Un
passante, appena uscito di casa, cammina sul marciapiede. È soprappensiero, a
tutto sta pensando, salvo che alla… carrozza. Ed ecco che, da dietro l’angolo,
ne vengono avanti tre… affiancate… All’improvviso, sul vasto marciapiede, non
c’è più posto per il passante. E, nella testa del passante, non c’è più posto
per i suoi pensieri… Eppure,
diamine! avrebbe potuto essere impegnato, in quel momento, con una nuova teoria
della relatività o una nuova Bibbia! Il
passante deve abbandonare i suoi pensieri, deve farlo, per pensare a come
cavarsela, in questa – relativamente - di molto più importante strettoia esistenziale. In
secoli bui, fra gente illustre e di temperamento, scorreva, è vero, il sangue,
per le precedenze su un marciapiede. È anche vero che, allora, magari, il
marciapiede sarà stato così stretto che due uomini non potevano passarsi a
fianco, e chi scendeva sarà finito coi piedi nel rigagnolo… Ma oggi delle
semplici carrozze hanno l’ardire di negarti il varco, quando vanno affiancate
in tre su un marciapiede! E sono corazzate e bullonate e acciaiate, attrezzate
di certe ruote che, se ti danno sugli stinchi o ti passano sul piede, sei azzoppato
per la vita! Le
mammine stanno tenendo conciliabolo,
parlano di sicuro di neonati, sono assai comprese di sé, e impassibili; non si
sa, addirittura, se vedano il passante, non tradiscono emozioni… Ma, all’ultimo
momento, lo vedranno? Il
passante dubita… D’altra
parte, sente lievitargli dentro la calda stizza e non vuole cedere il passo a
quelle vesciche gonfiate, non vuole che si montino un altro po’ la testa. Ma
il piede, il piede rischia… Ed ecco che, un attimo prima della collisione, una
delle carrozze rallenta e si tira di lato per metà della sua larghezza stessa,
non accorda di più, ma è sufficiente, al passante, per sgattaiolare… Non
al suo onore, però, per illudersi che, qualora la mammina avesse deciso l’opposto, non si sarebbe servilmente tirato
lui, di lato. Di conseguenza, la nuova teoria della relatività è dimenticata e
così la nuova Bibbia.
Il
passante è, ciò malgrado, approdato a un… va be’… chiamiamolo caffè. Vedremo
presto come anche questa denominazione poco o niente s’attagli alla cosa. Ma,
per ora, presupponiamo che quello in cui è entrato sia un caffè, dato che così
canta l’insegna. Qui forse egli potrà mettere giù qualche pensiero, sulla nuova
teoria della relatività o sulla nuova Bibbia, ancor non sa, non ha riflettuto a
fondo… Ed ecco, si siede a un tavolino e fa tutto quello che in un caffè si fa…
Ordina una tazza di caffè, si alza a prendere il giornale per dare un’occhiata
ai titoli… Così, tanto per riscaldare un po’ la mente. Tenta anche di studiarsi
un po’ la gente, ma quella poca sta studiando lui, oppure tiene lo sguardo
fisso nel vuoto di un’agonia senza fine. Abbassa lo sguardo sul giornale. Un’irrequietezza
senza nome s’impadronisce di lui, e, se fosse sincero, se non si
autoingannasse, uscirebbe subito, se la svignerebbe prima ancora di vedersi
portare il suo caffè. Si costringe, tuttavia, a leggere qualche titolo… Ahimè,
che temi sconfortanti… Politica,
economia, computer, telefonini, assassinii, stupri, sfilate di moda… Salta
alla cultura: istallazioni, romanzoni ebrei, Regietheater[1]… Ma,
allora, è meglio tornare alla realtà! Torna alla realtà, alza lo sguardo: lo
stanno sempre fissando come oziosi di una stazione di paese, ma peggio. La noia
gli stringe la gola, mentre cerca d’ingollare il suo caffè. Che
prova, bere quel caffè!...
Ma
possibile? Qualcosa
si muove, invece, in quell’antro di miseria! Una
mammina gli ha sorriso e, sempre
sorridendo, ha tirato fuori… due grosse… tette:
le sue! E,
sempre sorridendo, si è messa, con quelle, ad allattare… il baby! Ora
il passante sa che non è solo teoria! Che,
dai trattati sull’allattamento, si può passare all’allattamento vero! Il
passante, che poi è una donna, balza in piedi, turbato per la vergogna che lo
assale al posto della mammina
spudorata e quando, ripensando al sorriso, si rende conto che era una richiesta
di complicità da donna a donna, come una domanda di “permesso”, il sangue gli
monta alla testa e chiama a mezza voce quella donna una… puttana. La
puttana magari abiterà nello stesso
palazzo in cui è ubicato il caffè, ma doveva assolutamente scomodarsi, trovarsi
un pubblico, anche se di scimuniti, per allattare: alla bisogna niente è più
adatto di un caffè! E
così è stato scacciato. Si
addossa, preme contro il banco il petto, ha fretta, deve uscire, soffoca:
infatti, è di rigore, per quel trattamento, persino pagare! Colui
che riscuote, ovviamente pensa solo a riscuotere, non ha notato nulla, non è
rimasto colpito da quella rapidità d’azione. Sorride
anche lui, com’è d’obbligo, quando si riscuote. E
questo è quanto. Tutt’intorno
silenzio e cortesia: non è successo niente. [1] Il Teatro della regia che
tiranneggia il testo.