DON MILANI E LE NOSTRE COSCIENZE di
ANGELO GACCIONE
Siamo
in pieno centenario della nascita di don Lorenzo Milani, il celeberrimo priore
di Barbiana (1923-2023), il credente e l’uomo che sul sentiero accidentato
tracciato dal Vangelo aveva scelto la povertà, il riscatto degli ultimi, degli
scartati, ed improntata tutta la sua vita, il suo magistero educativo e di
fede, a dar loro dignità e parola perché non ne avevano. Intransigente con sé
stesso non poteva non esserlo con l’istituzione a cui apparteneva, e non poteva
non esserlo con quanti, a vari livelli e per i ruoli che ricoprivano,
rappresentavano il fardello che schiacciava i suoi poveri e i suoi esclusi. La
sua parola e il suo agire erano destinati ad entrare quasi obbligatoriamente in
conflitto con i vari poteri, chiesa in primis, e ad accettare, come scrisse
Hegel a proposito della condanna di Socrate, “la grande collisione”. Ed
egli l’accetta, ne subisce le conseguenze fatte di emarginazione, sofferenza
morale, incomprensione, ostracismi, rifiuti, esilio, fino al tentativo di
seppellirlo vivo a Barbiana. Accetta, ma non sopporta, e soprattutto parla e
agisce. Perché per agire l’uomo deve parlare, aveva scritto Albert
Camus. E parlando e agendo dà la parola a chi non l’aveva mai avuta; gli dà gli
strumenti del proprio riscatto e trasforma un eremo derelitto, in un luogo
luminoso di solidarietà, consapevolezza, affratellamento. Era un uomo di fede,
e la fede smuove le montagne. Una fede robusta depurata da opportunismi, da
privilegi, da compromessi, vissuta come deve essere vissuta da un uomo di fede.
“Sono gli uomini di fede che provocano le esplosioni” aveva scritto il
rivoluzionario internazionalista anarchico Carlo Cafiero, e don Lorenzo Milani
provoca esplosioni salutari, porta l’incendio nella chiesa e nei suoi pavidi
cerimonieri, e sparge il fuoco nelle coscienze più sensibili e pronte a
scottarsi. Accetta di subire tutte le conseguenze della sua radicalità e del
suo dissenso perché sa di avere dalla sua parte la parola vivificante del
Cristo. Del resto dove sta il valore di un uomo se non è disposto a pagare un
prezzo, per salato che sia, alle proprie convinzioni e al proprio sentire? “Se
un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue
idee non valgono nulla o non vale nulla lui” ci aveva ammonito il poeta
americano Ezra Pound. E don Lorenzo è fino in fondo consapevole di aver scelto
un terreno rischioso su cui misurarsi: quello della verità contro la menzogna,
l’ipocrisia, il quieto vivere e, peggio ancora, quello di stare dalla parte
degli oppressori. Don Lorenzo rifiuta, come direbbe Musil, di trovarsi in un
rapporto obliquo con la verità e si schiera; si schiera senza ambiguità e
tentennamenti con gli ultimi della scala sociale, con i figli degli operai e
dei contadini, dei nullatenenti, dei miseri. Con coloro che producono tutto ma
non possiedono nulla, che subiscono fatica, emarginazione, umiliazione. Non può
essere neutrale e sa che c’è un limite oltre il quale ubbidire diventa
complicità con l’ingiustizia. “Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia,
avete scelto la parte dell’oppressore” aveva gridato con indignazione
Desmond Tutu, ma don Lorenzo Milani lo sapeva bene perché la miseria, la fame,
l’esclusione, l’aveva vista in faccia, l’aveva toccata con mano sia a Calenzano
che a Barbiana; non l’aveva appresa astrattamente e aridamente dai libri.
La vedeva sui volti e nei corpi dei suoi ragazzi,
nei chilometri percorsi a piedi attraverso boschi e sentieri dissestati per
arrivare alla sua scuola così diversa, così rigida, ma scandalosamente
accogliente perché sentivi di essere una persona, un corpo dolente accettato,
sostenuto, e soprattutto non ti avrebbe bocciato; ti formava come uomo e non ti
escludeva. La vedeva nelle misere abitazioni dei montanari, nelle fatiche estenuanti
di padri e madri, negli occhi di esseri invisibili per lo Stato, il Governo e
la sua stessa Chiesa. Quest’uomo, questo religioso, davanti a tanta sofferenza
(sofferenza che lo tocca di persona), sente che non può ubbidire a nient’altro
che alla propria coscienza, a nient’altro che a quanto il Vangelo ha
tramandato. A null’altro che non sia il magistero del suo Cristo. O con la
chiesa opulenta contro i poveri, o con i poveri contro la chiesa opulenta. La
scelta non ammette alternative e lui sceglie senza esitazioni. E tuttavia, fino
all’ultimo dei suoi giorni tenta di evitare traumatiche rotture con l’ordine
che lo ha accolto giovanissimo a seguito della sua vocazione, ed aspetta
fiducioso un gesto di approvazione, di consenso al poco o al tanto di buono che
con abnegazione ha creato per i suoi paria. Mostrerà con la sua vita rigorosa
al limite della mortificazione, con il suo operare al bene degli ultimi e
dunque della stessa fede, come non abbia mai derogato dai princìpi che
dovrebbero ispirare la condotta della chiesa di Cristo affinché, coloro che ne
restano lontani (proprio i più poveri), non ne vengano esclusi o la sentano
ostile.
Tutto questo e molto altro ancora c’è nel
recentissimo volume di Mario Lancisi: Don Milani. Vita di un profeta
disobbediente (Terra Santa Edizioni 2023, pagine 350 euro 26) che sarà al
centro del Convegno dedicato al religioso fiorentino martedì 26 settembre nella
Sala Conferenze di Palazzo Reale a Milano. Il libro di Lancisi che di don Milani
è uno dei più appassionati studiosi avendogli dedicato un discreto numero di ricerche,
fungerà da mappa di orientamento del Convegno voluto dall’avvocato Giuseppe
Melzi sotto il titolo: L’attuale eredità di Don Lorenzo Milani, profeta religioso e
civile scomodo. Prestigiosi i relatori e numerose gli
istituti e le associazioni milanesi coinvolti in questa lodevole e necessaria
avventura. A cominciare dal Comune di Milano, dall’Arcivescovado, dall’Ambrosianeum,
dal Comitato Amici di padre Turoldo, dal quotidiano Avvenire, dal Centro
Culturale San Fedele, dalla Comunità Pastorale Madonna del Rosario di Cesano
Boscone, dalla Corsia dei Servi di Maria, dal Fogolar Furlan di Milano fino
alla Fondazione Crocevia, ai Luoghi dell’Infinito, al giornale di cultura
Odissea.
Scomodo
e disubbidiente don Milani lo è stato fino alla morte. Il libretto che la
Libreria Editrice Fiorentina pubblicò nel 1971 con il titolo L’obbedienza
non è più una virtù, raccogliendo la lettera ai cappellani militari, la
lettera ai giudici e i documenti del processo che gli fu intentato, ne sono la
prova eloquente. Dire no ad un ordine ingiusto, ad un regolamento disumano,
all’obbligo di uccidere un altro uomo in guerre decise sulla testa dei popoli
da un pugno di governanti o di generali, resta per lui un dovere morale. Basterebbe
solo questo no, questa semplice, perentoria, preziosa, meravigliosa
parola di appena due lettere, ma che contiene una visione intera di mondo, di
coraggio di esporsi, di obiettare, per mostrare quanto l’eredità di don Milani
sia radicata nelle coscienze di chi si oppone alle guerre e di coloro che
mettono la vita al primo posto. Quel no segna uno spartiacque fra umano
e disumano, fra moralità e legge. Ecco perché uomini come lui non muoiono mai.
Ha ragione Gigi Ghirotti quando scrive parole come queste: “Nella mia
memoria don Lorenzo rappresenta un morto irrequieto, che non lascia vivere in
pace. Me lo porto dietro così, come un aculeo, un dubbio grave della coscienza:
sono questi, dopo tutto, i morti che non muoiono mai”.
Anche
per me è stato così, fin da quel lontano 16 gennaio del 1973 quando avevo
comprato L’obbedienza non è più una virtù, come posso ora vedere dalla
data che avevo apposto sulla prima pagina del libretto. Quattro giorni prima
avevo compiuto 22 anni, ed ero studente presso l’Università degli Studi di
Milano. Su quel libretto che ho sottolineato e postillato e con altri più
voluminosi, feci poi uno degli esami con il professor Giorgio Rochat. Seppi
molto dopo che era di fede valdese questo docente, e destino ha voluto che nel
1985 scrivessi un dramma sul massacro dei Valdesi nella Calabria del tardo
Cinquecento. Vivo più vivo che mai don Milani quand’era in vita, e vivo più
vivo che mai ora da morto. Perché come dicono i versi di una mia poesia, ci
sono uomini così vivi “che persino la morte – segretamente – li teme”. [Milano, 18 agosto
2023]