OFFICINA “STELLA ROSSA” E PALAZZINA LAF di
Franco Astengo
Nell'assistere
al film Palazzina Laf di Michele Riondino il pensiero corre agli anni '50:
alle Officine "Stella Rossa", alla lunga fase di repressione operaia
da parte del governo centrista: una repressione costellata dal sangue provocato
dalla polizia intervenendo sugli operai in sciopero e sui contadini che occupavano
le terre lasciate incolte dai latifondisti. Palazzina Laf è ambientato
nel 1997 nello stabilimento ILVA di Taranto in una storia di sfruttamento,
degrado, guerra tra poveri in una fase tumultuosa di dismissioni del patrimonio
industriale pubblico, di privatizzazioni che nel campo strategico della
siderurgia fu contrassegnato dal disgraziato avvento di Riva. Esiste una
differenza storica tra il tipo di repressione mostrata nel film e quella che fu
portata avanti negli anni'50: nella fabbrica illustrata dal lavoro di Riondino
il confino in un "reparto-ghetto" è associato una forma sottile di
violenza privata (con il sindacato che annaspa), concluso con una sentenza che
riconosceva, per la prima volta in Italia, il reato di "mobbing". La
storia delle repressioni padronali - governative - poliziesche di cinquant'anni
prima fu una storia tutta politica, di isolamento degli attivisti, di
licenziamenti brutali destinati a spezzare concentrazioni giudicate pericolose,
di invenzioni di "sindacati gialli" e di spionaggio a livello
industriale come dimostrò un famoso caso poi denunciato alla Fiat. La
Fiat può essere considerata l'epicentro di queste tristi vicende(cfr. Pugno e Garavini Gli anni duri della
FIAT: la storia dell’OSR, l’Officina
Sussidiaria Ricambi che inizia il 15 dicembre 1952, a Torino, quando la Fiat di
Valletta mandò l’elettricista Pietro Baldini a sistemare un piccolo
stabilimento, in Via Peschiera, per preparare l’apertura di una nuova officina. L’apertura della nuova sezione venne spiegata con
generici motivi tecnici, ma presto fu chiaro che la direzione non aveva alcun
effettivo interesse per l’attrezzatura e la produttività del nuovo
stabilimento: la Fiat di Valletta vi destinò 130 lavoratori per motivi politici
e sindacali. Erano quasi tutti comunisti, più qualche socialista. Nel gergo
aziendale erano stati catalogati come “facinorosi” ed erano tutti attivisti
dell’unico sindacato la FIOM che si opponesse allo strapotere della azienda
torinese.
La Fiat, nella lotta contro l’organizzazione
operaia, cercava di decapitare il movimento di classe nei suoi stabilimenti
concentrando in un vero e proprio ghetto gli attivisti più impegnati, e si
preparava ad eliminare tutti coloro che non si fossero piegati alle
discriminazioni ed ai soprusi, additandoli ai benpensanti come vagabondi per il
minor rendimento dovuto alle pietose condizioni del macchinario. La FIAT intesa come apripista di un quadro complessivo che ha
segnato l'intera ripresa dell'industria italiana: una ripresa pagata
completamente dalla classe operaia. Erano gli anni più bui della reazione, ma quelli
dell’O.S.R (ribattezzata dagli operai Officina Stella Rossa) non mollarono,
smascherando le manovre del monopolio torinese davanti all’opinione pubblica
italiana, tanto che la commissione parlamentare di inchiesta nelle fabbriche
visitò l’O.S.R. e parlò con gli operai per una intera giornata. Fallì anche il
tentativo di disgregare la compattezza dei lavoratori con l’immissione di una
ventina di elementi provocatori, e quando nel dicembre 1957 gli operai furono
tutti licenziati e l’officina venne chiusa, perfino il consiglio comunale di
Torino, che pure era di maggioranza centrista, condannò all’unanimità il
comportamento della Fiat: la tenace resistenza degli operai della O.S.R. aveva
reso impossibile a chiunque chiudere gli occhi sul carattere di discriminazione
dei licenziamenti. Anche
a Savona accaddero episodi analoghi sia all'ILVA come alla Scarpa e Magnano: le
due fabbriche più importanti di una città industriale dove all'epoca
(comprendendo le officine di Vado Ligure) gli operai di fabbrica erano circa
10.000.
Savona fu colpita in pieno da una forte recessione occupazionale
concentrata negli stabilimenti ILVA, messi in crisi dalla scelta di costruire
il grande centro siderurgico “Oscar Sinigaglia” a Genova Cornigliano: scelta
avvenuta proprio nel quadro di quella ricollocazione complessiva
dell’intervento pubblico in economia cui si accennava e che rappresentò il
punto di forza dell’interventismo democristiano nella gestione dell’economia
della ricostruzione. Savona si trovò al centro di questo tipo di episodi. A
Savona tutta la Città si unì in un vero e proprio afflato corale per difendere
il proprio patrimonio industriale. L’Amministrazione Comunale di sinistra si
schierò totalmente dalla parte degli operai (l’ILVA risultò occupata per molti
mesi nell’inverno 1951) formando con il sindacato un blocco fortemente coeso e
puntando anche su di una certa qualità di proposta e su di una grande capacità
di attivizzazione sociale, tale da coinvolgere larga parte della Città nella
difesa dei posti di lavoro: molti ricorderanno come nel corso dei grandi
scioperi che contraddistinsero quel periodo risultava spontanea l’adesione di
commercianti e artigiani. Alla fine, siamo nella prima metà degli anni’50,
nell’ambito di un rafforzamento dell’intervento dello Stato in alcuni settori
strategici dell’industria con l’allargamento del sistema di Partecipazioni
Statali (nel 1956 fu istituito un apposito Ministero) strettamente collegato
alla crescita di potere della corrente fanfaniana della DC, Savona uscì
sicuramente ridimensionata nella sua presenza industriale ma ancora in possesso
dei suoi settori più significativi. Il declino vero e proprio si avviò nel
decennio successivo soprattutto accumulando ritardo sul piano del know-how e
avviandosi il fenomeno determinante della “fuga dei cervelli”, soprattutto in
esito della vertenza dell'elettromeccanica nel 1960 con il trasferimento a
Bergamo dei più importanti quadri tecnici della Scarpa e Magnano trasformata in
Magrini-Galileo. A
partire dai primi anni Cinquanta e per tutto il decennio fino al 68-69, che
spegne l'incantesimo la grande fabbrica è caserma o prigione nascondendo i
luccichii del boom. Lo spirito geometrico della grande fabbrica si alimenta di
ordine e di regolarità e si serve della repressione; il tempo rigorosamente
calcolato non ammette vuoti, nello sfruttamento intensivo e scientifico e per
chi si ribella ci sono esilio e confino. La grande ristrutturazione è
affrontata mandando a casa le lettere di licenziamento consegnate a mezzanotte
dalle guardie della sicurezza per evitare l'immediata reazione degli operai. Il
film di Riondino pur nella diversità dei fatti ci aiuta a non dimenticare.