Pagine

mercoledì 31 gennaio 2024

RIMEMBRANZE
di Marco Vitale


 
Caro Angelo,
 
Ti ringrazio per il profondo articolo di Patrizia Cecconi. Non conosco la Cecconi ma il Suo scritto rigoroso ed allo stesso tempo appassionato è da meditare a fondo. A me ha dato molti stimoli di riflessione ed ha evocato anche ricordi personali che, senza nessuna pretesa, vorrei condividere con Te che so tanto impegnato su questi temi.
 
In primo luogo, ho pensato su quale sia oggi il nostro livello di civiltà. Io appartengo a generazioni che, avendo visto da vicino e ricordando bene le immani barbarie e le dolorosissime e crudeli vicende della Seconda guerra mondiale, ha non solo creduto veramente che l’umanità, attraverso queste tragedie che vanno dai crimini nazi-fascisti alle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, fosse entrata in una fase storica nella quale si potesse veramente parlare di superamento concettuale e morale della guerra come strumento di soluzione di controversie tra popoli, qualunque fosse la natura di queste controversie. Grandi maestri di pensiero e di morale come Bonhoeffer, Guardini, Gandhi, Sturzo, Capitini, il maestro italiano della non violenza, ci confortavano e guidavano in questa che era più di una speranza. Era una convinzione che riteneva tale obiettivo, pur attraverso lunghi e tormentati processi, seriamente possibile. Sul piano delle realizzazioni l’avanzamento, nonostante tante difficoltà, del processo di unificazione europea, alcuni parziali successi dell’ONU, gli accordi di disarmo nucleare, il superamento di crisi drammatiche come quella dei missili russi a Cuba, l’apparente pacificazione tra America e Russia, alimentavano sia la nostra convinzione che la nostra speranza. Saranno solo le guerre balcaniche e soprattutto quella Serbia-Kossovo a riportare, con brutalità, la guerra in Europa riempiendola anche di spunti schiettamente nazisti. Fu un brusco e doloroso risveglio non solo dal grande sogno dell’eliminazione della guerra come strumento di risoluzione delle controversie, ma anche da obiettivi minori rappresentati da quell’insieme di norme e principi di umana civiltà che vanno osservati anche in guerra (e non per niente si parla di crimini di guerra).


Bonhoeffer

Ma non solo la guerra era ritornata in Europa; essa era ritornata con il suo volto e le sue pratiche più crudeli e primitive e ciò sollevava, in molti, un diffuso e ottuso compiacimento. Da allora la situazione è peggiorata e sta peggiorando giorno dopo giorno sia nelle pratiche belliche che nel compiacimento di molti, di troppi. Da qualche tempo sto rileggendo l’Iliade e la cosa che più mi colpisce di questa grande guerra dell’antichità, tanto grande che ancora ne parliamo, è che, pur svolgendosi tra popoli guerrieri, la guerra non è amata ed è in tutti diffusa la convinzione che la guerra può, alla fine, portare solo dolori e sofferenze. Basta pensare ai tentativi di ricercare soluzioni alternative alla guerra, come i tentativi di affidare l’esito delle stesse ai duelli individuali – Pericle-Menelao, Ettore-Aiace o all’offerta troiana di risarcire i Greci per il danno subito ad opera di Paride. E penso alla grande umanità e correttezza che è diffusa nel poema, penso al sempre presente rispetto per i morti, alle tregue per consentire la sepoltura dei caduti. Basta pensare ai canti VI e VII con il delicatissimo saluto di Ettore alla moglie ed al figlio e al correttissimo e leale duello tra Ettore ed Aiace e allo scambio di doni al termine del duello. Solo Achille è un vero guerrafondaio, dominato da uno smisurato ego di stampo hitleriano e una ferocia illimitata come quella dell’esercito israeliano a Gaza. Ma, di fronte all’umile Priamo, che richiede, con sofferenza ma con dignità, la restituzione del tormentato corpo dal figlio Ettore per dare allo stesso una degna sepoltura, persino il nazista Achille si commuove, “proruppe in pianto”, sorresse il vecchio padre Priamo e concede tutto quello che Priamo chiede e “questi fûro gli estremi onor renduti al domator di cavalli Ettorre”. E quando nell’Odissea Ulisse scende all’Ade e incontra Achille questi rinnegherà il suo passato di guerriero e duce: “vorrei da bracciante servire un altro uomo, un uomo senza podere che non ha molta roba, piuttosto che dominare tra tutti i morti defunti”.

Capitini

Dunque se il metro di misura fosse solo la strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 e le stragi continue che, nella striscia di Gaza, compiono i responsabili israeliani, è difficile sfuggire alla conclusione che, sul piano di livello di civiltà, entrambi i contendenti di Gaza si collocano a un livello primitivo, primordiale, arcaico, superbarbaro. Rispetto alla loro la civiltà achea e quella troiana si pongono ad un livello molto più avanzato sul piano morale. Ma, per fortuna, loro non sono l’unica misura della nostra civiltà. E il pensiero corre ai casi in cui, nel nostro tempo, abbiamo visto controversie che sembravano irrisolvibili trovare una responsabile e ragionevole soluzione attraverso altre vie, attraverso la non violenza, attraverso la ragione.



Penso alla Prima guerra mondiale vista dalle mie montagne nelle Alpi Centrali tra il gruppo dell’Ortles, lo Stelvio, l’Adamello. Qui si combatté una guerra tra le alte cime, ma una guerra particolare tra popolazioni che si rispettavano, che facevano gli stessi mestieri (contadini, pastori, allevatori, boscaioli), che percorrevano gli stessi sentieri, che non parlavano la stessa lingua ma si intendevano lo stesso, magari in dialetto. Il primo episodio bellico nella Valle del Ghiaccio dei Forni racconta di una pattuglia italiana appena inviata in perlustrazione, guidata dal giovane tenente Compagnoni. Mentre si stavano avvicinando verso il Ghiacciaio dei Forni, sbucò dall’alto una pattuglia austriaca. La pattuglia italiana pose mano ai fucili, ma il tenente Compagnoni li fermò e guardò attentamente con il binocolo. Poi lo videro infilare il suo cappello d’alpino sul fucile roteandolo in segno di saluto come si usa tra alpinisti. Dalla pattuglia austriaca si rispose nello stesso modo. Il tenente Compagnoni aveva riconosciuto in chi comandava la pattuglia austriaca un suo compagno di ascensioni. Questo episodio è certamente emblematico di questa guerra. La guerra ci fu, anche dura, ci furono combattimenti aspri e qualche battaglia, ci furono morti ed eroi come in ogni guerra. Ma, leggendo come io ho fatto, tutti i libri di questa guerra tra le alte cime, sia di fonte italiana che di fonte austriaca, si percepisce un senso di lealtà, di rispetto reciproco, di rispetto umano, di insensatezza della guerra tra popolazioni abituate da sempre a vivere, lavorare, commerciare, fare ascensioni, insieme, da commuovere.

 
Gandhi

Avevano detto ai nostri che la guerra era per redimere (da cosa?) queste terre austriache, anzi tirolesi. Ma i nostri, pur leali e fedeli combattenti, sapevano che eravamo noi, allora, gli invasori e che gli alpini tirolesi difendevano la loro terra. E’ questo spirito leale ed anti guerriero che favorì, al termine della guerra, il graduale ricomporsi di una vita comune e pacifica, tra vicini. E quando al termine della Seconda guerra mondiale dei superstiti fanatici dell’identità del Sud Tirolo cercarono di estremizzare questa loro posizione anche con azioni terroristiche che, per un tratto, sembrarono assumere dimensioni pericolose, fu l’elevata maturazione civile della popolazione che permise ad alcuni uomini di Stato grandi e veri, sia italiani che austriaci di ricuperare e risolvere le controversie in modo pacifico. Sicché oggi festeggiamo insieme e con gioia il giovane splendido eroe europeo Sinner che in televisione abbiamo visto con sullo sfondo un edificio sulla cui facciata c’è scritto: “Rathaus – Municipio” - Che bello!



Ma mi riaffiora alla memoria un altro episodio che avevo dimenticato e che è forse ancora più significativo per la guerra di Gaza. Eravamo negli anni più caldi delle tensioni dell’apartheid in Sudafrica. Il Sudafrica era sempre più isolato e accompagnato da ostilità, da quasi tutto il resto del mondo, gli scontri civili e razziali si susseguivano sempre più frequenti e violenti, Mandela era ancora in carcere da parecchio tempo ed era poco conosciuto anche tra noi, la maggior parte delle persone dava ormai il Sudafrica come avviato ad una guerra civile dolorosissima e senza speranza. Fu in quel periodo che da amici fui invitato ad un incontro con una delegazione di dirigenti sudafricani. Non ricordo né la fonte di questo invito, né chi mi invitò. Fui sorpreso perché non avevo mai avuto il minimo rapporto con il Sudafrica. Successivamente, dopo l’incontro, sulla base del discorso che la delegazione sudafricana fece, pensai che l’invito fosse, forse, dovuto al fatto che ero attivo nel gruppo di sviluppo del pensiero federalista che era nato nell’ambito dell’Università di Pavia al seguito del professore Mario Albertini. In questo gruppo noi eravamo impegnati come federalisti europei ma avevamo, negli anni, fondato un piccolo ma significativo centro di studio del pensiero federalista. 


Cattaneo

Avevamo studiato la storia della Svizzera, i Federalisti americani, altri studiosi e sostenitori del pensiero federalista come, da noi, Cattaneo, Einaudi, Mario Albertini. Eravamo sempre più convinti che solo con un approccio federalista si potevano tenere insieme popoli di storia e lingua diversa ma con una base comune, che volevano conservare la propria identità ma erano nella necessità di vivere insieme con istituzioni statali comuni. Il nostro modello ideale era la Svizzera. L’incontro fu tra una piccola delegazione di dirigenti politici sudafricani e una decina di ospiti. Il discorso che ci fecero fu chiarissimo e rivelatore. Dissero: tra Sudafrica e Milano ci sono numerosi e forti legami, Milano è per noi un punto di riferimento. Per questo vogliamo illustrare direttamente a gruppi ristretti di milanesi la situazione del Sudafrica e le sue prospettive. Faremo altri incontri di questo tipo. Il Sudafrica, come è oggi, è avviato alla rovina e alla più rovinosa guerra civile. Molti dirigenti sudafricani pensano che questa deriva sia inevitabile e che non esistano altre prospettive. Noi pensiamo, invece, che ci sia un’altra via. Vogliamo la pacificazione del nostro popolo, sia dei bianchi che dei neri. Per questo vogliamo archiviare l’apartheid, vogliamo liberare Mandela, vogliamo dar vita ad un nuovo stato secondo le caratteristiche di un vero stato federale, dove ogni gruppo etnico possa avere il suo spazio, la sua identità, la sua lingua pur in un ordinamento istituzionale comune e federalista. Chiediamo la vostra attenzione e, se possibile, simpatia. Siamo minoranza, ma pensiamo di crescere rapidamente.
Negli anni successivi vedrò, passo dopo passo, realizzarsi nella realtà il film che quei rappresentanti di quella coraggiosa e lucida minoranza sudafricana aveva, quel giorno, raccontato a noi, per lo più increduli.
 
Don Milani

Sembra una favola ed è, invece, del tutto vera. E non è la prima volta che il principio federalista fa stare insieme dei diversi. Pensiamo alla Svizzera, ma, in tempi anche recenti, al Belgio che stava precipitando nella separazione e nel caos, pensiamo alla Repubblica Federale Tedesca, pensiamo al federalismo australiano. E che cosa impedisce a Israele e Palestina, che entrambi hanno diritto di esistere, di avere un proprio stato e di collaborare in pace, nell’ambito di uno schema federale comune, come fecero dopo la guerra i nostri alpini e gli alpini sudtirolesi?


 
Ma qualcuno già dice: tu fai le cose semplici, ma in nessuno dei casi da te fatti, c’è di mezzo la religione come tra ebrei e palestinesi. Ma allora è inevitabile la domanda: ma a questo serve la religione? Ad impedire ai popoli di vivere in pace ognuno con la sua fede e le sue credenze? E cosa pensano questi popoli, entrambi, quando leggono le seguenti parole del primo canto dell’Iliade: “Ma se questa non fosse, a cui comandi, spregiata gente e vil, tu non saresti del popolo tuo divorator tiranno.

SIPARIETTO ANTIFASCISTA
di Vincenzo Talarico
 
Vincenzo Talarico

Con questo titolo abbiamo deciso di pubblicare su "Odissea" una serie di pensieri e di battute irriverenti sul regime fascista dello scrittore e giornalista acrese Vincenzo Talarico (Acri 1900 – Fiuggi 1972) lasciati inediti e scritti a mano su un quaderno rinvenuto da Emanuele Benvenuto, figlio della nipote dell'autore, Raffaela, con lo pseudonimo di Marcutio.


*
Finisce la Guerra. Churchill chiede al suo Re udienza per presentare un alto ufficiale che ha molto meritato la riconoscenza del paese. Entra Hitler, si strappa i baffi, si toglie la parrucca, e rigido sull’attenti dice, presentandosi: “Colonnello Lawrence! Gli ordini di V. M. sono stati eseguiti”.


*
La differenza tra una disgrazia e una sciagura: cade una bomba sul campidoglio è una disgrazia; tutti rimangono illesi è una sciagura. 


*
Sono riuniti per discutere di guerra e pace Hitler, Mussolini, Churchill, Roosevelt, Stalin. Cade una bomba e sconquassa ogni cosa: si salva solo la pace del mondo. 


*
Proposta di Beneduce per ricostruire la finanza italiana: vendere i gerarchi per quanto sono costati e ricomprarli per quello che valgono.


*
Qui giace Achille Starace
audace rapace, incapace,
vestito d’orbace
requiescat in pace.


*
I grandi dolori sono Muti.


*
Cambio di guardia Starace-Muti: nell’antica Grecia Achille uccise Ettore, qui Ettore ha vinto Achille.


*
Quando Vidussoni fu nominato segretario del Partito è stato legato un nastro bianco alla sede del Fascio.


*
Qual è l’unico inglese che s’è fatto fascista? Il sabato.

MILANO
In piazza per Assange.




A CODERNO
Casa Turoldo




martedì 30 gennaio 2024

PIETRA D’INCIAMPO PER LIPPI FRANCESCONI
di Romano Zipolini*


 
Lucca. Era l’estate del 1944 quando Guglielmo Lippi Francesconi (nato a Lucca nel 1898), primario dell’ospedale psichiatrico di Maggiano, medico psichiatra dai metodi innovativi per il suo tempo, capì con certezza di essere controllato da vicino dai fascisti e con la famiglia si rifugiò nel paesino di Vecoli sulle colline lucchesi. Come primario si distinse per la sua ferma opposizione all’uso della camicia di forza e ad altri strumenti di contenzione, e per la volontà di ridare dignità ai malati ricoverati nella struttura. Dal 1942 ebbe posizioni sempre più contrastanti con le richieste del fascio di Lucca. Nell’estate del 1944, i rapporti si fecero sempre più tesi e sfociarono nella sua uccisione, nel settembre 1944, nell’Eccidio della Certosa di Farneta. Nel 2000, durante un congresso di psichiatria italo-tedesca, il professor Michael Von Cranach ricordò Lippi Francesconi come “uno degli esempi più luminosi in Europa di opposizione all’uso della psichiatria come strumento di sopraffazione e di violazione della dignità della persona…”.
 
*Presidente Anpi Lucca

MILANO
Centro Studi Caldara




lunedì 29 gennaio 2024

PERCHÉ ERA GIUSTO…
di Patrizia Cecconi



Quella che vi racconto è una storia piccola. Una di quelle storie così piccole che di solito restano confinate nell’ambito familiare. Doveva essere il 1943 quando avvenne il fatto che io scoprii da bambina piccola, verso la metà degli anni Cinquanta. Mia nonna, protagonista di questo fatto, lo raccontò per caso, perché a quei tempi non ci si faceva belli per aver fatto una cosa che semplicemente sembrava giusta. Ogni tanto nella mia famiglia veniva fuori qualche ricordo legato agli anni del fascismo e della guerra, ma sempre così, incidentalmente, come quando scoprii che mio nonno materno aveva un solo dente perché gli altri li aveva persi tutti il giorno che i fascisti lo massacrarono con i sacchetti di sabbia, lasciandolo con quasi tutte le ossa rotte, quasi immobilizzato per circa sei mesi. Venne fuori così, durante un grande pranzo di famiglia in onore di vecchi zii che erano venuti a trovarci e ricordavano i tempi in cui erano stati al confino e quelli in cui, insieme a Di Vittorio, mio nonno aveva dovuto lasciare Cerignola per non essere ammazzato dalla banda dei Caradonna. Era stata una grande festa familiare tra persone che non si vedevano da tanti anni e che avevano un passato che ancora li univa. In questi casi, si sa, i racconti epici non possono mancare! Insomma, sempre per caso venivano fuori tante di quelle storie che formano l’humus, ma in modo impercettibile, della Storia, quella che si legge sui libri. E un giorno capitò per caso anche un ricordo di mia nonna paterna, rievocato da una cosa da nulla. L’ho già raccontato in un’altra occasione, ma oggi lo racconto per Odissea.

Squadristi fascisti
 
Era un giorno d’estate e faceva molto caldo. Io ero una bambina di circa cinque anni e avevo i capelli lunghi e biondi che erano l’orgoglio di mia madre, quindi li tenevo sempre sciolti sulle spalle. Ma quel giorno faceva molto caldo e mia madre decise di farmi le trecce.
Mia nonna paterna che viveva con noi aveva sempre tante storie della sua gioventù da raccontarmi. Storie così straordinarie e divertenti che ancora me la fanno ricordare con un po’ di nostalgia. Era molto vecchia mia nonna, era nata a fine Ottocento da una famiglia, allora ricca, delle Marche “papaline”, ma era analfabeta perché aveva imparato a ricamare, a ballare e pure a ripetere le preghiere in latino – un latino che ve lo raccomando! – ma aveva frequentato solo per pochi giorni la prima elementare e poi, chissà perché, aveva lasciato la scuola. Insomma, non era stupida mia nonna, ma era una donnina ignorante.
Quando mi vide con le trecce si portò le mani al viso, sbarrò gli occhi come se avesse avuto chissà quale visione e con l’accento umbro-marchigiano che non aveva mai perduto esclamò «Oh Gesù mio, sei proprio come quella pupa! Oh Dio, oddiomio quanto je somigli! Pure lei portava le trecce, proprio come te! Biondina, piccoletta, c’avrà avuto manco cinqu’anni, proprio come te!» Poi, seguendo il suo ricordo, proseguì: «Ma che paura! Mammamia ancora me lo ricordo. Che paura!» e allungava sempre molto sulla u come se quella paura non l’avesse ancora lasciata.
Io ero là, davanti a lei, con le trecce. Mia madre, abbastanza impaziente, temendo qualche racconto che mi avrebbe affascinato e a lei avrebbe fatto perdere tempo, disse: «Vabbè, ora andiamo, saluta nonna che usciamo».



Eh no! Come facevo a salutarla senza farmi raccontare il seguito? Allora mia nonna mi disse: «Lo voi che nonna te lo racconta?» e senza aspettare risposta, seguendo il suo pensiero, andò avanti così: «Ma che paura! Si quelle bestie scoprivano che l’avevo nascosta non c’eri manco tu, lo sai? Manco tu, perché c’avrebbero ammazzat’a tutti, pure a papà tuo. Manco tu!» Ripeté quel “manco tu” come se io potessi scomparire di lì a un momento. Poi, seguitando a parlare a sé stessa più che a me, aggiunse: «Ma chissà mo ‘ndo sta quella pupa! Me piacerebbe vedella, ma manco so come faceva di cognome! Però che paura!» ripeté allungando sempre la u e tenendosi ancora le mani sulle guance.
Io non è che avessi capito molto, ero piccola e mi piacevano tanto i suoi racconti di quando ballava nelle feste paesane fino alle cinque del mattino con i “giovanotti”, come li chiamava lei, che si litigavano per farle da “cavalieri”. Infarciva così bene di dettagli quei racconti, che io li vedevo tutti quei giovanotti, e lei, e i balli, come fossero film. Ma questa della bambina nascosta per due giorni, che le faceva tanta paura anche solo ricordare e che poteva essere causa dell’eliminazione di tutta la sua famiglia, compreso mio padre, non l’avevo mai sentita e non riuscivo a capire perché l’avesse fatto.



Mia madre scalpitava perché voleva portarmi via dall’influenza di mia nonna, però all’epoca i vecchi si rispettavano e quindi si limitava a stare sulla porta facendo sentire il piede che batteva a terra. Io quella volta non chiesi alla nonna il racconto dei particolari perché avvertivo il respiro nervoso di mia madre e poi non sapevo proprio nulla di leggi razziali e robaccia simile, quindi mi limitai a chiederle: «Scusa, nonna, ma se avevi tanta paura perché l’hai fatto?»
Ho detto che mia nonna era una piccola donna ignorante, sapeva ricamare, ballare e pregare in quel suo latino un po’ fantasioso, ma non avrebbe davvero mai saputo spiegare il concetto di “imperativo categorico”. Lei aveva molte parole per i racconti e ascoltarla mi piaceva da morire, ma non ne aveva certo per definire un concetto astratto. Così mi guardò stupita. Come se le avessi chiesto qualcosa che doveva essere chiaro di per sé. Fece una smorfia con le labbra, alzò le spalle come a dire “embè”, poi tolse le mani dalle guance, le aprì verso l’esterno in una gestualità che appartiene a tutto il centro Italia e disse, con delle pause per cercare parole che non venivano – e non venivano perché in fondo ne bastava una sola – disse: «Embè, perché? Perché? Perché… e perché era giusto, no?»
Perché era giusto. E come lei tanti altri avevano fatto cose simili, anche senza vera e propria coscienza politica, solo perché era giusto!
Poi, mentre mia madre diceva: «Dai, adesso da’ un bacetto a nonna e andiamo», la nonna ripeté: «Sì, era proprio bionda, piccoletta e con le trecce come te. Era giusto fallo, mica la potevo fa’ pijà da quelle bestie».
Credo di non averci più pensato per parecchio tempo, ma ci sono cose che ti segnano per sempre, nel bene e nel male e restano a lavorarti dentro. L’etologia e la psicologia le chiamano “imprinting”.
Dopo diversi anni, mentre studiavo un periodo cupo della nostra storia contemporanea, mi tornò alla mente il racconto di mia nonna e ne capii il contesto storico. Ma non serviva. Quello che lei aveva detto, e che avrebbe indirizzato la mia vita, era tutto in quell’aggettivo con funzione di categoria morale: era giusto.



Alcune cose si fanno perché è giusto. Basta così.
Mia nonna, nella sua semplicità, aveva chiaro che il senso di giustizia non ammette compromessi. Lei aveva imparato a pregare in latino sì, ma non credo conoscesse il concetto di giustizia secondo i padri della Chiesa, forse non sapeva nemmeno che la giustizia secondo le Sacre Scritture è la prima delle virtù cardinali. L’unico San Tommaso che conosceva era il discepolo incredulo, non certo il filosofo. Ma il senso della giustizia ce l’aveva talmente forte da rischiare la vita sua e della sua famiglia per proteggere una bambina che conosceva appena.
Così si salvarono molte vite in quel periodo terribile, vite di ebrei e vite di antifascisti, e altre se ne sacrificarono a causa di qualche delatore, quelle sordide figure che a Roma vengono definite “infami”. Anche queste figure sono elementi che costituiscono l’humus della Storia, ma non sono elementi nobili come le tante piccolissime storie simili a quella appena raccontata. Quella di una piccola donna analfabeta che amava la vita eppure l’aveva rischiata, mettendo a rischio anche quella dei suoi familiari, per salvare una bambina che forse neanche conosceva.
In questi giorni più che mai quel senso di giustizia vorrei che lo riscoprissero anche i figli e i nipoti di quelle persone salvate dalle grinfie delle bestie naziste e lo utilizzassero per salvare i bambini massacrati oggi dalle bombe sioniste. Vorrei, vorrei!!!

MEMORIA
di Pier Carlo Rapetti*



Questo 2024 è il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, è l’anno dell’80° degli scioperi nelle fabbriche sestesi e delle deportazioni degli operai sestesi, della strage di Marzabotto, delle Fosse Ardeatine, e di molte altre stragi. Il 2024 è il 50° della strage del treno Italicus. Ecco dunque perché oggi (27 gennaio), giornata della memoria è importante rendere omaggio a tutti coloro che con il loro coraggio si sono opposti ad un disegno infame di violenza e di sopraffazione che prevedeva la riduzione in schiavitù di milioni di donne e uomini liberi e di tutti gli oppositori destinati a lavorare fino alla consunzione per le grandi fabbriche tedesche e la persecuzione e lo sterminio di altri milioni di essere umani condannati alla camera a gas.
In particolare, in questo luogo, accanto a questo monumento costruito 25 anni fa e oggetto più volte di devastazione, l’ultima l’anno scorso, ad opera di neofascisti, ci ritroviamo a ricordare insieme tutti i cittadini che lavoravano nelle grandi e piccole fabbriche dell’area industriale di Sesto San Giovanni, arrestati dai nazifascisti e deportati nei Lager nazisti, la maggior parte a seguito degli scioperi del marzo 1944, ma anche per attività antifascista, per azioni partigiane, o semplicemente a seguito di rastrellamenti.


Giacomo Matteotti
 
I nomi sulle pietre poste intorno al monumento al deportato ci ricordano persone: operai, padri di famiglia, giovani che fecero una scelta coraggiosa: scioperare e lottare contro il nazifascimo dando un contributo fondamentale all’azione per la conquista della indipendenza, libertà e democrazia del nostro Paese, fino alla realizzazione della Costituzione e della Repubblica fondata sul lavoro. Oggi si sta sviluppando un tentativo di depotenziare e stravolgere la nostra Carta Costituzionale. Premierato e Autonomia Differenziata stravolgono il modello sociale, economico e democratico delineato dalla Costituzione antifascista. Infatti l’insieme del Premierato e della autonomia differenziata cancella di fatto l’art. 3 della Costituzione che fa discendere dall’uguaglianza dei diritti civili e sociali sia la responsabilità della Repubblica sulle condizioni materiali di vita dei propri cittadini (Stato Sociale), sia la democrazia partecipata. Dobbiamo attuare e non affossare la nostra Costituzione, dobbiamo evidenziare il nesso tra forma di Governo e condizioni materiali di vita e lo dobbiamo in particolare a loro. Un potere verticalizzato difende gli interessi dei più forti; un potere partecipato guarda ai bisogni e ai diritti di tutte le cittadine e dei cittadini. Perciò chiediamo piuttosto di rafforzare il ruolo del Parlamento e di varare una legge elettorale nuova che garantisca pluralismo e rappresentanza.



La nostra Costituzione disegna un modello di società giusta, solidale, democratica, pacifica. Davanti a tutto ciò, avvertiamo l’urgenza, oggi più che mai, di un forte impegno antifascista. Vogliono farci perdere la memoria diceva, in una recente intervista prima della sua morte, Ferruccio Laffi ultimo sopravvissuto della strage di Marzabotto. Noi non perderemo la memoria, continueremo a portare con maggiore forza il nostro contributo in tutte le iniziative tese a mantenere viva la memoria.
“Non c’è torto maggiore - ci ricorda Sergio Mattarella- Non c’è torto maggiore che si possa commettere nei confronti della memoria delle vittime che annegare in un calderone indistinto le responsabilità o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe, personali o collettive”.
Ricordare significa evitare che certi orrori si ripetano e lo si può fare tenendo assieme identità diverse e interdipendenti, soggettività differenti. Si può fare accogliendo il prossimo, assicurandoci che i suoi diritti saranno sempre garantiti. La Resistenza fu una grande incubatrice di idee di liberazione e di eguaglianza che presero forma durante la lotta di Liberazione contro il nazifascismo e vennero poi tradotte nella Costituzione che, disse Calamandrei, era una rivoluzione promessa. Quella Costituzione che qualcuno vuole stravolgere. È nostro dovere onorare quella promessa delle partigiane e partigiani che diedero la vita per la libertà, per la democrazia, per la dignità delle persone, per la solidarietà e la pace tra i popoli. La promessa di operare insieme affinché sia posto come tema primario l’applicazione integrale della Carta Costituzionale.


I martiri di Marzabotto

Davanti a queste pietre e a questo monumento non possiamo non denunciare le manifestazioni nazifasciste che salgono agli onori della cronaca:
gli assalti alle sedi politiche e sindacali
l’aberrante sfilata con saluto fascista di Acca Laurentia
i continui tentativi di revisionismo storico e di mistificazione della storia nel solco del falso mito degli Italiani brava gente”
(cito solo come esempio il calendario dell’esercito con la scritta prima e dopo l’8 settembre)
l’operazione evidente della destra di controllo sui media e sulla cultura
il tentativo di equiparare fascismo e comunismo.


Monumento alla Resistenza
Sesto San Giovanni (Milano)

A tale proposito vorrei ricordare che i Comunisti in Italia hanno partecipato alla Resistenza e alla creazione della Repubblica Italiana partecipando ai lavori dell’Assemblea Costituente. Su cos’è il fascismo mi piace rileggere insieme a voi quanto scritto nel 2017 da Michela Murgia:
A te che hai vent’anni e mi chiedi cos’è il fascismo, vorrei non doverti rispondere. Vorrei che nel 2017 la risposta a questa domanda la sapessimo già tutti, ma se me lo chiedi è perché non è così. So perché me lo domandi. Credi che io sia intollerante se dico che il fascismo è reato e deve rimanerlo sempre. In un certo senso è dunque colpa mia se me lo chiedi. Colpa del fatto che non ti ho detto che il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia. Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica; invece, proprio come la mafia, il suo obiettivo è la sostituzione stessa dello stato democratico ed è la ragione per cui ogni stato democratico dovrebbe combatterli entrambi - mafia e fascismo - senza alcun cedimento. Nessuno è al sicuro quando cominciamo a pensare che il fascismo è solo un’opinione tra le altre.
 

Infine la lezione che ci hanno tramandato coloro che hanno preso parte alla Resistenza è il sentimento della Pace: la guerra come il peggiore degli incubi, una follia da “ripudiare”, fuori dalla ragione umana. La Resistenza non è stata solo lotta partigiana in montagna con le armi. La Resistenza è stata un fenomeno diffuso, è stata anche resistenza civile, resistenza delle donne disarmate che mantenevano le famiglie dei partigiani, resistenza delle staffette partigiane, resistenza civile degli intellettuali, resistenza di chi nascondeva gli ebrei, resistenza di chi aiutava i disertori della Repubblica di Salò, resistenza dei sacerdoti cattolici che sostenevano gli antifascisti perseguitati, resistenza dei partigiani nonviolenti che non hanno mai voluto togliere la sicura al fucile ma partecipavano agli atti di sabotaggio, resistenza anche di chi si è opposto agli atti di vendetta verso i fascisti.
Dire no alla guerra, no al riarmo, rifiutare la logica del più forte e del più potente, respingere l’idea che la violenza assassina si sconfigge con altra violenza più assassina, non significa rinunciare alla lotta per la libertà, ma al contrario, è prendere il testimone di chi è passato per le tragedie della storia ed ha deposto le armi, affidandoci la Carta Costituzionale dove possiamo trovare le risposte per mantenere e rafforzare la pace e la convivenza.


 
Per tutto ciò l’attuale escalation di violenza nella cosiddetta Striscia di Gaza non ci può vedere silenti. In poche settimane, dagli attacchi perpetrati da Hamas, che vanno inequivocabilmente condannati con fermezza, sono già migliaia le vittime civili e la situazione umanitaria a Gaza è terribile. Al dolore e sdegno per le centinaia di vittime e ostaggi israeliani si aggiunge il dramma umanitario che si sta consumando nei territori palestinesi. È inammissibile che non si riesca a trovare la via per il dialogo nel rispetto reciproco e per garantire il diritto alla pace e il diritto ad una propria terra a ciascuno dei popoli che vivono in quella regione. Riprendendo ancora le parole del nostro presidente Sergio Mattarella: “Sentiamo crescere in noi, di giorno in giorno, l’angoscia per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas. L’angoscia sorge anche per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella striscia di Gaza. Anzitutto per l’irrinunziabile rispetto dei diritti umani di ciascuno, ovunque. E anche perché una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili, rischia di far sorgere nuove leve di risentimenti e di odio. Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato”.

Annunziata Cesani
(Ceda)

Prima di concludere vorrei lanciare un appello a tutte e tutti, sarebbe importante che le celebrazioni per l’80° dai fatti del 1944 comprendessero anche un ricordo speciale per la nostra Presidentessa Annunziata Cesani detta Ceda. Sarebbe un segnale importante che il 23 maggio, rispondendo all’appello sottoscritto da centinaia di cittadine e cittadini si possa finalmente procedere all’intitolazione dei giardini di villa Zorn alla Ceda, “Instancabile e appassionata sentinella dei diritti e della memoria”, una persona che si è conquistata di diritto un posto nella storia del nostro comune e che ha incarnato quegli alti valori che la Costituzione Italiana ci insegna ancor oggi a difendere e sostenere. 
W l’Italia antifascista, W la Resistenza, W la nostra Costituzione.
 
[*presidente Anpi Sesto San Giovanni, Milano]

A PROPOSITO DI GUERRE

San Nicola Arcella (Cs). “Voi siete per lo spargimento di poco sangue. Bisognerebbe tornare alla disfida di Barletta dove i Curiazi si batterono contro gli Orazi che trionfarono sui primi. Anzi, per voi, come anche per me, la disfida dovrebbe avvenire, in ogni dichiarazione di guerra, fra un capo di stato e l’altro, e noi a goderci lo spettacolo, come avete detto voi. Quindi a comandare dovrebbero essere le masse e non i singoli sulla pelle degli altri”.

Nicolino Longo - aforista

TESTIMONIANZA

Acri (Cs). “Una vita senza memoria non ha significato”. Ma la memoria deve aderire mimeticamente alla verità… Israele sta gettando feccia su sé stessa. Subìta una “disgrazia” non devi essere artefice della disgrazia altrui. Viva la Palestina e i Palestinesi. E anche se fossi il solo a dirlo, lo sosterrei con forza.

Filippo Gallipoli - pittore 

LETTERA ALLA COMUNITÀ EBRAICA  


 
Cari membri della Comunità Ebraica, vi ricordo che i partecipanti ai cortei per il “Cessate il fuoco” sono tutti storicamente antifascisti e antinazisti. Tanti di noi hanno avuto nonni che hanno combattuto contro il regime fascista e che a loro volta hanno avuto amici e familiari trucidati dalle camicie nere e dalle SS. In questo momento storico, con il rigurgito di quella feccia che sta lentamente ritornando a governare l’Europa, Italia in Primis, voi avete il coraggio di andare a braccetto, nelle piazze, al teatro etc. etc. con gli eredi politici di coloro che hanno sterminato le vostre famiglie e non solo... Festeggiate di essere spalleggiati dai Fascisti. L’atto di denuncia contro i massacri, perpetrati da un esercito occupante che uccide decine di bambini al giorno, non è antisemitismo, è umanità, la stessa che ci fa piangere ogni volta che rivediamo le immagini dei campi di concentramento. Il giorno della Memoria, era un giorno di tutti, perché insieme agli ebrei sono morti milioni di slavi, centinaia di migliaia di antifascisti, Rom, omosessuali e disabili... Con la vostra arroganza avete deciso da che parte stare tenetevi quindi i vostri amici fascisti, tenetevi La Russa e Piantedosi e Netanyahu.
 
@macpaffo

 

NOI SIAMO IL MONDO
di Annitta Di Mineo
 


Beuys Welt al teatro Out Off di Milano.
 
Sala gremita di spettatori al concerto di Maurizio De Caro con il suo “Beuys Welt”, al Teatro Out Off di Milano, 21 gennaio 2024. Omaggio al grande artista tedesco Joseph Beuys alla presenza di Lucrezia De Domizio Durini, produttrice dell’opera, fervente estimatrice e divulgatrice del pensiero umanista e spirituale del Maestro, che della cittadina di Bolognano (PE) ne fece la sua seconda residenza, ed è qui che avviò la Piantagione Paradise di querce dopo aver ricevuto 15 ettari di terreno dai Durini, tutt’oggi attiva in Difesa della Natura per la salvaguardia dell’ambiente. Presenti esponenti dell’arte e non solo, provenienti dalla Germania, Spagna, Svizzera, Francia e da varie regioni italiane. Maurizio De Caro, architetto versatile di fama internazionale, con questo evento, di ispirazione al movimento Fluxus, ha portato in scena un’opera musicale insolita, nata dalle sue elaborazioni elettroniche con letture di testi originali di Joseph Beuys e dello stesso De Caro. Con libretto alla mano, distribuito a tutti i presenti ognuno poteva seguire o semplicemente chiudendo gli occhi ascoltare suoni e parole, in una ambientazione a luci soffuse, scritti a difesa della natura, dei diritti umani, messaggio sociale rivolto al mondo intero “Io sono il Mondo”. Per un nuovo umanesimo: “Noi piantiamo gli alberi e gli alberi piantano noi, poiché apparteniamo l’uno all’altro e dobbiamo esistere assieme… e se l’umanità fallisce, la natura avrà una vendetta terribile”. “L’albero è l’uomo e l’uomo è l’albero, il riferimento più alto dell’intelligenza cosmica”.


Lucrezia De Domizio Durini
Maurizio De Carlo e altri
 
Ed ecco un’intervista rilasciata da Maurizio De Caro riguardante il concerto Beuys Welt. “Il concerto si è sviluppato per micro-suggestioni sonore alternando letture e pezzi musicali, in un tracciato interpretativo variegato e multiforme. I concetti delle letture sono una mia ri-elaborazione delle discussioni dell’Artista Joseph Beuys nel corso della sua vita. I temi musicali si ispirano al percorso artistico di Beuys e alla sua ricerca negli ambiti dell’arte, dell’antropologia, della politica e della cultura sociale, argomenti tuttora attuali e densi di significato (arte, parola, azione umana, coraggio e sfida, economia, verità e sogno, vuoto e silenzio, Mondo). La sequenza prestabilita delle tracce, è stata eseguita in un continuum, l’esecuzione finale è frutto di una forma di improvvisazione poli-direzionale e complessa, ma ancorata ai temi concettuali di Joseph Beuys. Nella sua forma compiuta il sistema musicale polifonico assomiglia di per sé a una performance, o ad un’installazione, quindi molto legata alle forme comunicazionali dell’arte contemporanea, il supporto magnetico (CD) è soltanto la memoria di tutte le variabili che si possono eseguire nelle fasi successive dal vivo. Nessuna forma musicale è tralasciata, dalla musica concreta, alla musica stocastica, dai rumori interstellari, all’elettronica pura, ma sono presenti sonorità sinfoniche quasi tradizionali, il risultato è un contenitore che tiene insieme le diverse parti della musica e della voce, che è trattata, e possiamo dire giustamente, come strumento musicale contemporaneo. Lo sviluppo della tessitura poli-funzionale restituisce un tracciato definito, che conduce verso le argomentazioni più alte del pensiero beuysiano, interpretato e attualizzato dopo oltre quaranta anni dalla morte di Beuys (1986), a dimostrazione della densità degli argomenti e della forza della parola. Con le percussioni ritmate quasi casualmente, senza una cadenza prestabilita, comincia il viaggio al centro della materia creativa, scomposta, incontrollabile, come all’origine del tempo e del mondo, è il ritorno al magma primigenio, è lo sgomento che si prova avvicinandosi al cuore della creazione e della creatività, un gesto simbolico molto prima di essere musicale, qui nasce l’opera. Entriamo nella forma più spericolata della musica, quella che non deve dare giustificazione, come la parola che vive ed emerge dal silenzio, e lo cambia irrimediabilmente.
I momenti sonori inseguono le forme più stridenti della disarmonia contemporanea, in una sfida verso altri mondi, verso altri suoni. Naturalmente il viaggio non poteva continuare che verso l’ignoto, quello spazio sognato, immaginato e rincorso nel corso di tutto il Novecento, la naturale proiezione dell’uomo, verso l’altro e verso l’altrove. Una rincorsa al silenzio, quello definitivo dell’inizio o della fine del mondo, nella rincorsa tra i cluster nascosti nelle pieghe del tempo, e uno sguardo timido ma profondo verso qualsiasi tipo di futuro. Ora la musica è lontana dalla Terra, ma non riesce a dimenticarla, non vuole abbandonarla ma deve cercare altro, e deve spingersi altrove per trovarlo, se l’Universo gravita nel silenzio più profondo, noi gli abbiamo regalato matrici sonore: Noi siamo il Mondo!”.

MILANO
Al Cinema Ariosto per Assange