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venerdì 10 novembre 2023

GENOCIDIO DA MANUALE
di Gianmarco Pisa
 


Cos’è questa guerra di Israele contro Gaza? In un recente post su Twitter, l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, sottolinea che nella guerra in corso da parte del governo di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza, in media, ogni dieci minuti un bambino viene ucciso e due bambini restano feriti. Dati che si spiegano da soli, non necessitano di commento, danno da soli l’idea del tipo di guerra che impegna le forze armate di Israele, in questo momento, contro i palestinesi nella Striscia di Gaza.
Dodici agenzie delle Nazioni Unite, al più alto livello, hanno avanzato ufficialmente un appello urgente per un immediato cessate-il-fuoco umanitario a Gaza per consentire di proteggere la popolazione civile e salvare vite. Hanno accompagnato la loro richiesta con una serie di indicatori e dati che danno immediatamente, anche qui senza la necessità di commenti a corredo, la misura della tragedia che si sta consumando. Nella dichiarazione congiunta, il massacro di civili in corso a Gaza viene descritto come un outrage, un “oltraggio”, un “abominio”. Gli oltre due milioni di cittadini nella Striscia di Gaza sono tagliati fuori da cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, dal 7 ottobre, nell’arco di appena un mese, si contano già 9.770 morti, tra cui 4.008 bambini, cifra confermata anche dall’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA). Risultano scomparse circa 2.260 persone, tra cui 1.270 bambini, presumibilmente sotto le macerie; non solo, «un’intera popolazione è assediata e sotto attacco, privata dell’accesso ai beni essenziali per la sopravvivenza, bombardata nelle proprie case, ospedali e luoghi di culto». A un mese dal 7 ottobre, si stima che più di 1.5 milioni di persone, il 70% della popolazione di Gaza, siano sfollate. La sopravvivenza è resa impossibile, la vita stessa è messa a repentaglio; ancora nella dichiarazione congiunta si afferma che «gli attacchi sono continuati nelle immediate vicinanze degli ospedali, tra cui l’ospedale di Beit Lahiya e l’ospedale Al Quds a Tal Al Hawa (città di Gaza)»; analogamente, secondo l’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, al 4 novembre sono stati segnalati più di 100 attacchi contro l’assistenza sanitaria a Gaza.
Gli eventi si susseguono dunque, sotto il profilo internazionale, sue due livelli: quanto al primo, la dichiarazione congiunta non nasconde il fatto che gli attacchi all’assistenza sanitaria, compreso il prendere di mira gli ospedali e limitare o impedire la consegna di aiuti essenziali come acqua, carburante e forniture mediche, possono costituire gravi violazioni del diritto umanitario internazionale. Il primo girone di questo inferno che le autorità al potere in Israele hanno dunque scatenato contro Gaza è quello di una flagrante e gravissima violazione del diritto e della giustizia internazionale, a giustificazione della quale non può essere addotto l’assalto portato dai miliziani di Hamas il 7 ottobre proprio perché la reazione da parte israeliana è “sproporzionata”, viola cioè anche i principi di legittimità, adeguatezza e proporzionalità della risposta, come ha, tra gli altri, recentemente segnalato anche il primo ministro della Norvegia, Jonas Gahr Støre, secondo il quale «le conseguenze umanitarie per i civili sono catastrofiche: il numero delle vittime, la quantità di distruzione e soprattutto l’enorme impatto sofferto dai bambini palestinesi è in violazione di ciò che le norme e gli standard umanitari richiedono», per aggiungere, di conseguenza, che «sia rispettata la proporzionalità. E la portata della distruzione e della sofferenza che si verifica ora [a Gaza] va ben oltre la proporzionalità».
Ma c’è un secondo livello. Questa guerra, oltre a prefigurare un vero e proprio crimine internazionale e a configurare una clamorosa violazione del diritto e della giustizia internazionale, è anche, come è stato ribadito da più parti, «un caso di genocidio da manuale». Nella lettera, ampiamente diffusa dalla stampa e tra i social media, con la quale Craig Mokhiber, già direttore dell’Ufficio di New York dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, ha rassegnato le proprie dimissioni, si spiega: «Come avvocato specializzato in diritti umani [...] so bene che il concetto di genocidio è stato spesso utilizzato abusivamente per scopi politici. Ma l’attuale massacro su larga scala del popolo palestinese, radicato in un’ideologia coloniale etno-nazionalista, in continuità con decenni di persecuzione ed epurazione sistematica, basata interamente sul loro status di arabi, e accompagnato da esplicite dichiarazioni d’intenti da parte dei leader del governo e dell’esercito israeliano, non lascia spazio a dubbi o discussioni. A Gaza, le case, le scuole, le chiese, le moschee e le istituzioni mediche dei civili sono state attaccate senza pietà, mentre migliaia di civili sono stati massacrati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme occupata, le case vengono confiscate e riassegnate in base all’etnia e violenti pogrom dei coloni sono appoggiati da unità militari israeliane. In tutto il territorio regna l’apartheid».
È cioè una clamorosa violazione, tra le altre, della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948), in base alla quale (art. 2) il crimine internazionale di genocidio è «uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, o religioso in quanto tale: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o psicologici ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica; [...] trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo
». Una necessaria risposta internazionale, in linea con la Carta delle Nazioni Unite, si impone per salvaguardare non solo ciò che resta del diritto internazionale, ma, primo di tutto, la vita del popolo palestinese.