UNA VITA
ESTREMA, UNA POESIA INTENSA di Angelo Gaccione
Nancy Cunard
La
raccolta poetica di Nancy Cunard edita da De Piante.
Un
tascabile di 190 pagine che raccoglie 37 testi poetici in lingua italiana (con versione
originale inglese a fronte), compongono questa pregevole edizione di Parallax
della poetessa inglese Nancy Cunard. Completamente inedita in Italia, le
rende finalmente giustizia la casa editrice milanese De Piante. In verità a
Milano c’è la sede operativa dell’editore, mentre quella residenziale si trova nella
cittadina di Busto Arsizio in provincia di Varese. Il volume è stato messo
assieme unendo al poemetto che dà il titolo alla raccolta una serie di testi
tratti da vari libri e recuperandone alcuni inediti e sparsi. Ma vediamo
qualche dato biografico di questa intellettuale inquieta e dalla vita estrema
ammirata e avversata ad un tempo. Nata in Inghilterra nel 1896 da una famiglia
facoltosa e con legami molto stretti con gli ambienti aristocratici londinesi,
ben presto però se ne distaccherà per abbracciare idee antifasciste e
libertarie. Dotata di uno spirito anticonformista e ribelle, si troverà in
sintonia con alcuni dei più noti artisti, scrittori e intellettuali di sinistra
internazionali del Novecento, soprattutto in Francia, e con i quali costruirà
sodalizi artistico-politici, ma anche legami affettivi e sentimentali.
L’impegno attivo la porterà anche in Spagna e ad occuparsi soprattutto dei
fuorusciti, a seguito della presa del potere franchista e a sostenere la
Resistenza francese. Morirà a Parigi nel 1965 all’età di 69 anni dopo una vita
segnata da eccessi, sofferenze, abbandoni. Generosa, come tutti gli spiriti
dotati di una sensibilità eccessiva e che si donano per intero, la sua è stata
una vita in bilico. Ha retto finché l’equilibrio non si è spezzato. Riferendosi
alla sua tragica fine, Pablo Neruda che le era stato amico coglierà l’essenza
più vera di Cunard in queste parole: “Il suo corpo si era consumato in una
lunga lotta contro l’ingiustizia del mondo. Non aveva ricevuto altra ricompensa
che una vita sempre più solitaria e una morte nell’abbandono”.
Non mi è
stato possibile recuperare le sue poesie contro la guerra in lingua italiana.
Nel volume edito da De Piante ce n’è una a pagina 41 e che a distanza di oltre
un secolo dalla sua stesura, non ha perso nulla della drammatica attualità
visto il clima tragico internazionale in cui ci troviamo a vivere. Si intitola
‘Guerra’ e vale la pena riportarne i versi per intero: Eppure viviamo e
altri per noi muoiono;/viviamo nella gloria dell’estate, senza/ contezza di
morte, ma certi/che spietata sarà con loro la vita – e con noi./ Troppo sangue
macchia i campi di battaglia,/troppe corone per l’alto dolore;/dal lutto ci
leviamo, ma il perfido domani/nulla offre, se non altro dolore./Ancora non è
sorto un dio che con equanime/granitico giudizio arresti questa rotta di
guerra/e la rovina, che dica: “Basta infrangere/la legge di natura”. Nessuno
che osi/stendere una mano poderosa, ordinare alla Morte di arretrare,/deviare
il corso di questo mondo affranto.
Nella
sezione delle Poesie inedite o sparse ce n’è invece una dedicata ad
Abramo Lincoln dal tono completamente diverso da quello che ritroviamo nel
celebre testo di Walt Whitman compreso nella raccolta Foglie d’erba. Si
intitola semplicemente ‘Lincoln’ ed è una poesia composta da quattordici versi
appena, preceduta da tre brandelli di brani virgolettati scritti o pronunciati
dal sedicesimo presidente degli Stati Uniti. È a partire da quelle parole che
si sviluppa e prende corpo la poesia di Cunard; una poesia che entra in
polemica col presidente assassinato dal sudista John Wilkes Booth poiché la
preoccupazione fondamentale di Lincoln non era stata quella primaria di abolire
la schiavitù, ma di tenere assieme l’Unione degli stati americani. “Il mio
obiettivo preminente in questa lotta è salvare l’Unione, e non è né salvare né
distruggere la schiavitù”. Questa titubanza di Lincoln fece affiorare alla
penna di Cunard versi molto duri “(…) Così, titubante in malcerta
comunione/lanciò il suo insulto: ‘liberazione’./E misero una
sbarra/ davanti, dietro, accanto, di traverso all’uomo nero/ad asseverazione
del marchio sulla schiena…”. Per una sostenitrice dei diritti qual era
Cunard (non si dimentichi il suo sostegno ai neri africani schiavizzati) il fumo
dell’infamia di Lincoln era intollerabile.
La critica
ha indagato a fondo il poemetto Parallax dalle forti contaminazioni
eliotiane e ne ha rintracciati gli echi in Waste Land. Cunard stessa nel
testo “Lettera” ci dice di come in lei il capolavoro di Eliot “destò una
giusta frenesia”; di come avesse cambiato la sua vita “a suo tempo”.
Erano stati amici e si erano anche amati. Dunque non ne dirò nulla. Ma la
robustezza di questa poetessa, la sua forza espressiva, la padronanza
lessicale, la sensibilità accesa emergono dai testi più diversi e può bastare
questo dal titolo “Siccità” a darne la riprova. Il giorno è lungo a morire,
e ancora indugia/nei campi, finché il sole/covando un feroce
declino se ne va, /le braccia aperte sui mari d’occidente./Respira piano il
tramonto sulla terra,/distilla un grigio scintillio sull’alto grano/e sui fitti
covoni, ove ore roventi/hanno brunito e arso i pascoli morenti./ Anima
dell’estate, luglio, mese imperiale,/dispensatore prodigo di grazie,/ si è
fatto incendiario, non trattiene il fuoco;/e ogni notte si strugge fino
all’alba,/spiando il misero oro della luna,/il soave oro spurio del suo volto
freddo/che se ne sta lassù in contemplazione.