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sabato 30 dicembre 2023

PROMOTORI DI PACE
di Giuseppe Bruzzone


La spilla dell'Associazione
ANVCG
                                              
 
Il 12 dicembre scorso, durante l’Orazione Civile per la strage di Piazza Fontana tenutasi al Circolo De Amicis di Milano per ricordarne le vittime e la morte di Giuseppe Pinelli, letture poetiche dall’antologia La poesia non dimentica, testimonianze e interventi musicali si sono succeduti nel corso di un lungo pomeriggio fino a sera inoltrata. In questa occasione Daniele Arletti, promotore di pace ed esponente dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG), della sezione di Reggio Emilia (presidente Annamaria Fiorini, tel. 0522- 431281 - email: reggioemilia@anvcg.it), ci ha raggiunti per consegnare ad Angelo Gaccione, una spilla d’onore per il suo impegno contro la guerra, causa di morti, di feriti, di invalidi civili permanenti. Impegno che si concretizza da oltre vent’anni con la direzione del giornale in Rete “Odissea” e con la sua attività di intellettuale e di scrittore da sempre impegnato sui temi della pace e del disarmo. Sono tutti volontari i membri dell’Associazione e come si è espresso Arletti: “Abbiamo fatto una cosa sentita venendo qui, una cosa giusta. Abbiamo esercitato il dovere di cittadini davanti a queste stragi. Per fatti gravi dovremmo sentirci tutti colpiti, anche se essi accadono all’altro capo dell’Italia”. ANVCG è impegnata su più fronti, soprattutto in quella che resta la sua campagna storica e denominata “Stop bombe sui civili”. Il prossimo 10 gennaio, in mattinata, si occuperanno della pulizia dei cippi civili, parco S. Maria. In giugno verranno ricordati i martiri della Bettola (Reggio Emilia) con la presenza di Liliana del Monte, sopravvissuta all’eccidio nazista nell’Appennino reggiano compiuta il 23 giugno 1944. L’Associazione ha lo scopo di ricordare perennemente questi fatti storici: le stragi di civili in ogni città, durante la guerra. Importanti anche la campagna di informazione sui rifugiati che fuggono dalle guerre, e quella di sensibilizzazione sugli ordigni bellici inesplosi. Numerose le iniziative in collaborazione con le scuole, in particolare segnaliamo quella che sarà dedicata alla formazione dei Testimoni di Pace. Da parte sua Gaccione ha detto: “Non ho mai portato distintivi di qualsivoglia associazione, ma questa in difesa delle vittime civili di guerra, la metterò volentieri all’occhiello”.

 

PAROLE-CHIAVE E ORGANIZZAZIONE POLITICA
di Franco Astengo
 


"Il Manifesto" (29 dicembre) dedica 12 pagine speciali alle parole: "Che hanno accompagnato i percorsi di emancipazione e le lotte di liberazione e che - a giudizio dei curatori - sono ormai parole inservibili. Se non peggio possono avere l'effetto di un ostacolo. Per riprendere il cammino, cominciamo a metterle in discussione". Questo l'occhiello che presiede all'introduzione delle dodici pagine. Le parole sottoposte ad esame sono: rifondazione, liberalismo, pace, contratto sociale, sinistra, popolo, differenza, riformismo, patriarcato, sovranismo. Nell'occasione ci limiteremo a proporre una riflessione sui termini "sinistra" e "riformismo" che ci appaiono come i più urgenti da mettere a fuoco in un'attualità che preme di fronte a scadenze immediate e molto complesse da affrontare. Per introdurre il discorso mi limito a riportare la sinossi delle due pagine in questione.
Andando per ordine: Sinistra (pagina elaborata da Paolo Virno): "Lo schieramento politico, ma anche e soprattutto sentimentale chiamato sinistra si è battuto sempre per lo sviluppo delle forze produttive, ignorando con animo sereno la guerra civile latente che cova all'interno di tale sviluppo. Ha invocato l'unità nazionale e il rispetto dello stato sovrano".
Riformismo (pagina elaborata da Mario Ricciardi): " Oggi il tema di fondo per le sinistre in Europa e negli Stati Uniti non è più quello sintetizzato un secolo fa dall'alternativa tra riforme e rivoluzione. La lotta contro le disuguaglianze, risultato di un trentennio di egemonia neo liberale e per la difesa di una democrazia e di un Welfare a rischio di estinzione anima tanto i socialisti più avanzati quanto i liberali egualitari".


 
Una prima lettura di queste frasi apre prospettive di grande interesse, rilevandone la contraddittorietà da un lato tra il giusto richiamo all'uscita dal dogma dello sviluppo infinito delle forze produttive e alla distinzione rispetto al concetto di unità nazionale e dall'altro canto l'accento posto sulla necessità di un riformismo capace di riprendere i temi del welfare per superare - appunto - i termini "storici" di divisione a sinistra.
Sorge così un interrogativo rivolto ad una tredicesima parola non compresa nelle pagine dell'inserto: quella dell'organizzazione politica. Dove si risolve, infatti, la contraddizione indicata dall'esame dei due termini?
 Senza alcuna pretesa di sufficiente capacità intellettuale a giudizio di chi ha scritto la presente nota occorre un luogo di sintesi tra la necessità di fuoriuscita dal concetto di inesauribilità dello sviluppo e l'ineluttabilità di un recupero del concetto di welfare quale terreno essenziale per affrontare le diseguaglianze. Un luogo di sintesi non racchiuso nelle quattro mura del cosiddetto Occidente contrapposto al fenomeno emergente di forze trasversalmente alleate (l'allargamento del BRICS) in nome di un diverso senso nell'utilizzo delle risorse planetarie (anche qui con enormi contraddizioni) e nella prospettiva di un ritorno alla logica dei blocchi in dimensione inedita rispetto alla storia del '900.
Serve una riunificazione di senso nella sintesi politica che può trovare il punto di raccordo soltanto in organizzazioni transnazionali che si pongano per intero il tema del rapporto tra le forze richiamate da Ricciardi: socialisti più avanzati e liberali egualitari. A patto però che l'espressione di questo incontro avvenga nel quadro di un mutare di qualità nell'analisi del rapporto tra le contraddizioni riuscendo ad esprimere gramscianamente una egemonia culturale. Potrebbe essere possibile tentare in questo senso un esperimento italiano a patto però di esprimere subito la necessaria tensione rivolta alla sovranazionalità individuando le priorità strategiche. Un esperimento italiano urgente da mettere in piedi nel difficile contesto che stiamo vivendo, proprio perché all'incrocio richiamato da Ricciardi va aggiunto il tema dell’antifascismo. Tema dell'antifascismo da porre in risalto proprio in relazione alla questione dell'egemonia. In Italia occorre un "riformismo dell'alternativa" radicale nei contenuti e organizzato in una forma tale da porre all'ordine del giorno il punto sull'antifascismo prima di tutto come fatto culturale, di vero e proprio senso comune nella quotidianità dell'agire sociale.
Non è tempo di alternanza o di "bipolarismo temperato". Stanno cercando di affondare i valori e i principi della Repubblica nata dalla Resistenza.
1) La senatrice Mennuni (FdI): "Ricordare alle nostre figlie che la loro massima aspirazione deve essere quella di diventare mamme".
2) Fratelli d'Italia cambia la legge sulla caccia: fucili in mano a 16 anni, apertura della stagione in settembre e chiusura in febbraio.
Due titoli tratti dai giornali online che si presentano come emblematici di un pensiero che, alla fine, vuole i maschi in giro per i boschi con il fucile a tracolla in cerca di prede e le femmine a casa accanto al focolare a badare i pargoli. Fucili magari da usare se Cenerentola trasgredisce ai suoi obblighi atavici. Ricompare un'ideologia che si nutre di miti tratti direttamente da potenti richiami di un passato oscurantista che non pensavamo davvero potessero riproporsi in queste dimensioni.
È la destra, bellezza! Quella vera del superuomo, mica il populismo raffazzonato del Cavaliere. Così siamo chiamati a cercare nuove formule anche di organizzazione avendo chiaro come le strade nuove da percorrere si intersecano con quella antica della cultura intesa quale fattore fondamentale dell'agire politico che richiede, però, organizzazione non rinchiusa in recinti limitati.

venerdì 29 dicembre 2023

DEMOCRAZIE LIBERALI 
di Franco Astengo
 

Nell'evidente difficoltà delle democrazie liberali stiamo assistendo ad una cruciale fase di passaggio: durante il dominio della televisione come mezzo di comunicazione di massa, la "democrazia del pubblico" (teorizzata da Bernard Manin) si esplicava giudicando l'offerta politica in una grande arena collettiva. Oggi invece il grande stadio virtuale in cui si radunavano gli elettori per assistere al duello elettorale non c'è più. L'area pubblica si è frammentata in una miriade di "bolle mediatiche" sul web, assieme a sottosistemi e a interconnessioni che alla fine costringono i politici a rovesciare il rapporto tra offerta e domanda politica secondo le regole della pubblicità, reclamando la verifica di un ascelta non con la bontà dell'opzione assunta, ma la sua coerenza con la propaganda che l'ha preceduta. Così dall'opposizione si spara ad alzo zero e si fa presto a entrare e uscire dalla scena del governo: è stata l'adozione di questo principio il danno più grande (e per ora irrimediabile) compiuto dal M5S al riguardo del sistema politico italiano e l'origine della scelta (del tutto incauta) compiuta dall'elettorato nei riguardi di FdI, partito portato al governo senza un a reale ragione che non fosse quella di eliminazione per gli altri. FdI ha avuto pochi voti (soltanto sette milioni per conseguire la maggioranza relativa). Voti del resto, amplificati nel numero dei seggi parlamentari da una legge elettorale sicuramente anticostituzionale almeno secondo i principi enunciati dall'alta Corte nel momento in cui aveva accolto le istanze, promosse dall'avv, sen. Besostri, di rigetto della formula elettorale del 2005 e di quella escogitata e mai entrata in vigore dal governo Renzi nel 2015. Come abbiamo già fatto notare la crisi della democrazia liberale si sta traducendo in un rovesciamento nel rapporto tra domanda e offerta: è la domanda che guida il processo politico assumendo le richieste del pubblico come prezzo del consenso (era questo il motivo per il quale il M5S chiedeva di modificare l'articolo 67 della Costituzione sulla rappresentatività di mandato). In questo quadro può sorgere un nuovo "autoritarismo democratico" che punta a tenere ai margini la partecipazione popolare coltivando con cura sia il disinteresse crescente sia le risposte corporative allo scopo di restringere e semplificare l'arena di ricerca del consenso.
È risultata sicuramente colpevole la sottovalutazione (che ha coinvolto l'insieme della politologia italiana) circa la diminuzione costante nella partecipazione al voto a lungo scambiata per un allineamento dell'Italia alle "democrazie occidentali mature" e la dismissione da parte dei partiti sia dei riferimenti ideologici sia della funzione pedagogica.
Sulla funzione pedagogica si era costruito il radicamento sociale dei grandi partiti di massa, ma anche l'identità "forte" di quelli di più modesta dimensione elettorale: dimensione elettorale che non rappresentava l'unico parametro per giudicare la validità culturale e sociale della presenza di un partito come hanno dimostrato le storie del PRI, del Partito Radicale e delle forze collocate a sinistra del PCI (Pdup e Democrazia Proletaria).
Come rispondere a questo pericoloso stato di cose?
L’idea dovrebbe essere allora quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno a quel rapporto tra cultura e politica ormai ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello istituzionale. Si tratta di partire per una ricognizione di fondo con l’ambizione di ottenere il risultato di provocare una riflessione complessiva tale da superare le settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico”. Non possiamo permetterci di interpretare il senso delle cose soltanto seguendo l'interesse immediato di questo o quell'altro gruppo di potere recuperando la logica dell'uomo/donna che lo interpreta direttamente senza mediazioni facendo credere che lo si faccia nell'interesse di un "popolo" indistinto, o peggio nell'interesse della sua parte più privilegiata e più facilmente manipolabile dai mezzi correnti nella costruzione di una realtà presunta e illusoria. Serve legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie. Al contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo periodo è anche vero che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in volta, il loro significato concreto.
 

 

 

         

mercoledì 27 dicembre 2023

CHE FARE PER LA PACE
di Gian Giacomo Migone


 
Quando mi chiedono da quale parte sto, non ho difficoltà a rispondere. Come tantissimi, dalla parte delle vittime delle stragi in atto, a Gaza, in Cisgiordania, in Ucraina e altrove. Dei senza casa che vagolano per il mondo alla ricerca di un rifugio; a cui è persino vietato fuggire dalla guerra o di liberarsi dal fuoco incrociato che li tiene ostaggi, come a Gaza. Ma anche dalla parte di coloro che sono costretti ad andare a combattere guerre in cui non credono, da Mosca a Kiev, come i marines evocati da Stanley Kubrick e anche della schiera crescente di mercenari che rischiano la vita per un tozzo di pane.
E di chi è la colpa? Non soltanto di coloro che, dal sicuro degli alti comandi e dei centri di affari, decidono per tutti. La colpa è di tutti, anche nostra, perché per ora incapaci di creare un movimento come quello che nel 1968 contribuì in maniera decisiva ad arrestare la guerra in Vietnam. Eppure i sondaggi d’opinione dimostrano con cifre inequivocabili che la grande maggioranza degli italiani è per la pace e non per Crosetto e Leonardo, ma nemmeno per Elly Schlein che invoca la diplomazia, ma vota per nuovi stanziamenti di armi. Quella che in questo momento è un’utopia, l’arresto delle guerre in atto, può e deve trovare una direzione che si concretizza indicando un obiettivo, un metodo e un bersaglio comuni.



Con quale obiettivo? Quello di unirci ai movimenti che hanno già assunto dimensioni imponenti in molte capitali europee, negli Stati Uniti e persino, per gli ostaggi, in Israele, allo scopo di attivare quelle organizzazioni internazionali che hanno già dimostrato la volontà di farsi protagoniste di una pace duratura. L’invocazione del cessate il fuoco, in virtù dell’art. 99 del suo statuto, da parte del segretario generale dell’ONU, Guterres, e la risoluzione “Uniting for peace”, approvata a schiacciante maggioranza dalla sua Assemblea Generale (ma con il voto di astensione dell’Italia) ne dimostrano la volontà di costringere gli Stati Uniti e il Regno Unito a rinunciare ai loro veti in Consiglio di Sicurezza, unico soggetto in grado di gestire quella pace duratura in Medio Oriente tale da garantire rappresentanza ai popoli di Israele e Palestina, oggi in guerra. Anche l’Ucraina aspetta una soluzione di compromesso, oggi a portata di mano.
Una condizione essenziale perché ciò avvenga è la crescita di un movimento per metodo ad un tempo pacifico e militante, come dimostrato dall’esempio storico di Gandhi, emulato da Nelson Mandela in Sud Africa. Bersagli di tale militanza saranno istituzioni e persone che si oppongono alla pace. Come, ad esempio, il Parlamento e il Governo dell’Italia. E, perché no, le ambasciate degli Stati Uniti e del Regno Unito, a Roma. I mezzi dovranno sempre essere rigorosamente coerenti col fine pacifico: non soltanto manifestazioni, ma sit in, boicottaggi, presenze sgradite, sul modello di Jewish Voice for Peace, Code Pink, If not now e di altre organizzazioni analoghe, attive negli Stati Uniti. Siamo ancora piccoli, ma cresceremo, con la dovuta urgenza imposta dalle altrui sofferenze, sotto gli occhi di tutte e di tutti.

POETI E GUERRA
di Cataldo Russo

 
Non ci sono più mangiatoie a Gaza
 
Non ci sono stalle
con mangiatoie né
buoi e asinelli
a generare calore
I bambini di Gaza
nascono e muoiono sotto
le macerie delle bombe.
muoiono anche le donne,
i giovani e gli anziani
nell’euforia di una mattanza
che non avrà fine.
 
A Gaza non si sa da
dove arriverà la morte:
dal cielo, dai monti o se 
si espande e si amplifica
da terra dove i panzer
calpestano gli urli
degli agonizzanti.
A Gaza la morte impera
Sovrana.
 
Da millenni celebriamo il bimbo
nato in una grotta
e da millenni massacriamo
bimbi con i nostri strumenti
di morte, con le nostre 
bombe intelligenti,
i nostri gas mortiferi.
 
Da millenni massacriamo
bimbi che non hanno
una grotta e una mangiatoia
dove nascere. 
 
A Gaza non giungeranno
Magi carichi di doni
per consolare il Bambino
sopravvissuto all’ira
di Erode.
A Gaza giungeranno gli avvoltoi
per togliere ai palestinesi
gli ultimi brandelli di terra
che disperatamente cercano
di difendere.

CONCERTO AL MUNICIPIO 5 MILANO
Chiesa Rossa con il Gruppo Cameristico Allegro.





 

CONCERTO AL MUNICIPIO 5 MILANO
Biblioteca fra’ Cristoforo con il Gruppo Cameristico Allegro.




domenica 24 dicembre 2023

TEMPO DI NATALE
di Zaccaria Gallo


 

Uno scritto molto umano e toccante, questo di Zaccaria Gallo sul Natale di guerra, ma non dimentichiamo che i responsabili delle guerre hanno nomi e cognomi e gli apparati di morte si chiamano Stati, Governi, Nazionalismi, Militarismo, Mercanti d’armi, Gruppi Dirigenti, Partiti, Diplomazie, Stampa di Regime ecc. ecc.
 
Sulla nascita di Cristo si affaccia l’incubo di Erode, e il Bambino, per non finire sotto la spada che elimina i neonati di Betlemme, si allinea coi suoi genitori nella fila interminabile dei profughi. Un bambino, fracasso di ruote, cigolio di carri, stelle filanti nel cielo, deflagranti scoppi di bombe, cavalieri mimeticocalzanti, scintillare di lance, feriti in quantità, cumuli di morti, cadaveri senza fine, s’inciampa nei cadaveri. E le parole di Curzio Malaparte fin dal Natale del 1954: «Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia. Perché nessuno ha il coraggio di dirsi che il secolo, che il mondo, non è mai stato così poco cristiano come in questi anni? Perché nessuno di noi osa riconoscere che la magniloquenza degli uomini politici, la grande parata dei sentimenti evangelici, le processioni dei falsi devoti servono soltanto a nascondere questa terribile verità: che gli uomini non sono più cristiani, che Cristo è morto nell’anima dei suoi figli, che l’ipocrisia è discesa dalla politica fin nella vita sociale, familiare, e individuale? Non ci importa nulla di chi soffre; non facciamo nulla per impedire la sofferenza, la miseria, il male, il delitto, la violenza, la strage...». Quanti di noi, nel nostro piccolo, s’avvieranno verso la chiesa, spandendo baci e auguri di bene, di amore e di pace ma, nel fondo del cuore, sotto il mantello delle buone forme, delle belle parole e dei pii sentimenti conserveranno ben carica l'arma dell'egoismo, dell'astio, della cattiveria contro qualche nostro fratello? Si intitolano in “Natale 1987” (“Parole dipinte” - Libreria Leoniana 1989) i versi di un poeta un po' appartato, ma dotato di una intensa spiritualità; Giovanni Angelo Abbo (1911-1994): “ Travestiti da pastori / o scorta volontaria dei Re Magi / andiamo a Betlemme cianciando d'amore e di pace, / comunque nascondendo / sotto il mantello di ogni evenienza / un kalashnikov ben oliato”. 


Il Preseppe degli Stati per i bambini

Drammaticamente veri per la Betlemme geografica questi versi, ma anche così veri per tutte le altre Betlemme, da Israele all'Ucraina da Gaza al Donbass. Scene di persone che nel mondo d'Occidente, in Europa, in Italia, avanzano, proclamando parole di pace ma che, sotto il mantello, stringono vigorosamente il fucile mitragliatore da consegnare ai soldati per fare la guerra e dare la morte. Ѐ Natale ma c'è sempre la guerra. Non è certo questo il Natale di Cristo. Un altro Natale? Sono le due del mattino, e la maggior parte degli uomini dorme nelle buche. Gli scontri di queste settimane hanno fatto tanti morti che entrambe le parti si sono trincerate in attesa dei rincalzi. Tutti hanno deciso di rimanere nelle trincee ad aspettare. Una attesa tremenda! Ogni momento, un proiettile di obice può cadere addosso, ammazzando o mutilando, e di giorno non si osa alzare la testa fuori dalla terra, per paura del cecchino. E poi la pioggia: cade quasi ogni giorno e con la pioggia il fango, profondo. S’appiccica e sporca tutto, risucchia gli scarponi. I soldati tedeschi di fronte a noi soldati inglesi. 



La trincea che sta di fronte è ad appena cinquanta metri. Nel mezzo la terra di nessuno, orlata da entrambe le parti di filo spinato. All’improvviso, quando scende la sera, non si sente più sparare. Sono mesi che non c’è questo tipo di silenzio totale. Di colpo, un soldato, che ha con cautela alzato la testa, scuote quello vicino a lui: “Vieni  ̶  gli grida  ̶  vieni a vedere! Vieni a vedere cosa fanno i tedeschi!” L’altro alza la testa sopra i sacchetti di sabbia. Il fucile gli cade dalle mani e rimane a bocca aperta. Non crede ai suoi occhi. Grappoli di piccole luci brillano lungo tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d’occhio. “Ma che cos’è?” chiede al compagno vicino, anche lui in preda allo stupore. “Alberi di Natale!” mormora. “Ma hai dimenticato? stasera è la vigilia di Natale”, risponde il secondo. Ѐ vero. I tedeschi hanno disposto degli alberi di Natale di fronte alla loro trincea, illuminati con candele e lumini. E poi, a un certo punto, si sentono le loro voci che si levano in una canzone. Cantano! “Stille nacht, heilige nacht”. Molti soldati inglesi lo conoscono quel canto, si passano la voce, qualcuno di loro inizia a sussurrare: “Silent night, holy night. Subito dopo, vicino alle buche, si sentono delle voci dall’accento inconfondibile. Molti tendono le orecchie, rimangono in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la linea un saluto mai sentito in questa guerra: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!” Non ho mai sentito un canto più bello e più significativo in quella notte chiara e silenziosa”, dirà uno dei soldati inglesi in una lettera “quando il canto è finito gli uomini nella nostra trincea hanno applaudito. Sì, soldati inglesi che applaudivano i tedeschi! Poi uno di noi ha cominciato a cantare e ci siamo tutti uniti a lui: The First Nowell the Angel did say. Per la verità non eravamo bravi a cantare come i tedeschi con le loro belle armonie. Hanno risposto con applausi entusiasti e poi ne hanno attaccato un'altra Tannenbaum o Tannenbaum a cui noi abbiamo risposto O Came All Ye Faithfull e, questa volta, si sono uniti al nostro coro, cantando la stessa canzone ma in latino: Adeste fideles. Inglesi e tedeschi che intonano canti di Natale in coro attraverso la terra di nessuno! Non potevo pensare niente di più stupefacente, ma quello che è avvenuto dopo lo è stato di più. “Inglesi, uscite!” li abbiamo sentiti gridare “voi non spara, noi non spara!” Ѐ il 1914, primo anno della prima guerra mondiale. Belgio, trincee della Fiandre, Saliente di Ypres, settore del fronte occidentale. 



La guerra mondiale scoppiata nella precedente estate sta inchiodando i soldati nelle trincee. I combattimenti sono durissimi e costano cifre impronunciabili in termini di morti e feriti. Inglesi, francesi e belgi sfidano le mitragliatrici tedesche. All'ordine del giorno è la lotta corpo a corpo, masse di uomini lanciate contro fili spinati nemici per conquistare pochissimi metri di terreno che, al successivo assalto, sono spesso nuovamente perduti. Poi arriva la notte di Natale. Tutto questo odio, tutto questo spararsi a vicenda, che è andato crescendo dall’inizio della guerra, si è spento e si è fermato a causa della magia del Natale. È una grande speranza per un futuro di pace, se due grandi nazioni che si odiano come i nemici raramente si sono odiati, giurandosi eterno odio e vendetta, affidando la loro vendetta alla musica nel giorno di Natale, per tutto quello che questa parola significa, possono abbassare le mani, scambiarsi tabacco, ed augurarsi felicità a vicenda”. 


Che colpa ne ha?

Nei mesi e negli anni che seguirono la tregua di Natale del 1914, molti dei protagonisti di questi fatti straordinari sarebbero stati uccisi, insieme a centinaia di migliaia dei loro compagni, nel più sanguinoso conflitto fino ad allora registrato dalla storia. Forse, la tregua di Natale fu possibile solo perché la perdita di umanità non aveva ancora fatto presa nelle loro anime: la memoria del Natale di Cristo aveva aperto uno spazio nei loro cuori. Perché proprio quel Cristo, nato in quelle trincee, aveva indicato la scelta radicale dell’amore. Quello per il nemico, così da trasformare quasi l’hostis in hospes e da introdurre il principio della non-violenza: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Matteo 5,43-44). Buon Natale ucraini, Buon Natale russi, Buon Natale israeliani, Buon Natale palestinesi.                                                                          

sabato 23 dicembre 2023

LUNGO LA LINEA BLU
di Angelo Gaccione

La villetta primi Novecento come era

Il comportamento del Comune di Milano (e quello della “Sottoincompetenza ai Beni Culturali”) è colpevole e schizoide nello stesso tempo. Con una mano lascia che si possano abbattere splendidi edifici primi-Novecento facendoli sparire dalla nostra vista e dalla nostra memoria, come è avvenuto a Piazza Trento a due passi da Porta Romana e come sta avvenendo col genocidio urbanistico delle villette in stile neo-medievale “tanto di moda nel romantico periodo che va dalla metà dell’Ottocento ai primi due decenni del Novecento, spesso decorato in stile liberty” come scrive Roberto Arsuffi su “La voce delle città” di Urbanfile, nella zona del quartiere dei giornalisti alla Maggiolina. Parlo di genocidio urbanistico a ragion veduta e dovremmo chiedere l’arresto dei responsabili e poi un processo come quello intentato ai nazisti a Norimberga.


La villetta come era

Quella posta all’angolo tra Via Tullo Morgagni (civico 19) e via Arbe non esiste più perché in questa città, chi amministra o possiede denaro, può fare e disfare a piacimento senza vincoli e senza scrupoli. Avevo giusto magnificato le belle villette del “Villaggio Pirelli” nel capitoletto “Bicocca” del mio nuovo libro: La mia Milano (Editrice Meravigli 2023), e non mi aspettavo questo ennesimo colpo di mano. Purtroppo sono decenni che fra amministrazioni di destra e di sinistra (lo so che a leggere questa definizione vi viene da ridere, ma a me no) non esiste differenza alcuna sul piano della pratica concreta, dei famosi fatti

 

La villetta come era

Con l’altra mano, invece, il Comune sta facendo un lavoro ammirevole risistemando parti di città e restituendo ai cittadini piazze, viali, marciapiedi, sottraendoli al dominio ossessivo del traffico. Sono andato a verificare di persona il riassetto lungo la linea Quattro della Metropolitana, la Blu, quella che da San Babila arriva all’aeroporto di Linate. Da piazza Risorgimento (ora anche la statua del poverello di Assisi ha trovato la sua centralità) ho proseguito a piedi fino a viale Argonne da dove il cavalcavia Buccari vi conduce al quartiere dell’Ortica e da cui si vedono i treni della Stazione di Lambrate. 


La villetta massacrata

Tutto il percorso: corso Indipendenza, piazzale Dateo, corso Plebisciti, piazzale Susa, fino all’Acquabella, è diventato un magnifico rettifilo di piste ciclabili attrezzato di verde, di giochi per bambini e per adulti. Ci sono campetti per il calcetto, per le bocce, il ping pong, la palla canestro; spazi per il gioco delle carte, le altalene, e persino per saltare e fare capriole su una molleggiante gigantesca rete. Ai lati, il percorso pedonale è allietato da piante e aiuole intervallato da aree protette per fare ginnastica; da oasi per mamme, papà e bambini, spazi cintati riservati ai cani, da panchine per poter leggere e riposare in tranquillità, da sedute per il pic nic, e così via. 


La villetta massacrata

La cosa magnifica, in questo raccordo fra una stazione e l’altra del Metrò, è che le piazze sono state allargate e i marciapiedi hanno sottratto spazio alle carreggiate in modo che alle auto e al traffico è stato concesso solo quanto gliene occorre. I veri fruitori sono diventati gli alberi, la vegetazione, le persone. Sono stati loro ad essere messi al centro di un pezzo di città vivibile, com’è giusto che sia. Anche attraversare è divenuto più semplice e più sicuro per i pedoni, e il grazioso monumento a Pinocchio attorniato dal gatto e dalla volpe con la fontana ai suoi piedi, fa tutto un altro effetto. 


La villetta massacrata

Sosta doverosa per me in piazzale Dateo per una visita alla libreria Centofiori; davanti al palazzo di Corso Plebisciti al numero 9 dove abitò fino alla morte lo scrittore Vincenzo Consolo e dove andavo a fargli visita; e sosta nei pressi dell’edificio di viale Argonne dove vive tuttora il filosofo Carlo Sini. Qui il mio pensiero è corso alla sua salute e alla mia.


 
Nella gigantesca Basilica dei martiri Nereo e Achilleo non vi entravo da anni: da quando la casa editrice Gitti Europa con cui collaboravo, e che aveva la sua sede in una traversa nei pressi, ha chiuso la sua attività. Era stato un periodo di fatiche quello, ma anche di esaltante creatività letteraria e culturale. Nonostante la vastità e i mattoni in cotto dei suoi muri, faceva caldo in questa basilica. 



La cappella laterale dedicata alla Madonna di Fatima (gliel’hanno dedicata perché le bombe della Seconda guerra mondiale su Milano l’avevano miracolosamente risparmiata) era aperta, e così ho potuto ammirare gli affreschi moderni del pittore Vanni Rossi. Di lui leggevo su “Artecultura” al tempo dell’Università. Li ha realizzati fra il 1946 e il 1950 e coprono sia alcune pareti frontali che l’intero soffitto. Vi consiglio di andarli a vedere, la linea Blu della Metropolitana vi ci porta in un soffio.


Gli Affreschi di Vanni Rossi










 

NESSUNA PACE


Il Presepe degli Stati per i bambini...

Le cifre per le spese militari di America e Russia segnalati da Alessandro Pascolini fanno rabbrividire. Non sono argomenti nuovi per noi che consideriamo criminali tutti gli Stati armati, nessuno escluso, anche se i cittadini non se ne curano. In questo clima gli auguri natalizi sembrano una beffa crudele, ma il verbo sperare resta ancora quello più universalmente usato. A dopo le feste, dunque. [Odissea]
 
Carissimi, lo scorso anno, di questa stagione, si parlava di una possibile tregua natalizia nella guerra in Ucraina. Quest’anno nessuna voce si è levata in proposito e l’ONU continua a rimandare la terza risoluzione sulla situazione a Gaza (dopo due fallimenti), mentre in questi giorni 250 mila profughi stanno lasciando la città sudanese di Wad Madani, finora considerata un rifugio sicuro, sotto attacco da parte delle forze paramilitari SRF, nella divampante guerra civile sudanese. Il congresso americano ha approvato ieri nel bilancio 2024 spese per la difesa per 886 miliardi di dollari e la Russia dedicherà nel 2024 per la difesa il 29% del bilancio, 10.840 miliardi di rubli. Diventa sempre più difficile continuare a sperare la pace. Un augurio di salute e di serenità. [Alessandro]

 

MI(NI)STERO DELL’INTERNO
di Gerolamo Dell’Olio


Girolamo sotto Palazzo Pegaso
 
Diario civile
 
Scusi, ma lei non era quello che tutte le sere, prima dell’alba, metteva in rete il raccontino della giornata? Oggi siamo a venerdì, non abbiamo visto ancora nulla! Eppure aveva annunciato per martedì la bellezza di due incontri-per-strada, davanti alla Prefettura e alla Regione, e persino un appuntamento importante col Comando dei Vigili del Fuoco di Firenze…!’
‘Appunto.’
‘Appunto cosa?’
‘Se ha pazienza, le spiego’.
 
Ecco, ho immaginato di partire così, questa volta. È vero, sono in ritardo, ma c’è un buon motivo. E ha a che fare proprio con quell’appuntamento del mattino di martedì coi Vigili del Fuoco. Nessuna delusione, anzi!  Un’accoglienza aperta, un’ora cordialissima di colloquio. Con me, anche un altro ‘idrante’, Marco, che poi è venuto a farmi compagnia il pomeriggio davanti alla Regione. E allora, perché non riferire subito i risultati di questo incontro? In ballo ci sono scenari rilevanti per la vita della nostra città… e fra le finalità della nostra associazione c’è proprio quella dell’informazione ambientale, e dell’informazione tout court. Tutto vero. Mi spiego. Quando ci càpita (succede raramente, e capite bene perché) di vedere accolta una richiesta di incontro con donne o uomini delle istituzioni, ecco, lì ci sembra particolarmente opportuno comportarci col massimo della correttezza, ed evitare anche il più piccolo errore di comunicazione. Per questo, prima di pubblicare, chiediamo sempre ai nostri interlocutori ‘ufficiali’ di leggere, correggere, integrare. Anche così ci siamo guadagnati una buona fama di fonte seria, attendibile. Ed è per questo motivo, credo, che tante ‘istituzioni’ assai poco istituzionali ci evitano come il diavolo l’acqua santa. Sanno che non facciamo ‘politica’, per come loro la praticano. Non corriamo per questa o quella cordata. Non partecipiamo al teatrino delle maggioranze e delle opposizioni. Quindi… siamo particolarmente pericolosi. Da evitare!
Ed ecco allora che un incontro come quello avuto martedì mattina al Comando provinciale dei Vigili del Fuoco meritava - merita - il massimo dei riguardi. E siccome, complici le festività di questi giorni, la bozza di comunicato che abbiamo proposto non è ancora tornata indietro, pazienza, la teniamo qualche giorno in naftalina. Ma intanto due parole sui ‘dialoghi’ sotto i palazzi del Prefetto e del Consiglio regionale provo a scriverle.


 
Melma Tav sotto la Prefettura

Evocare impunemente e ripetutamente Kafka sotto Palazzo Medici Riccardi si può fare! Il ‘sistema’ ha i succhi gastrici per digerirlo. Non è una novità.
Però, c’è un però, credo. Alla lunga, piano piano, cadono i veli. E non è un caso, credo, se sempre più frequenti sono gli attestati di solidarietà, di comprensione, di condivisione. Anche perché qui davvero assurdo e paradosso si sposano. Succede che un’emanazione autorevole e indispensabile del Ministero dell’Interno interpella il massimo esponente locale di quel Ministro, il Prefetto, lo informa, lo allerta. E quel Prefetto lo ignora. Ministero o… Mistero dell’Interno?
‘Mistero!’, conferma sarcastica e risentita Anna. In bici, andava verso San Marco. Fermi tutti: fa inversione e viene a ridosso della mia ribalta in pietraforte. Ne ha anche di nuove. Prima che quella simpatica talpona passasse sotto il Ponte al Pino, a lei risulta che ci siano già altri danni. Ma nessuno le dà retta. ‘Scrivici, documentacelo’, le dico. ‘I giornali no, quelli fanno altri servizi: ma noi possiamo darti voce, se vuoi. Goccia dopo goccia… come ti chiami?’.
Non mi lesina nome e cognome. Mi presento anch’io: ‘Girolamo’.
‘Eh, lo so chi tu sei. Eh, se ti conosco! Tu ci sei venuto a noia…!’, con garbo tipicamente fiorentino. E mi racconta altri vecchi episodi in cui ci siamo incrociati, quando era segretaria di uno dei passati presidenti del Consiglio comunale.
 
‘Ricordiamocene a maggio, quando si vota!’, esclama un’altra passante. Non ha bisogno di altre notizie. Semmai di un calmante.
 
‘Son settant’anni che combatto. E ‘un serv’ a nulla!’, le fa eco al contrario questo anziano disilluso lavoratore dei trasporti.
 
E quante scolaresche francesi, anche oggi, a giro per Firenze.
Ritento l’accoppiata ‘Vive la France / À bas Macron’, che ieri ha avuto successo. Funziona anche oggi. Con un’arguta chiosa della prof che li accompagna: ‘Et Meloni?’. Scontata la replica: ‘Bien sûr, Meloni aussi!’


Bandiera della pace sgarrupata
su Palazzo Pegaso
 
Ultimo, si sofferma a leggere questo contegnoso signore, incuriosito. Gli porgo la lettera dei Vigili del Fuoco: ‘È tutto alla luce del sole. Se l’Arno ridà di fuori, magari si farà come a Gaza. Prendiamo i tunnel TAV e li inondiamo coi treni dentro. Stile Israele con Hamas’.
Guarda incupito il testo. Gli ribadisco l’indifferenza del Palazzo che ci sovrasta: ‘Il prefetto non vede, non sente, non parla’.
‘Ma salta!’, fa lui. E poi: ‘C’è un recapito di riferimento?’
‘Certamente: qui sotto, tutti i contatti.’
Stai a vedere che provoca una svolta…
 
Alla mimica delle tre scimmiette, nel pomeriggio, due pepate nonnette aggiungono una quarta mossa che ni fa schiantare. Il vecchio amico Giorgio ciondola da queste parti in attesa di un messaggio dalla dolce metà per ricongiungersi con lei e tornare a casa. Così, mi ha preso in prestito per un quarto d’ora: giù a rovesciarmi addosso tutta l’uggia che prova per il ‘nostro’ mondo del ‘dissenso’, incagliatosi in beghe, protagonismi e circoli viziosi. Come dargli torto? Ma poi, a ridare brio alla conversazione, arrivano queste sue due vecchie amiche. Mi presenta a loro con graziose parole di encomio, e mi lascia il compito di concludere. Allora, indicando il bugnato di Michelozzo là di fronte a noi, e l’Autorità che lo abita, ripropongo quel gesto alternatamente davanti agli occhi, agli orecchi e alla bocca. Ecco, tutto mi sarei aspettato da questa veneranda coppia meno che una delle due, senza pensarci sopra, li ripete uno dopo l’altro e ci aggiunge il carico, il quarto gesto: a sopracciglia inarcate e ghigno sardonico, la mano si infila lesta in tasca. Lungi da noi riferirlo al caso di specie, s’intende! Giusto un arricchimento semantico buono per altri casi…


Marco Mordini
Piombino non si dimentica
 
Intanto anche Marco si è trasformato in uomo-sandwich e perora a pochi metri da me, davanti all’altro ingresso del Consiglio, al civico 4, la causa mai tramontata di Piombino-rigassificata-a-forza. Con buoni risultati anche lui, mi conforta.
Due ultimi incontri mi piace menzionare, che mi ripiombano a venti-trent’anni addietro sull’incresciosa storia della TAV, quando si tentava di difendere con le unghie e con i denti le acque e il paesaggio del Mugello. E per lo meno hanno fatto meno danni di quelli che potevano regalarci.
 
A braccetto con la sua signora, come in un’elegante promenade impressionista fine Ottocento, mi riconosce e mi sorride con simpatica ironia Piero, esponente di primo piano dell’ARPAT ai tempi di quei guai.
Lo presento a Marco, che della TAV sta apprezzando tutte le gesta più recenti in salsa fiorentina. ‘Una colonna di quella battaglia. Lui, uno di quelli dell’ARPAT che lavorava sul serio!’
Si schermisce: ‘Tutto quello che mi avete richiesto, l’ho dato,’
‘E quante cose scomode ha scritto!’, aggiungo. ‘Ma venivano prese in considerazione?’
Non posso mancare di enfatizzargli quest’ultima mascalzonata denunciata dai Vigili del Fuoco. E di auspicarne gli esiti: ‘Vede? Questa è la prova del crimine.  Quindi, presto li andremo a trovare a Sollicciano. Perché finiranno tutti là dentro…’
Si accomiata con un dolce sorriso appena un po’ scettico.


 
L’altro, si chiama Giorgio anche lui. Militavamo niente meno che nelle due formazioni super-antagoniste, l’un contro l’altro armato. Lui, nella TAV Spa. Io, già allora, in Idra, che per qualche anno ancora si chiamò ‘coordinamento dei comitati e delle associazioni contro i progetti di Alta Velocità’ (prima di scoprire che quei comitati erano piccoli egoismi locali e che certe associazioni… lasciamo perdere).
Non ci vedevamo da lustri. Decenni. È stato gradevole scoprire in lui un moto di simpatia e di amicizia a dispetto di tutti i vecchi virulenti conflitti.
‘Il compagno Giorgio!’, lo omaggio scherzoso. ‘Guarda qui! La melma TAV! La TAV fa ancora miracoli: fa sbucare l’acqua (e il fango) da sottoterra!’
E poi, una carrellata sulle conoscenze comuni, dove sono, cosa sono a fare… E poi la sua passione per la montagna. Fino a scoprire che siamo nati lo stesso anno e lo sesso mese, a soli 18 giorni di distanza.
‘Son contento che ti vedo sempre in gamba’, mi fa prima di salutare.
‘Anch’io ti vedo bene’.
Suonano le campane del Duomo. Quelle delle 5.
Non me lo sarei aspettato. L’ultimo suo pensiero è per una storia che sta tanto a cuore a tutti coloro che lo hanno conosciuto, il coraggioso minatore calabrese insorto contro la mortificazione dei diritti della sua gente, i ‘dannati della Tav’. Abbastanza coraggioso e dissidente dal suo stesso sindacato da essersi meritato l’ostracismo e l’esilio. Quell’esilio in cui ha trovato anche la fine dei suoi giorni, sotto un masso nella galleria in costruzione del San Gottardo, in Svizzera, tredici anni fa.
‘Le campane di Natale!’, mi suggerisce Giorgio. ‘Facciamo un pensiero… sai? Io ero diventato molto amico di quell’operaio che protestava. Mi aveva invitato tante volte a andare giù da lui nella Piccola Sila. Ricordiamolo insieme!’
Sì. È bello, e fa bene, ricordare un uomo così intero: Pietro Mirabelli!