L’Italia
cede i suoi gioielli industriali. Adistanza di pochi giorni l'inserto "Economia" del Corriere della Sera
torna, ancora a firma di Ferruccio De Bortoli, sul deficit industriale
dell'Italia portando in rilievo il caso "Magneti Marelli" precisando:
"Magneti Marelli non è più italiana
da quando FCA, non ancora Stellantis, la cedette sventuratamente (ma non per i
propri azionisti) alla nipponica Calsonic Kansel Holding" (operazione nella quale
non fu usata la golden power e che la FCA). Anche
la multinazionale della componentistica dell'auto non è più giapponese da
quando è controllata dal fondo americano KKR, lo stesso che avrà la maggioranza
dellerete di telecomunicazioni una volta scissa da Tim". E si precisa: "La
scelta miope di rinunciare alla difesa dei componenti: rimangono Brembo per i freni
e Pirelli per le gomme". Si
è così rinunciato a costruire un grande gruppo della componentistica che
avrebbe potuto intervenire su di una particolarità non irrilevante nel processo
di transizione ecologica per non dipendere dal motore endotermico e porre
settori industriali in grado di essere competitivi nella sfida dell'auto
elettrica (che, ricorda ancora De Bortoli, "ha sempre bisogno di pneumatici e freni"). Analoghe
situazioni di "estraniamento produttivo" si sono ormai registrate in
altri settori strategici dalle telecomunicazioni alla siderurgia soltanto per
fare alcuni esempi. Senza timore di annoiare e nella certezza di non essere fraintesi
come sovranisti-nazionalisti torniamo allora su alcuni punti già toccati in
passato: si è creata una situazione di evidente
scalabilità e debolezza, a dimostrazione di una ormai storica incapacità di programmazione
dell'intervento pubblico in economia e di assenza di politica industriale (che
coinvolge anche l'Europa).L'opposizione e il
sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente inesistente,
tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza
dell’immediato. Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento
del pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei
lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e
un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che
accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della politica industriale
soprattutto sul delicatissimo terreno dell'innovazione nei settori strategici.
Limiti del resto non affrontati neppure nella "possibile"(?)
occasione fornita dal PNRR al riguardo della quale il discorso andrebbe
affrontato in sede opportuna ma che non può essere sottovalutato o peggio
dimenticato. PNRR il cui utilizzo appare ormai orientato in senso di
raccolta di consenso elettorale in pieno appoggio al concetto di potere che
alberga nell'attuale destra di governo.