Chi non
coglie le differenze tra il neofascismo di Giorgia Meloni e il movimento
Mussoliniano dei Fasci di combattimento ha (e vuole mantenere) il prosciutto
sui propri occhi. La “pulzella della Garbatella” ha fatto un’innovazione
importante e sostanziale: ha tolto dalla triade del Duce “Dio, Patria e
Famiglia” la parola Patria: il suo motto (segreto) è, verosimilmente,
diventato, su probabile suggerimento della “sorella d’Italia”
Roccella: Dio e Famiglia. Eppure i tre termini del Duce c’erano tutti
quando “Fratelli d’Italia” era all’opposizione dei governi in carica. Sovranismo era
un epiteto infamante solo sulla bocca dei suoi nemici. Con l’avvento al
governo del Paese dopo la benedizione degli Stati Uniti d’America le cose sono
cambiate. La Presidente Meloni ha rinunciato all’idea di patria. Pur dovendo
esserle chiaro che il concetto di sovranità sul proprio territorio per una
collettività omogenea equivale in sostanza alla garanzia di libertà per
l’individuo (in tutto e per tutto) e che, in altre parole, si tratta
di due facce della stessa medaglia (id est l’autonomia, che è il
massimo bene a cui una persona o una comunità possano aspirare). C’è chi
sostiene che non si può fare colpa ai fascisti di avere rinnegato la sovranità
del Paese diventando ciecamente filo statunitensi, non avendo essi mai
veramente avuto alcuna idea della equivalente, corrispondente libertà
individuale. La pulzella, però, nelle sue mitigazioni delle prescrizioni
mussoliniane non ha rinunciato ai “fasci di combattimento” perché le
guerre non sono scomparse dal suo lessico neo-fascista, irrobustito dalla
pronuncia reboante del gigantesco Crosetto. Esse sono soltanto diventate
telecomandate dai “padroni dell’Occidente” e non più da leader con il
pallino della “patria”. L’innovazione meloniana non è stata priva di
risvolti positivi per la sua leadership politica: gli abbracci di Joe
Biden si sono ripetuti in più occasioni; le marcette a passo risoluto con la
Ursula Von der Leyen hanno richiamato alla mente un ricordo del passato, negato
recisamente dagli aficionados di questo nuovo “asse”.
Inoltre, patria è diventata una parola che genera molte confusioni.
Adriano Visconti (più esplicito di Saverio Mercadante nel richiamo
alla patria) troverebbe molte difficoltà a trovare consensi per il titolo
della sua opera Chi per la patria muor, vissuto e assai! Difatti,
fiorirebbe la domanda: È sufficiente il riferimento al nostro ricordo
dei Fratelli Bandiera, di Cesare Battisti (ovviamente quello di Trento e non
quello di Cisterna di Latina, il brigatista fuggiasco dei tempi nostri),
di Nazario Sauro, di Amatore Sciesa per evitare l’errore in chi ascolta di una
attribuzione dell’aulico verso anche ai capi di Hamas?