1 Materia siamo di corpi
persi in ambulacri di vita
assiderata, laddove corporea
moltitudine in solitudine giace
smisurata; entro cieca latomia siamo livida carne
martoriata affollata in accumulo
costante. Oscuro memento è questo
vagare entro notte e nebbia
ininterrotte. Stordisce l’odore dolce
della febbre brucia negli occhi privi
di speranza; siamo inermi nello
stridente gelo, siamo imperfetto scarto siamo ingombro e peso
inane. Dal fondo putrido dei fossi scorgiamo sull’argine
elevato tremanti fiori e magri
steli resistere caparbi ad
occidue bore a sferza raggelante nella
mente, ma vive il fiore unica
stagione e declinando all’imbrunire
muore. Si è come corpi persi, pesanti si sprofonda,
creature inerti nella tenebra
ch’esonda, entro latebra cieca della
storia; i nostri corpi persi e mai
sepolti sommersi nell’infinità del
tempo: dolente carne siamo, e mai
risorta. 2 Se l’anima svapora
cancellata resta attonito il corpo
d’animale che a fatica si governa e
doma, mosso da istinto
primordiale. Masse cieche si devono
guidare, sonnolente e grevi ponderose masse biologiche come in arcaica
transumanza; così, alcuni son forzati con solerzia, agli ostelli
estremi nel gelo di stanze oltremisura; altri, superflui per
sventura, che estenuati
s’abbandonano, proseguon docili per la
mattanza nell’ordine di ben serrate
file. 3 Molti alla resurrezione
mancheranno, impresentabili, con quelle
macchie nerastre e sconce e ulcere
indelebili, quelle piaghe allo sguardo
ripugnanti sui volti spauriti e deturpati. Il dolore senza nome non
consente presenza dignitosa,
dissimularlo a lungo è impresa vana,
schizza fuori lancinante e spiacevole
sorpresa. Meglio una muta assenza in morte incessantemente
ripetuta. Altri risorgeranno,
cantando a tono*. *Le vittime, se bianche, possibilmente bionde, sono
accolte; se di colore e impresentabili, sono respinte.