di Nancy Cunard edita da De Piante.

Un tascabile di 190 pagine che raccoglie 37 testi poetici in lingua italiana (con versione originale inglese a fronte), compongono questa pregevole edizione di Parallax della poetessa inglese Nancy Cunard. Completamente inedita in Italia, le rende finalmente giustizia la casa editrice milanese De Piante. In verità a Milano c’è la sede operativa dell’editore, mentre quella residenziale si trova nella cittadina di Busto Arsizio in provincia di Varese. Il volume è stato messo assieme unendo al poemetto che dà il titolo alla raccolta una serie di testi tratti da vari libri e recuperandone alcuni inediti e sparsi. Ma vediamo qualche dato biografico di questa intellettuale inquieta e dalla vita estrema ammirata e avversata ad un tempo. Nata in Inghilterra nel 1896 da una famiglia facoltosa e con legami molto stretti con gli ambienti aristocratici londinesi, ben presto però se ne distaccherà per abbracciare idee antifasciste e libertarie. Dotata di uno spirito  anticonformista e ribelle, si troverà in sintonia con alcuni dei più noti artisti, scrittori e intellettuali di sinistra internazionali del Novecento, soprattutto in Francia, e con i quali costruirà sodalizi artistico-politici, ma anche legami affettivi e sentimentali. L’impegno attivo la porterà anche in Spagna e ad occuparsi soprattutto dei fuorusciti, a seguito della presa del potere franchista e a sostenere la Resistenza francese. Morirà a Parigi nel 1965 all’età di 69 anni dopo una vita segnata da eccessi, sofferenze, abbandoni. Generosa, come tutti gli spiriti dotati di una sensibilità eccessiva e che si donano per intero, la sua è stata una vita in bilico. Ha retto finché l’equilibrio non si è spezzato. Riferendosi alla sua tragica fine, Pablo Neruda che le era stato amico coglierà l’essenza più vera di Cunard in queste parole: “Il suo corpo si era consumato in una lunga lotta contro l’ingiustizia del mondo. Non aveva ricevuto altra ricompensa che una vita sempre più solitaria e una morte nell’abbandono”.



Non mi è stato possibile recuperare le sue poesie contro la guerra in lingua italiana. Nel volume edito da De Piante ce n’è una a pagina 41 e che a distanza di oltre un secolo dalla sua stesura, non ha perso nulla della drammatica attualità visto il clima tragico internazionale in cui ci troviamo a vivere. Si intitola ‘Guerra’ e vale la pena riportarne i versi per intero: Eppure viviamo e altri per noi muoiono;/viviamo nella gloria dell’estate, senza/ contezza di morte, ma certi/che spietata sarà con loro la vita – e con noi./ Troppo sangue macchia i campi di battaglia,/troppe corone per l’alto dolore;/dal lutto ci leviamo, ma il perfido domani/nulla offre, se non altro dolore./Ancora non è sorto un dio che con equanime/granitico giudizio arresti questa rotta di guerra/e la rovina, che dica: “Basta infrangere/la legge di natura”. Nessuno che osi/stendere una mano poderosa, ordinare alla Morte di arretrare,/deviare il corso di questo mondo affranto.



Nella sezione delle Poesie inedite o sparse ce n’è invece una dedicata ad Abramo Lincoln dal tono completamente diverso da quello che ritroviamo nel celebre testo di Walt Whitman compreso nella raccolta Foglie d’erba. Si intitola semplicemente ‘Lincoln’ ed è una poesia composta da quattordici versi appena, preceduta da tre brandelli di brani virgolettati scritti o pronunciati dal sedicesimo presidente degli Stati Uniti. È a partire da quelle parole che si sviluppa e prende corpo la poesia di Cunard; una poesia che entra in polemica col presidente assassinato dal sudista John Wilkes Booth poiché la preoccupazione fondamentale di Lincoln non era stata quella primaria di abolire la schiavitù, ma di tenere assieme l’Unione degli stati americani. “Il mio obiettivo preminente in questa lotta è salvare l’Unione, e non è né salvare né distruggere la schiavitù”. Questa titubanza di Lincoln fece affiorare alla penna di Cunard versi molto duri “(…) Così, titubante in malcerta comunione/lanciò il suo insulto: liberazione’./E misero una sbarra/ davanti, dietro, accanto, di traverso all’uomo nero/ad asseverazione del marchio sulla schiena…”. Per una sostenitrice dei diritti qual era Cunard (non si dimentichi il suo sostegno ai neri africani schiavizzati) il fumo dell’infamia di Lincoln era intollerabile.



La critica ha indagato a fondo il poemetto Parallax dalle forti contaminazioni eliotiane e ne ha rintracciati gli echi in Waste Land. Cunard stessa nel testo “Lettera” ci dice di come in lei il capolavoro di Eliot “destò una giusta frenesia”; di come avesse cambiato la sua vita “a suo tempo”. Erano stati amici e si erano anche amati. Dunque non ne dirò nulla. Ma la robustezza di questa poetessa, la sua forza espressiva, la padronanza lessicale, la sensibilità accesa emergono dai testi più diversi e può bastare questo dal titolo “Siccità” a darne la riprova. Il giorno è lungo a morire, e ancora indugia/nei campi, finché il sole/covando un feroce declino se ne va, /le braccia aperte sui mari d’occidente./Respira piano il tramonto sulla terra,/distilla un grigio scintillio sull’alto grano/e sui fitti covoni, ove ore roventi/hanno brunito e arso i pascoli morenti./ Anima dell’estate, luglio, mese imperiale,/dispensatore prodigo di grazie,/ si è fatto incendiario, non trattiene il fuoco;/e ogni notte si strugge fino all’alba,/spiando il misero oro della luna,/il soave oro spurio del suo volto freddo/che se ne sta lassù in contemplazione.