Se ne è ricavato persino un modo
di dire: “ironia della sorte”, dove quell’ironia si è fatta beffe persino della
sorte, cioè di un destino avverso, e lo ha capovolto. Questo per dire del suo
radicamento. Contrariamente all’umoristico, al comico, al farsesco, al satirico,
generi molto popolari e diffusi di cui si fa largo uso e largo impiego,
l’ironia ha un carattere più elitario e conserva un blasone di aristocraticità.
Parlo di quell’ironia illuminante ricca di intelligenza e di arguzia: che può
essere anche amara, ma mai scivolare verso un sarcasmo oltraggioso e crudele. È
un’ironia che si incarna in vite dalle lunghe “traversate”, vite che hanno
sperimentato tutto il vacuo, il falso e gli inganni del mondo senza farsi
travolgere, riuscendo miracolosamente a rimanere al di qua del cinismo. Vite
per certi aspetti filosofiche, ma aliene da imperturbabili saggezze. Si deve
essere vissuti a lungo e subìto molto per divenire padroni di una tale ironia,
per farne “il più efficace rimedio contro l’idiozia”, come recita un mio
lontano aforisma. Senza una robusta dose di questa sana ironia, – e aggiungerei
di auto-ironia – uno spirito in conflitto con questo tempo indegno non potrebbe
sopravvivere. È raro questo genere di ironia e sono rari gli uomini che ne sono
portatori. È più facile imbattervisi attraverso la scrittura; attraverso libri e
autori dall’ironia scintillante, in apparenza fredda, ma in grado di operare
dei veri e propri cortocircuiti e spiazzamenti. Soffermiamoci sulla chiusa
finale di questo breve brano dello scrittore Tommaso Landolfi: “Quando ero ragazzo, volli una volta
foggiarmi una lingua personale: mi pareva necessario cominciare di lì; una
lingua vera e propria, con tutte le sue regole. Intesi bene che per ciò dovevo
rifarmi da ancor più lontano, ossia inventare in primo luogo un paese, un
popolo, una storia e così via, la lingua essendo il supremo fiore anzi frutto
di una civiltà: empii fogli e fogli, che ogni tanto ritrovo. E forse questo mi
si configurò nel capo come la ricerca di un’altra cosa. Ebbene ero votato
all’insuccesso”.
Ci sono brani interi di narratori in cui si dispiega magistralmente l’ironia, e
molto spesso dà il meglio di sé nella forma aforistica, secca e tranchant; si
potrebbero fare diversi esempi. Eva Skříčkovádopo avere analizzato a
fondo l’ironia presente ne La coscienza di Zeno di Italo Svevo per la
sua tesi di laurea annota: “L’analisi testuale svolta permette di affermare
che, sebbene il comune sentire confonda l’ironia con il riso, l’ilarità e la
satira, questo strumento retorico è un mezzo intelligente ed efficace per
veicolare un significato che nega quello effettivo letterale e che non sempre
si manifesta con un sorriso. I brani riportati, sebbene siano a tratti molto
beffardi, sono un esempio lampante di come l’ironia si risolva in sé stessa
come forma di critica e di giudizio nei confronti del bersaglio prescelto: l’opinione
che il discorso ironico vuole far nascere nel lettore non è unica, sicura e
certa, lascia sempre libertà di interpretazione perché le parole del testo si
confondono, si intrecciano e si sommano con il nostro pensiero, con la nostra
cultura e la nostra esperienza. L’ironia scompone le parole e il loro puro
significato in base al valore che ne dà il lettore stesso: a volte si può
ridere, a volte ci si può semplicemente, amaramente stupire”.