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domenica 28 gennaio 2024

ANTIGONE
di Gabriele Scaramuzza


 
 
Una segnalazione, quale questa mia vuol essere, non ha l’impegno e il respiro di una recensione. Si propone solo di essere un invito alla lettura, e reca ovviamente implicito un apprezzamento. Come tale tenterà solo di proporre qualche frammento di testo alla riflessione del lettore. D’altronde L’Antigone non è l’ermeneutica di una grande tragedia classica, men che meno uno studio storico-critico. Sotto il nome di Antigone non passa solo una figura storica, quanto piuttosto una persona che ancora vive e ci interr0ga. Riporta Chiara Zamboni che per Stefano Raimondi “la figura di Antigone ha costituito un orientamento nella sua vita, percependo in lei la possibilità di seguire una via politico-esistenziale diversa da quella corrente”.
Ancora L’Antigone non è un testo semplice (almeno per me): “dà molto a pensare”, come le idee estetiche (mi si passi il paragone sommario) di cui dice Kant (nel par. 49 della Critica del giudizio): “quelle rappresentazioni dell’immaginazione, che danno occasione a pensare molto, senza però che un qualunque pensiero […] possa esser loro adeguato, e, per conseguenza, nessuna lingua possa perfettamente esprimerle e farle comprensibili”. Questo vale per tutta la letteratura che abbia qualche senso, a prescindere da ogni graduazione di valori. Colpisce dapprima l’aura familiare che vi circola: L’Antigone è dedicato a Catia (moglie di Stefano Raimondi), in copertina sta un disegno di Giacomo (il figlio adolescente). La prefazione è di una comune amica, Chiara Zamboni. Non conosco invece Niccolò Nisivoccia, autore della postfazione, né Mario Cresci, cui si debbono le sobrie illustrazioni; ma anch’essi serbano traccia di un’atmosfera comune.
Leggendo il testo mi lascio andare al gioco dei rimandi tra donne e uomini, cui già la prefazione invita. Un uomo, un grande tragediografo – Sofocle - ha scritto di una donna, Antigone, in una tragedia che Hegel giudica “una delle opere d’arte più eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi”. Tantissimi uomini, non poche donne, leggono poi Antigone. In questo caso un uomo (chi scrive) legge il testo di un altro uomo (Stefano), che parla di una donna (Antigone). Una donna (Chiara) scrive la prefazione al libro di un uomo che parla di una donna; e accentua il tema della differenza, che le appartiene. Per conto mio accentuerei il tema della relazione; e mettere in relazione non è per nulla mettere sullo stesso piano e cancellare le differenze. La prefazione di una donna, Chiara, è già porsi in relazione; Stefano scrivendo si pone in relazione.



Conclude il libro la postfazione, di un uomo: Niccolò Nisivoccia coglie bene un punto fondamentale: “di Antigone come persona ci dimentichiamo, perché la vediamo solo some simbolo. Quando pensiamo a lei, in fondo non è a lei che pensiamo veramente, ma a noi: a tutto quello che, appunto, la sua storia rappresenta e ci evoca”. Antigone non può esser vista come una metafora, un simbolo che rinvia al di là di ogni sua concretezza vissuta, che ne trascura l’individualità “in carne e ossa”, l’essere dotato di un corpo, di una materia, di qualità sensibili-sensuali, di una sessualità. Su questo ha richiamato l’attenzione anche Chiara Zamboni.
Mi lascio avvolgere da questo intrico, senza lasciarmene troppo condizionare. Mi pone in ogni caso qualche problema. In primo luogo: chi parla (Stefano Raimondi) in nome di cosa parla? Dei principi etico-esistenziali che animano la sua vita, presumo, e che lo portano a prender posizione sulla realtà femminile, talvolta violentata, che lo sollecita, e che ci circonda.
Lo stesso accade nel caso del suo precedente Soltanto vive, che verte su immagini di donne violentate, perseguitate, a volte uccise, da uomini. Inoltre: in nome di chi parla Stefano? direttamente in nome delle donne? Mi è sempre stato arduo parlare in nome di altri, delle donne in particolare; ma lo si è pur sempre fatto. Certo, ho parlato del mio (significativo) rapporto con loro; cioè di ciò che tocca da vicino me. Lo stesso accade a Stefano Raimondi? Di lui mi interroga anche certa sua (benvenuta peraltro) inclinazione a farsi portavoce di figure femminili tormentate.



L’Antigone ha sprazzi di illuminazione e giri di parole che interrogano, a volte sconcertano. Attrae l’intreccio di significati e significanti, mi lascio trasportare dal ritmo, ma prescindere dai significati non mi è proprio possibile. Metto momentaneamente da parte il mio istinto inguaribilmente “illuministico”, che non è il modo più proprio di accostare gli scritti letterari. È soprattutto la musicalità che “dice”, e convince; può presentare scarti ritmici, smagliature; cui fanno da pendant le enigmaticità di taluni periodi. Ma resta il principale veicolo del senso e della commozione. Volendo esemplificare, tra i più poetici cito il brano contrassegnato dal numero 5:
“Da piccola correvo, giocavo anch’io all’incrocio di tre vie. Erano sempre tre le mie strade: due sapevano, una come andare e l’altra come ritornare, ma la terza mi faceva paura: non portava da nessuna parte. Era la strada rotta. La chiamavamo così, io e i miei fratelli, senza sapere nulla del fato. Era una via che sembrava una piazza, girava e girava protetta, serrata da un cerchio. Le vie, le altre, tentavano la fuga ma tornavano, ritornavano come una palla lanciata in salita”.



Ricorro infine a quanto mi ha scritto Chiara Zamboni, in modo per me stimolante: “Antigone è un testo di un uomo, Sofocle.  Sofocle mostra la sfasatura incolmabile del rapporto donna/uomo. Il punto centrale della tragedia nello scontro tra Antigone e Creonte è quando fa dire queste parole a Creonte: ‘Se Antigone vince, allora io non sono più un uomo’. La parola greca è aner, che in greco rimanda alla virilità in tutti i suoi significati materiali e simbolici. Creonte è ferito nella virilità da Antigone”.
E ancora: “Stefano ha in mente soprattutto la confusione sessuale di cui Antigone è frutto e il suo essere una giovane donna, accentuandone la sessualità e il sacrificio di questa sessualità”. Infine: “Quello che mi piace e mi ha fatto pensare del testo L'Antigone è forse un dettaglio, ma per me importante. Ad un certo punto Stefano scrive: ‘anche Creonte, nonostante la sua vita profondamente sbagliata, sarà forse salvato dopo la morte’. È una intuizione che fa capire la sfasatura tra la vita storica umana dove il giudizio di bene e di male è fondamentale da un lato e dall'altro la luce da cui viene avvolto chi muore, al di là del bene e del male”.
Questo per me richiama in discussione problemi religiosi, e persino certo Kafka (quello oggetto delle tarde riflessioni di Fulvio Papi): il vuoto di risposte, il capovolgimento di ogni prospettiva umana, la sospensione angosciante in cui getta lo scacco del domandare. Un’alterità assoluta, nel rapporto con la quale si disfa ogni senso possibile del vivere. Un senso che la scrittura cerca di ricostruire.         
 
Stefano Raimondi,
L’Antigone. Recitativo per voce sola
Mimesis, 2023; pp. 117, € 12.