PATRIARCATO E FAMIGLIA PATRIARCALE di Luigi Mazzella
Patriarcato e Famiglia
patriarcale esprimono, pur nello stesso ambito concettuale, eventi e
realtà da tenere distinti. L’uno e l’altra hanno un momento puntuale
d’inizio e una durata continuativa nel corso del tempo. L’origine, sia
per il patriarcato sia per la famiglia patriarcale, risale alla preistoria: si
perde, come suole dirsi, nella notte dei tempi. In
conseguenza, né l’assunzione (non sappiamo se violenta o in qualche modo concordata) del
potere da parte del maschio sulla femmina nello stesso gruppo sociale di
appartenenza, né l’incardinamento del patriarcato iniziale nella famiglia sono
stati mai descritti e raccontati da alcun essere vivente. In altre e più colorite parole, delle modalità e
delle motivazioni di tali “fattacci” non possiamo, quindi, sapere nulla:
vi sono solo le supposizioni di illustri antropologi che hanno affrontato il
problema, sulla base di studi. La conquista del potere del maschio a danno
della femmina si può arguire dal mito greco della cacciata della Dea
Ate dall’Olimpo, con un calcio nel deretano da parte di Zeus: sarebbe la
dimostrazione di un errore femminile severamente punito dal (nuovo?) Re degli
Dei. Il ricorso al mito, in mancanza di ogni altra fonte, conferma
che l’avvenuto impossessamento dello scettro di comando da parte dell’uomo
rimonta certamente a epoca preistorica. Non mancano, tra gli studiosi,
altre supposizioni, ipotesi e congetture. Margaret
Mead ha sostenuto che, verosimilmente, fino a quando la donna era stata
ritenuta l’unica artefice della nascita della prole per effetto, magari, di
influssi lunari connessi al suo ciclo, ella aveva godute di tutte le
libertà: in primis, quella sessuale considerata della stessa natura
di quella che l’uomo, oggi, attribuisce a sé stesso. Le donne, con buona probabilità, accettavano
di avere da sole il peso della gestione dei figli. Secondo gli studiosi
del ramo anche perché ciò durava fino al raggiungimento dell’autonomia della
prole (sull’esempio nel mondo animale, dove i cuccioli, cresciuti e in
grado di procurarsi il cibo, tendono ad avere una vita propria il prima
possibile). Una ipotizzabile ragione dello spossessamento iniziale del
comando da parte del maschio potrebbe essere data dalla scoperta del potere
procreativo del seme virile, immaginato come capace di determinare,
da solo, la formazione del feto e la nascita della prole. In ciò l’Uomo
doveva avere visto, verosimilmente, una sua potenzialità a superare i
confini della morte: il suo seme gli poteva consentire di perpetuarsi in
eterno. È agevole presumere, secondo la
scienza antropologica, che da questa prima forma di patriarcato si sia passati,
poi, anche all’attribuzione al maschio della proprietà dei beni con
la conseguente trasmissione dei medesimi per via ereditaria; da qui,
secondo alcuni studiosi, anche la nascita della famiglia (detta, appunto,
“patriarcale”) e del capitalismo.
Fatta
questa premessa, v’è da osservare che l’ultima delle tante, ricorrenti manifestazioni
di piazza, in Italia: (detta “contro il patriarcato e contro il
maschilismo” e indetta, dopo l’ennesimo caso di “femminicidio”) rappresenta
l’ennesima espressione della confusione mentale che oggi pervade l’Occidente. In
primis, ad essa, in cui le donne intendevano protestare per
l’ennesima prova di essere considerate proprietà dell’uomo (fidanzato, marito,
amante) e di essere trucidate se desiderose di ritornare libere, hanno
partecipato, come il cavolo a merenda, anche filo-palestinesi
e anti-israeliani che si proponevano un obiettivo di lotta ugualmente
molto serio ma ben diverso. Perché mischiarsi in un unico corteo,
danneggiando entrambe le cause? In secondo
luogo, la manifestazione ha dimostrato, per gli interventi sui mass
media di alcuni suoi più impegnati partecipanti, che sul tema del dominio
patriarcale la gente si muove in un pressapochismo concettuale ed in
un’ignoranza dei fatti veramente sconcertanti. Certamente il maschilismo
che lo caratterizza è ritenuto, non a torto, alla base dei “femminicidi” (il
cui numero aumenta esponenzialmente di giorno in giorno) ma gli interrogativi su
un tema così complesso sono veramente tanti e sembra che nessuno se li sia
posti. Innanzitutto, non sembra che la
manifestazione indetta a Roma e in altre città italiane possa vedersi come una
lotta possibile contro la “famiglia” sia pure nella sua essenza chiaramente e
inequivocabilmente “patriarcale”.
Si
è puntato il dito genericamente contro il “patriarcato” intendendo
demonizzare l’evento puntuale della sua nascita: ma ad
impossibilia nemotenetur. Un tale impegno pugnace dovrebbe
intendersi diretto ad annullare le condizioni di vita di tutti i secoli di
preistoria e di storia da noi intuiti e conosciuti al fine
di ritornare al matriarcato delle origini. Si tratterebbe di un
progetto ambizioso (e di certo, non privo di coraggio) ma,
certamente, di impossibile realizzazione. È
da ritenere, d’altronde, che l’idea di un simile progetto non si sia neppure
affacciata alla mente di uno solo dei manifestanti. Allora
la domanda è: si può demonizzare il
patriarcato continuando a santificare la famiglia che ne costituisce,
da millenni, la struttura portante? Veramente le donne manifestanti
ritenevano la “famiglia” il supporto del predominio maschile, il
luogo della loro “detenzione” e privazione di libertà? La
risposta è agevole: certamente no!
Perché?
Perché tale ultima tesi, pur nella sua esattezza concettuale, contrasterebbe
chiaramente con la visione tuttora dominante nel nostro Paese (e non solo in
esso) che è quella profondamente “cattolica”. E chiamerebbe in causa, per
metterla in discussione, la passione emotiva cosiddetta “materna” (vera o falsa
che sia). Il cattolicesimo ha cambiato
tutte le carte in tavola anche in materia di egemonia del pater familias:
la famiglia patriarcale ha rappresentato un’involuzione (idest: un
peggioramento) del dominio maschilista sulla donna, ma appare indistruttibile
con manifestazioni di piazza; se, ovviamente, non muta, in misura
consistente, la mentalità che l’ha creata. In più,
la chiesa cattolica non solo ha attribuito natura divina alla procreazione (a
interpretare le cosiddette “sacre” scritture, i neonati
sarebbero veramente figli più che dell’inseminatore umano di un
Super-padre che è Dio) ma ha anche imposta come funzionale, l’educazione
da impartire in famiglia, alla inestinguibile (e definita”sacra”) lotta
contro gli infedeli. Domanda
finale, “un po’ per celia e un po’ per non morir”: Non è contraddittorio per
molti manifestanti lottare contro il patriarcato, escludendo dai propri
strali il suo supporto (che oggi è la famiglia) quando nella
compagine governativa voluta (?) dagli Italiani v’è addirittura un
Ministro per la Famiglia?