Pagine

sabato 20 gennaio 2024

ANTIFASCISTI SEMPRE
di Marco Vitale

 
Caro Angelo,
sento il bisogno di ritornare sul Tuo commosso e forte appello dell’8 gennaio 2024 “Viva l’Italia antifascista e sempre Resistenza”, con il sostegno a Carlo Vizzardelli il loggionista che ha gridato “Viva l’Italia antifascista” alla Scala, durante l’esecuzione della prima del Don Carlo e che, per questo, è stato “identificato” dalla Digos. Insieme al Tuo appello mi ha fatto piacere il ricordo di Giuseppe Bruzzone e l’amara constatazione di Stefano Zane, con il suo efficace esempio “mi viene in mente la storia della rana bollita: senza accorgersene è morta. E mi riporta alla memoria un articolo che mio padre, Angelo Vitale, antifascista storico degli anni ’30, arrestato nel 1943, crociano liberale, partigiano attivo e decorato, scrisse il 12 agosto 1945 sul Giornale di Brescia, Organo del Comitato di Liberazione Nazionale (Anno 1, N. 91) con il titolo: “Solo il fascismo?”. Erano quelli giorni di festa per gli uomini della Resistenza. 



Ma non mancò, da subito, il richiamo a riflettere sulle cause profonde del fascismo, come l’articolo di Angelo Vitale del quale penso utile riprodurre un’ampia citazione: Il fascismo ebbe origini pregresse. Fu l’effetto di cause preesistenti, che ne resero possibile lo sviluppo. Tra queste cause deve annoverarsi quella che la democrazia italiana quale si era andata formando via via dopo la caduta della destra liberale, non era una buona democrazia. Il concetto di libertà, che altro non può essere in concreto che libertà politica era una parola vana, in quanto negli italiani, così come si erano formati dall’unità in poi, si muoveva a freddo. Essa era sì negli istituti pratici, ma vi era senza vita, senza convinzione, senza religiosità. La riprova è che la democrazia era degenerata in demagogia. Al suo primo urto storico con la incombente tirannide, tutti, come le pecorelle escon dal chiuso liberali, democratici, socialisti, comunisti e sindacalisti in testa, erano passati al fascismo, al governo del pugno di ferro. A partire dalla corona a finire all’ultimo chierico. E che prova tutto ciò se non che la vecchia democrazia era un concetto vano? Una pianta senza radici? Non prova che oggi dobbiamo far di tutto per impedire il rigerminarsi di quelle cause che resero facile il fascismo? E che questo far di tutto deve consistere in primo luogo nel praticare il concetto di libertà verso noi stessi, nel richiederlo fermamente agli altri tutti? È un problema di limiti. Se i lagni di oggi vanno giustificati con tutto ciò che il fascismo ha distrutto nella sua follia, vanno altresì spiegati con quelle cause che gli resero propizio e fecondo il terreno. Ma qui è il difficile del problema nostro. In quanto l’osservazione costante pare confermare d’una incapacità congenita al rimuovere quelle cause. Il popolo italiano pare incline a preferire il metodo della voce grossa, della museruola, della minaccia, del pugno alzato, a quella della persuasione, della spiegazione dei fenomeni, delle logiche argomentazioni, dell’equilibrio in tutte le cose, della possibilità, dell’esercizio libero delle sue prerogative di popolo sovrano. Soprattutto, pare incline a non volersi governare da sé. Nessuna impazienza, perché l’opera di creazione di un nuovo costume politico, sarà lunga e faticosa. Metodo democratico di governo, sì, senza dubbio, perché lo reclama il popolo dopo tante sventure, come quello atto ad impedire il rinnovarsi di altre funeste dittature d’ogni colore; ma soprattutto dovere in chiunque, in ogni luogo, modo, tempo e grado, diriga e dirigerà le cose pubbliche, di praticarlo fermamente su sé stesso, di pretenderlo dagli altri, di inculcarlo nei cittadini con l’esempio, perché si gettino le fondamenta di quella maturità politica che mancò nella vecchia democrazia italiana e che è stata in ultima analisi la causa primigenia e fondamentale di ogni nostra presente sciagura.



Dunque, nessuna sorpresa, ma profonda tristezza, questo sì, per l’involuzione “a democratica”, sempre più grave ed evidente del popolo italiano, od almeno di gran parte di esso. Come non essere profondamente tristi e preoccupati nel vedere che l’esercizio del diritto di voto, cardine di ogni seria democrazia, è esercitato ormai, e stabilmente, da una minoranza di cittadini? Come non essere tristi nel vedere il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, omaggiato dalla sempre sorridente senatrice a vita Liliana Segre, martire di Auschwitz, non solo nella sede istituzionale del Senato, dove forse era tenuta a farlo, ma alla prima della Scala e alla commemorazione del Binario 21 dove nessuno la obbligava a farlo? Ma cosa va a raccontare e con quale credibilità nelle scuole la segnatrice Segre ai nostri nipoti che la vedono sul piccolo schermo sempre sorridente accanto a un dichiarato fascistone e seguace del dittatore che volle le leggi razziali e razziste? E come non essere tristi di fronte alla voce dignitosa e coraggiosa ma isolata e minacciata dalle guardie di un unico loggionista di quella Scala che, ai tempi di Verdi, risuonò di tante voci milanesi per la libertà, il teatro di una città medaglia d’oro della Resistenza, che mette nel Famedio del Monumentale un Berlusconi accanto a Carlo Cattaneo? Ma tanta e profonda tristezza non deve avere l’effetto di scoraggiarci, perché “l’opera di creazione di un nuovo costume politico sarà lunga e faticosa” e “le fondamenta di quella maturità politica che mancò nella vecchia democrazia italiana sono ancora più fragili di allora”.
Ora e sempre Resistenza.