Cos’è questa guerra di Israele contro Gaza? In un
recente post su Twitter, l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati
palestinesi, sottolinea che nella guerra in corso da parte del governo di
Israele contro la popolazione palestinese a Gaza, in media, ogni dieci minuti
un bambino viene ucciso e due bambini restano feriti. Dati che si spiegano da
soli, non necessitano di commento, danno da soli l’idea del tipo di guerra che
impegna le forze armate di Israele, in questo momento, contro i palestinesi
nella Striscia di Gaza. Dodici agenzie delle Nazioni Unite, al più alto livello,
hanno avanzato ufficialmente un appello urgente per un immediato
cessate-il-fuoco umanitario a Gaza per consentire di proteggere la popolazione
civile e salvare vite. Hanno accompagnato la loro richiesta con una serie di
indicatori e dati che danno immediatamente, anche qui senza la necessità di
commenti a corredo, la misura della tragedia che si sta consumando. Nella dichiarazione congiunta, il massacro di civili in corso a
Gaza viene descritto come un outrage, un “oltraggio”, un “abominio”. Gli
oltre due milioni di cittadini nella Striscia di Gaza sono tagliati fuori da
cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante. Secondo il Ministero della
Salute di Gaza, dal 7 ottobre, nell’arco di appena un mese, si contano già
9.770 morti, tra cui 4.008 bambini, cifra confermata anche dall’Ufficio di
coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA). Risultano
scomparse circa 2.260 persone, tra cui 1.270 bambini, presumibilmente sotto le
macerie; non solo, «un’intera popolazione è assediata e sotto attacco, privata
dell’accesso ai beni essenziali per la sopravvivenza, bombardata nelle proprie case,
ospedali e luoghi di culto». A un mese
dal 7 ottobre, si stima che più di 1.5 milioni di persone, il 70% della
popolazione di Gaza, siano sfollate. La sopravvivenza è resa impossibile, la
vita stessa è messa a repentaglio; ancora nella dichiarazione congiunta si
afferma che «gli attacchi sono continuati nelle immediate vicinanze
degli ospedali, tra cui l’ospedale di Beit Lahiya e l’ospedale Al Quds a Tal Al
Hawa (città di Gaza)»; analogamente, secondo l’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, al
4 novembre sono stati segnalati più di 100 attacchi contro l’assistenza
sanitaria a Gaza. Gli
eventi si susseguono dunque, sotto il profilo internazionale, sue due livelli:
quanto al primo, la dichiarazione congiunta non nasconde il fatto che gli attacchi all’assistenza sanitaria, compreso il prendere di
mira gli ospedali e limitare o impedire la consegna di aiuti essenziali come
acqua, carburante e forniture mediche, possono costituire gravi violazioni del
diritto umanitario internazionale. Il primo girone di questo inferno che le
autorità al potere in Israele hanno dunque scatenato contro Gaza è quello di
una flagrante e gravissima violazione del diritto e della giustizia
internazionale, a giustificazione della quale non può essere addotto l’assalto portato
dai miliziani di Hamas il 7 ottobre proprio perché la reazione da parte
israeliana è “sproporzionata”, viola cioè anche i principi di legittimità,
adeguatezza e proporzionalità della risposta, come ha, tra gli altri,
recentemente segnalato anche il primo ministro della Norvegia, Jonas
Gahr Støre, secondo il quale «le conseguenze umanitarie per i civili sono catastrofiche: il
numero delle vittime, la quantità di distruzione e soprattutto l’enorme impatto
sofferto dai bambini palestinesi è in violazione di ciò che le norme e gli
standard umanitari richiedono», per aggiungere, di conseguenza, che «sia
rispettata la proporzionalità.E
la portata della distruzione e della sofferenza che si verifica ora [a Gaza] va
ben oltre la proporzionalità». Ma c’è un
secondo livello. Questa guerra, oltre a prefigurare un vero e proprio crimine
internazionale e a configurare una clamorosa violazione del diritto e della
giustizia internazionale, è anche, come è stato ribadito da più parti, «un caso
di genocidio da manuale». Nella lettera, ampiamente diffusa dalla stampa e tra i social
media, con la quale Craig Mokhiber, già direttore dell’Ufficio di New York
dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, ha rassegnato
le proprie dimissioni, si spiega: «Come avvocato specializzato in diritti umani
[...] so bene che il concetto di genocidio è stato spesso utilizzato
abusivamente per scopi politici. Ma l’attuale massacro su larga scala del
popolo palestinese, radicato in un’ideologia coloniale etno-nazionalista, in continuità con decenni di persecuzione ed
epurazione sistematica, basata interamente sul loro status di arabi, e
accompagnato da esplicite dichiarazioni d’intenti da parte dei leader del
governo e dell’esercito israeliano, non lascia spazio a dubbi o discussioni. A
Gaza, le case, le scuole, le chiese, le moschee e le istituzioni mediche dei
civili sono state attaccate senza pietà, mentre migliaia di civili sono stati
massacrati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme occupata, le case vengono confiscate
e riassegnate in base all’etnia e violenti pogrom dei coloni sono appoggiati da
unità militari israeliane. In tutto il territorio regna l’apartheid». È cioè una
clamorosa violazione, tra le altre, della Convenzione
sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948), in base
alla quale (art. 2) il crimine internazionale di genocidio è «uno
qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o
in parte, un gruppo nazionale, etnico, o religioso in quanto tale: uccidere
membri del gruppo; causare gravi danni fisici o psicologici ai membri del
gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a
provocarne la distruzione fisica; [...] trasferimento forzato di bambini del
gruppo ad un altro gruppo». Una necessaria
risposta internazionale, in linea con la Carta delle Nazioni Unite, si impone
per salvaguardare non solo ciò che resta del diritto internazionale, ma, primo
di tutto, la vita del popolo palestinese.