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mercoledì 29 novembre 2023

PATRIARCATO E FAMIGLIA PATRIARCALE
di Luigi Mazzella 

 

Patriarcato e Famiglia patriarcale esprimono, pur nello stesso ambito concettuale, eventi e realtà da tenere distinti. L’uno e l’altra hanno un momento puntuale d’inizio e una durata continuativa nel corso del tempo.
L’origine, sia per il patriarcato sia per la famiglia patriarcale, risale alla preistoria: si perde, come suole dirsi, nella notte dei tempi. In conseguenza, né l’assunzione (non sappiamo se violenta o in qualche modo concordata) del potere da parte del maschio sulla femmina nello stesso gruppo sociale di appartenenza, né l’incardinamento del patriarcato iniziale nella famiglia sono stati mai descritti e raccontati da alcun essere vivente. In altre e più colorite parole, delle modalità e delle motivazioni di tali “fattacci” non possiamo, quindi, sapere nulla: vi sono solo le supposizioni di illustri antropologi che hanno affrontato il problema, sulla base di studi. La conquista del potere del maschio a danno della femmina si può arguire dal mito greco della cacciata della Dea Ate dall’Olimpo, con un calcio nel deretano da parte di Zeus: sarebbe la dimostrazione di un errore femminile severamente punito dal (nuovo?) Re degli Dei. Il ricorso al mito, in mancanza di ogni altra fonte, conferma che l’avvenuto impossessamento dello scettro di comando da parte dell’uomo rimonta certamente a epoca preistorica. Non mancano, tra gli studiosi, altre supposizioni, ipotesi e congetture. Margaret Mead ha sostenuto che, verosimilmente, fino a quando la donna era stata ritenuta l’unica artefice della nascita della prole per effetto, magari, di influssi lunari connessi al suo ciclo, ella aveva godute di tutte le libertà: in primis, quella sessuale considerata della stessa natura di quella che l’uomo, oggi, attribuisce a sé stesso. Le donne, con buona probabilità, accettavano di avere da sole il peso della gestione dei figli. Secondo gli studiosi del ramo anche perché ciò durava fino al raggiungimento dell’autonomia della prole (sull’esempio nel mondo animale, dove i cuccioli, cresciuti e in grado di procurarsi il cibo, tendono ad avere una vita propria il prima possibile). Una ipotizzabile ragione dello spossessamento iniziale del comando da parte del maschio potrebbe essere data dalla scoperta del potere procreativo del seme virile, immaginato come capace di determinare, da solo, la formazione del feto e la nascita della prole. In ciò l’Uomo doveva avere visto, verosimilmente, una sua potenzialità a superare i confini della morte: il suo seme gli poteva consentire di perpetuarsi in eterno. È agevole presumere, secondo la scienza antropologica, che da questa prima forma di patriarcato si sia passati, poi, anche all’attribuzione al maschio della proprietà dei beni con la conseguente trasmissione dei medesimi per via ereditaria; da qui, secondo alcuni studiosi, anche la nascita della famiglia (detta, appunto, “patriarcale”) e del capitalismo.


 
Fatta questa premessa, v’è da osservare che l’ultima delle tante, ricorrenti manifestazioni di piazza, in Italia: (detta “contro il patriarcato e contro il maschilismo” e indetta, dopo l’ennesimo caso di “femminicidio”) rappresenta l’ennesima espressione della confusione mentale che oggi pervade l’Occidente. In primis, ad essa, in cui le donne intendevano protestare per l’ennesima prova di essere considerate proprietà dell’uomo (fidanzato, marito, amante) e di essere trucidate se desiderose di ritornare libere, hanno partecipato, come il cavolo a merenda, anche filo-palestinesi e anti-israeliani che si proponevano un obiettivo di lotta ugualmente molto serio ma ben diverso. Perché mischiarsi in un unico corteo, danneggiando entrambe le cause? In secondo luogo, la manifestazione ha dimostrato, per gli interventi sui mass media di alcuni suoi più impegnati partecipanti, che sul tema del dominio patriarcale la gente si muove in un pressapochismo concettuale ed in un’ignoranza dei fatti veramente sconcertanti. Certamente il maschilismo che lo caratterizza è ritenuto, non a torto, alla base dei “femminicidi” (il cui numero aumenta esponenzialmente di giorno in giorno) ma gli interrogativi su un tema così complesso sono veramente tanti e sembra che nessuno se li sia posti. Innanzitutto, non sembra che la manifestazione indetta a Roma e in altre città italiane possa vedersi come una lotta possibile contro la “famiglia” sia pure nella sua essenza chiaramente e inequivocabilmente “patriarcale”.



Si è puntato il dito genericamente contro il “patriarcato” intendendo demonizzare l’evento puntuale della sua nascita: ma ad impossibilia nemo tenetur. Un tale impegno pugnace dovrebbe intendersi diretto ad annullare le condizioni di vita di tutti i secoli di preistoria e di storia da noi intuiti e conosciuti al fine di ritornare al matriarcato delle origini. Si tratterebbe di un progetto ambizioso (e di certo, non privo di coraggio) ma, certamente, di impossibile realizzazione. È da ritenere, d’altronde, che l’idea di un simile progetto non si sia neppure affacciata alla mente di uno solo dei manifestanti. 
Allora la domanda è: si può demonizzare il patriarcato continuando a santificare la famiglia che ne costituisce, da millenni, la struttura portante? Veramente le donne manifestanti ritenevano la “famiglia” il supporto del predominio maschile, il luogo della loro “detenzione” e privazione di libertà?
La risposta è agevole: certamente no! 



Perché? Perché tale ultima tesi, pur nella sua esattezza concettuale, contrasterebbe chiaramente con la visione tuttora dominante nel nostro Paese (e non solo in esso) che è quella profondamente “cattolica”. E chiamerebbe in causa, per metterla in discussione, la passione emotiva cosiddetta “materna” (vera o falsa che sia). Il cattolicesimo ha cambiato tutte le carte in tavola anche in materia di egemonia del pater familias: la famiglia patriarcale ha rappresentato un’involuzione (idest: un peggioramento) del dominio maschilista sulla donna, ma appare indistruttibile con manifestazioni di piazza; se, ovviamente, non muta, in misura consistente, la mentalità che l’ha creata. In più, la chiesa cattolica non solo ha attribuito natura divina alla procreazione (a interpretare le cosiddette “sacre” scritture, i neonati sarebbero veramente figli più che dell’inseminatore umano di un Super-padre che è Dio) ma ha anche imposta come funzionale, l’educazione da impartire in famiglia, alla inestinguibile (e definita”sacra”) lotta contro gli infedeli.
Domanda finale, “un po’ per celia e un po’ per non morir”: Non è contraddittorio per molti manifestanti lottare contro il patriarcato, escludendo dai propri strali il suo supporto (che oggi è la famiglia) quando nella compagine governativa voluta (?) dagli Italiani v’è addirittura un Ministro per la Famiglia?