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martedì 28 novembre 2023

I TEDESCHI E LA COLPA   
di Johann Lerchenwald


 
Johann Lerchenwald
 
Resta ancora da aggiungere qualcosa su questo tema? Non sono già stati illuminati a sufficienza tutti i retroscena economici, politici, storici? Non abbiamo appreso ormai nei minimi dettagli come poté accadere e non siamo forse a conoscenza di un buon numero di casi sfortunati, senza i quali gli avvenimenti avrebbero probabilmente preso un altro corso? Non hanno i testimoni oculari raccontato a sazietà della retorica ipnotica del Führer e del micidiale apparato di controllo della Gestapo? Eppure, leggendo nella terza pagina di un quotidiano tedesco che il bombardamento sistematico delle città è stato il prezzo della libertà, l’unico mezzo per far guarire da una grave malattia, lo straniero scuote la testa, prova pietà e anche una certa paura di fronte a questo popolo incomprensibile. Dopo la distruzione di una buona parte della storia materializzatasi in case e città (e naturalmente l’eliminazione dei più alti gerarchi nazisti e lo scioglimento della loro organizzazione) era il Tedesco quindi finalmente pronto per diventare un essere umano come tutti gli altri? Ci fosse stata soltanto la guerra, condotta grazie ad una tecnica moderna con ancor maggiore tenacia della precedente, causando decine di milioni di vittime, l’umiliante sconfitta avrebbe questa volta potuto trovare un contrappeso nella coscienza di chi questa guerra aveva indiscutibilmente scatenato. E forse sarebbe ancora stato possibile venire in chiaro con sé stessi e il mondo. Ma, sotto gli occhi di tutti, c’era lo sterminio di un popolo organizzato a tavolino e messo in atto da appartenenti alle SS con tipiche virtù tedesche (sterminio del quale la maggioranza non sapeva o non aveva voluto sapere nulla). Vennero alla luce fatti ai quali nessun essere umano provvisto d’anima è capace di credere. Non solo degli innumerevoli sistematicamente assassinati si era tenuta scrupolosa contabilità, ma anche della farina ossea ricavata dai crematori, destinata a tornare in patria come concime artificiale per i campi tedeschi…


 
Un popolo che si era fatto un nome per la sua cultura e aveva poi voluto ergersi a razza dominatrice, si vide all’improvviso confrontato – indipendentemente dall’agire e dal pensare del singolo durante l’epoca fatale – con un’accusa la cui mostruosità non lasciava scampo. Se non si voleva restare di sale, se si voleva in qualche modo andare avanti, si presentavano solo due vie: o negare una qualsiasi colpa e addossarla ad altri oppure riconoscersi completamente ed indifferenziatamente colpevoli. Una distaccata autocoscienza senza pressioni esterne non era evidentemente prevista dal piano divino. Diviso in due, il paese ebbe modo di sperimentare ambedue le vie.
Nella parte orientale tutta la responsabilità venne rovesciata sui nemici dichiarati del Comunismo. E, giacché gli operai, considerati comunisti per natura, costituivano la maggioranza della popolazione, si poté tranquillamente passare all’ordine del giorno. Alla parte occidentale toccò la sorte più dura. Una continua contrizione, finalizzata a tappare la bocca all’opinione pubblica mondiale e alla propria coscienza, doveva spianare il terreno all’edificazione di una società razionale e inattaccabile basata sul rendimento.


 
Il socialismo è venuto meno da sé. E, con la coscienza leggera e una buona porzione di umorismo, i compagni sono adesso alle prese con il difficile processo di adattamento alle giornaliere follie del Capitalismo.
Nell’ex Germania occidentale, che dà il tono, non è invece cambiato molto. Semmai si alzano qua e là voci che chiedono la prescrizione del crimine commesso. Dopo più di cinquant’anni si dovrebbe aver espiato abbastanza, sostengono. La terza generazione non avrebbe più nulla a che vedere con questa faccenda, per quanto atroce essa sia stata. Il complesso di colpa, coltivato dal ceto dirigente e dall’intellighenzia e trasmesso dai genitori ai figli, non si lascia però estirpare dall’oggi al domani. Esso ha impedito lo sviluppo di una vita spirituale, ha eretto barriere emozionali e intellettuali che non si possono abbattere semplicemente archiviando un passato relativamente recente.
‘Divieni quel che sei’, esortava un filosofo nel secolo scorso.
Ma in quanto Tedesco mi è forse permesso chiedermi chi sono?