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giovedì 29 febbraio 2024

LA COSTRUZIONE DI UN SISTEMA DI GUERRA     
di Alfonso Gianni

La pacifista Meloni
 
Da gennaio in poi stiamo assistendo a un susseguirsi di accordi di cooperazione in materia di sicurezza fra l’Ucraina e diversi stati europei, sia che facciano parte della Ue che no, ed anche d’oltreatlantico. A partire dal 12 gennaio di quest’anno, tali accordi bilaterali, che più propriamente e realisticamente dovremmo chiamare di alleanza militare, sono stati firmati dalla Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e da ultimo Italia e Canada. Il tratto comune di questi accordi, che rivela apertamente la loro finalità, consiste nel riferimento a una collaborazione immediata e rafforzata tra le due parti con un sistema di risposta di emergenza in 24 ore da attivarsi su richiesta di uno dei due contraenti il patto in caso di un futuro attacco armato da parte della Russia. Infatti all’articolo 11, primo comma, dell’accordo fra Italia e Ucraina si legge: “In caso di futuro attacco armato russo contro l’Ucraina, su richiesta di uno dei partecipanti [ovvero Italia o Ucraina], questi ultimi si consultano entro 24 ore per determinare le misure successive necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressione”.


Chi subisce la guerra

Per comprendere di quali misure si sta parlando, si può continuare a leggere il testo dell’accordo che impegna il nostro paese: “L’Italia afferma che in tali circostanze […] fornirà all’Ucraina, a seconda dei casi, un sostegno rapido e sostenuto nel campo della sicurezza e della difesa, dello sviluppo delle capacità militari e dell’assistenza economica, cercherà di raggiungere un accordo in seno alla Ue per imporre costi economici e di altri tipo alla Russia o a qualsiasi altro aggressore e si consulterà con l’Ucraina in merito alle sue esigenze nell’esercizio del diritto di autodifesa sancito dall’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite”. Quindi sostegno all’economia, armi, tecnologia militare, incrudimento delle sanzioni economiche nei confronti del paese aggressore nonché tutto ciò che potrebbe derivare da una interpretazione espansiva del diritto di autodifesa. Alcuni accordi prevedono la misura esatta dello stanziamento economico, come ad esempio quello firmato dal premier canadese Trudeau che promette per l’anno in corso 2,25 miliardi di dollari. L’Italia è stata più evanescente riguardo alle cifre da stanziare. L’articolo 17 dell’accordo esclude qualsiasi “costo aggiuntivo per il bilancio dello Stato della Repubblica italiana e dell’Ucraina”, ma il contributo finanziario fornito in passato dal nostro paese è stato, come sappiamo, già molto consistente.


Chi subisce la guerra dei criminali

Complessivamente calcoli ufficiali stimano che gli accordi firmati dai sei paesi citati superano già la cifra di 20 miliardi di dollari.  Ma gli accordi non si limitano a ribadire il già fatto e il già dato. Siamo di fronte ad un salto di qualità ma in negativo. Cioè alla strutturazione di un sistema di guerra che va al di là dell’eventuale cessazione del fuoco e della conclusione di una conseguente trattativa fra Russia e Ucraina, di cui peraltro ora non si vedono le premesse, pur essendo la guerra su quel fronte in uno stato di stallo. Non contenta di quanto finora ottenuto, l’Ucraina è in “negoziazioni attive” con il Giappone, mentre ha aperto negoziati con altri paesi, quali la Romania, i Paesi Bassi, la Svezia e forse la Polonia, stando a quanto ha dichiarato Ihor Zhovkva, consigliere per la politica estera del presidente ucraino, a una giornalista di Euractiv.com.


Italia-Ucraina accordi di guerra

Questi accordi hanno durata decennale. Da un lato si moltiplicano per rispondere alla attuale impossibilità di accettare l’Ucraina nella Nato in base all’articolo 10 del suo statuto che prevede la possibilità di invitare nuovi paesi europei ad aderire al Trattato purché condizionata alla possibilità di questi “di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. Il che non potrebbe avvenire per un paese in stato di belligeranza. Dall’altro lato, favoriti dalla loro durata decennale, questi accordi vogliono costituire un precedente per rendere ancora più semplice l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, appena le condizioni lo possano permettere. Su questo l’Accordo firmato della Meloni è esplicito, poiché l’articolo 14 recita: “I Partecipanti [ovvero i firmatari dell’Accordo] collaboreranno per aiutare l’Ucraina a realizzare le forme necessarie nel suo percorso verso la futura adesione alla Nato”.


Guerra 

Insomma questi accordi di alleanza militare sono insieme sostitutivi, nell’immediato, quanto propedeutici, in un non lontano futuro, all’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica. Nello stesso tempo il loro fine e il loro effetto più prossimi sono prolungare la guerra, impedendo il cessate il fuoco e l’apertura di trattative di pace. Lo dimostra anche la mossa del solito Macron che ha immediatamente parlato della possibilità dell’invio di truppe europee nello scacchiere ucraino, visto anche il fallimento della controffensiva nei confronti degli aggressori russi, su cui Zelensky aveva fondato la sua propaganda nei suoi giri europei, e vista la difficoltà di impiegare forze fresche al fronte da parte di Kiev. La boutade del premier francese ha suscitato immediate reazioni negative e smentite, anche da parte italiana, ma è evidente che non si tratta di una distrazione o di una battuta di spirito, quanto di una ulteriore spinta verso l’appesantimento di quel clima di guerra in cui da tempo l’Europa è immersa.



Lo stato di stallo nel quale attualmente verte il conflitto russo-ucraino non è certo una sorpresa. L’ex capo di stato maggiore americano, Mark Miley, lo aveva previsto da tempo e ne aveva tratto la convinzione che nella primavera di quest’anno sarebbero iniziate, quasi per forza di cose, trattative per concludere in qualche modo una guerra impossibile ad essere vinta per entrambi i contendenti. Una previsione legata all’andamento dello scontro sui campi di battaglia e alla valutazione della potenza delle armi e della quantità di munizioni in mano all’Ucraina, che, a differenza della Russia che le produce a ritmi sostenuti, è costretta a chiederle in giro per il mondo. A questo va aggiunta l’incertezza del quadro politico statunitense con la pervicace presenza di Trump nella competizione per le elezioni presidenziali del 5 novembre prossimo. In questo quadro la continuità del sostegno finanziario e militare degli Usa all’Ucraina è messo in dubbio. È un altro dei motivi degli accordi bilaterali voluti e ottenuti da Zelensky sia dentro che fuori dal contesto europeo.



Ma vi è di più. Creare e appesantire un clima di guerra, costruire un vero e proprio sistema di guerra, dal piano culturale a quello economico, da quello della produzione di armi a quello di una tecnologia piegata a impieghi bellici, è funzionale a qualcosa che va al di là del conflitto in corso. Riguarda direttamente la possibilità – che molti analisti americani considerano inevitabile – di un conflitto dalle proporzioni ben più catastrofiche fra Usa e Cina. Gli analisti militari la chiamano “la trappola di Tucidide” che si verifica ogni volta, a partire dallo scontro fra Sparta e Atene di ben oltre duemila anni fa, che una potenza emergente mette in discussione il primato su un certo territorio, in questo caso l’intero mondo, di quella dominante, nella quale  compaiono evidenti i segni di un declino. Ed è questa la situazione e la relazione nella quale si trovano attualmente Usa e Cina. Non so se può bastare un incidente per fare deflagrare il conflitto fra due potenze nucleari. Quello che è certo è che uno stato psicologico delle popolazioni preparato ad una simile prospettiva di guerra mondiale, dopo tanti decenni di pace apparente, è funzionale ad un simile disegno. L’abitudine allo stato di guerra ne favorisce l’estensione e l’aggravamento da tutti i punti di vista. Servirebbe dunque un’Europa, una Unione europea che, anche in virtù della sua massa critica, agisse politicamente ed economicamente per evitare questo esito. La transizione egemonica mondiale da Ovest ad Est è probabilmente un processo storico inarrestabile. Ma non sta scritto che debba avvenire, come nelle precedenti transizioni, come un esito di una guerra, che in questo caso, lascerebbe poche speranze per la sopravvivenza delle specie viventi su questo nostro pianeta.

PER UNA CULTURA DELLA SPERANZA
di Pietro Civitareale



L'attuale crisi politica ed etico-sociale degli Stati europei e non è sotto gli occhi di tutti e i mezzi di comunicazione di massa ne parlano a proposito e a sproposito: Si parla anche, con ossessiva ripetitività, della violenza interpersonale, nelle famiglie, sulle strade, nelle comunità in genere; della corruzione che dilaga ad ogni livello istituzionale ed amministrativo; degli attentati contro la persona, la proprietà, la morale; della criminalità organizzata che sottrae alla Stato decine e decine di miliardi di euro all'anno. Ciò di cui, non si parla affatto, o non si parla a sufficienza (e che, più di quanto non appaia, è strettamente legato alla situazione economica, morale e civile di un popolo) è la crisi culturale e spirituale dell'uomo del nostro tempo sempre più preda d'una pecorile sudditanza agli idoli della mondanità, ai feticci del successo ad ogni costo. Egli ha tutto e, avendo tutto, non si aspetta più nulla dalla vita. Ha smesso persino di guardare avanti, di scrutare il futuro. Ciò che per lui conta è il presente, il qui ed ora. Animale ammaestrato e senza più sentimenti e capacità di ragionare, si limita e ripetere i gesti e le parole che gli hanno insegnato, come se il senso dell'esistenza fosse rimasto altrove, scomparso negli effimeri miracolismi dell'immediato e del contingente, dimenticando, in tal modo, che il progresso materiale, esteriore, meramente strumentale, non dà mai nulla per nulla, che ciò che dà se lo riprende con gli interessi, che il mondo nuovo diventa come il vecchio che ha soppiantato, lasciando che ad ogni cambiamento sopravviva soltanto la sofferenza umana.



Il fatto è che il primato della coscienza sui fatti, il primato del pensiero sulla prassi, il primato, cioè, della cultura sulla politica, come è stato in passato, non esiste più. Il modo stesso in cui gli Stati odierni impostano il problema dello sviluppo sociale e civile è quanto meno discutibile, perché si basa sull'idea che le condizioni economiche, e la politica che ne deriva, sono di primaria importanza per la vita umana, connotano l'identità stessa dell'individuo, mentre non c'è stato un solo esempio, in tutta la storia dell'umanità, in cui la politica si sia rivelata matrice delle condizioni culturali di un popolo e la cultura qualcosa di separato e marginale rispetto ad essa. Semmai, il problema va posto in maniera diversa, nel senso, cioè, che teoria e prassi, conoscenza ed esperienza, cultura e politica sono imprescindibili, si alimentano reciprocamente; e se una priorità esiste essa appartiene alla cultura e non alla politica. L'idea stessa di organizzazione e di gestione di una comunità, prima di appartenere al mondo della politica appartiene al mondo della cultura. Platone, Aristotele, Sant'Agostino, Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro, Rousseau sono lì a testimoniarlo con i loro scritti. Per Platone, ad esempio, sono i filosofi i reggitori dello Stato, coloro cioè che possiedono la sapienza se non la verità (ma per Platone sapienza e verità sono la medesima cosa), per cui il venir meno della conoscenza, il venir meno del pensiero, il venir meno delle risorse spirituali e intellettuali equivale al venir meno dello Stato stesso. 



Parlando di cultura, inoltre, non intendiamo riferirci esclusivamente alla cultura occidentale (ossia ad una cultura specifica), ma a tutte le culture del mondo, considerate nella loro diversità. Non ignoriamo che l'uguaglianza è un'antica aspirazione dell'uomo, ma nella cultura il concetto prevalente è sempre stato quello della diversità. Il pluralismo delle culture non implica necessariamente il relativismo dei valori. Preso atto che ogni sistema culturale non è il centro del mondo, che le presunzioni di superiorità sono ingiustificate, l'unica strada da percorrere è quella della intercultura, del decentramento del soggetto, nella convinzione che una cultura, intesa come realtà omogenea e integrale, non è di nessun aiuto alla vita in un mondo che sta diventando sempre più locale e sempre più globale. Sarebbe molto più utile riconoscere che identità e diversità culturale costituiscono aree di scambio, di supporto ed apporti reciproci, che è necessario tendere alla creazione non di un mosaico multiculturale (con le sue barriere interne, erette in nome dell'appartenenza, come avviene in certe particolari zone del Pianeta), ma di spazi in cui ciascuno possa vivere con la propria faccia e la propria storia. Ma, soprattutto, bisogna tendere ad un tipo di cultura fondato su una concezione finalistica dell'esistenza, una cultura che sancisca la distinzione tra mezzi e fini, ritenendola un fondamento dell'atto morale. Una cultura la quale, distinguendosi dal pragmatismo oltranzista della modernità (che nega una tale distinzione, considerando il fine d'ogni azione uno strumento per un fine ulteriore, in un processo di continuità, di mezzi e fini), non rifiuti un'ipotesi metafisica, una prospettiva teleologica, un sapere in grado di sovrapporsi al sapere delle singole scienze. Una cultura, in definitiva, matrice di valori durevoli, capace d'assolvere ad una funzione inaugurale e fondativa della speranza, nella convinzione che soltanto in una tale cultura l'uomo può trovare la soluzione al problema della sua funzione e delle sue ragioni di vita; insomma, delle sue finalità destinali.
 
[Firenze, Febbraio 2024]

 

AL CIRCOLO BOVISA




mercoledì 28 febbraio 2024

CINISMO DI STATO
di Maurizio Vezzosi
 


Il presidente francese Emmanuel Macron ha ammesso che l'invio di truppe di paesi NATO in Ucraina “non è escludibile”, con un tono che dava ad intendere questa possibilità come nient'altro che una questione di tempo. Alla dichiarazione di Macron hanno poi fatto seguito quelle del cancelliere tedesco Scholtz e di vari altri rappresentanti di alto livello - Italia, Svezia ed altri - che hanno significativamente preso le distanze dalle esternazioni dell'Eliseo. A dieci anni dall'epilogo di Maidan l'Europa si trova alle prese con la peggior guerra combattuta nel continente dal 1945 ad oggi. Una guerra voluta ad ogni costo speculare ad una pace sabotata ad ogni costo sulla pelle di milioni di ucraini e di russi. Se in quanto a cinismo le cancellerie occidentali - su tutte Londra e di Washington - avessero davvero qualcosa da invidiare al Cremlino la conta delle vittime non avrebbe superato quota mezzo milione e l'Ucraina non sarebbe diventata quello che ad oggi si trova ad essere: il paese povero d'Europa, ridotto al rango di campo di battaglia e di serbatoio di reclute nonostante un enorme potenziale agricolo, minerario ed industriale ereditato dal periodo sovietico. Il paese più demograficamente e democraticamente depresso d'Europa, così come probabilmente quello con il maggior numero di invalidi e di emigrati: privo di una reale struttura economica e di ogni sostanziale sovranità. Uno scenario poco prossimo alle “magnifiche sorti e progressive” che un decennio or sono, venivano prospettate al popolo ucraino con la destituzione di Viktor Yanukovich ed il corso antirusso.

martedì 27 febbraio 2024

LA DOCCIA FREDDA
di Luigi Mazzella


 
Le elezioni regionali in Sardegna
 
Per il risultato deludente delle elezioni regionali in Sardegna, la “pulzella della Garbatella” ha ruotato minacciosamente l’ascia di guerra (che mantiene, idealmente parlando, sempre tra le sue mani, salvo che nella fase degli abbracci ai numerosi capi di Stati esteri che incontra a dozzine), minacciando di lanciarla contro Matteo Salvini, accusato di essere stato responsabile dello “schiaffo al governo” dato dai sardi. Il calo dei votanti ha investito, però, anche la Lega, e ciò ha prodotto anche all’interno del Movimento recriminazioni verso il suo Segretario, ritenuto responsabile di avere fatto una politica suicida per ragioni ben diverse da quelle enumerate dalla Meloni. Probabilmente, è il caso di fare un po’ di chiarezza, perché gli aspetti della vicenda sono complessi. La vittoria della coalizione di centro destra alle ultime elezioni politiche non ha significato per molti Italiani che hanno dato il voto all’esangue Taiani e al focoso (solo apparentemente) Salvini un’accettazione di un inevitabile ritorno del fascismo pur dopo il disastro degli sciagurati anni all’inizio del secolo scorso. La distruzione del Paese, determinata dalle follie belliche di Mussolini, è uno spettro che ancora si aggira sullo Stivale e spaventa non solo quelli che l’hanno vissuta ma anche le giovani generazioni. Le intenzioni di Guido Crosetto di trasformare sostanzialmente il suo ruolo da Ministro della Difesa in quello di Ministro della Guerra con l’istituzione di un esercito di riservisti fa temere che il “gigante” di palazzo Baracchini si riprometta pure di ripristinare la leva obbligatoria ed ha fatto accapponare la pelle dei giovani Italiani con non aspirano a essere un popolo di eroi, pronto a morire per Zelensky e Netanyahu. Certo: molti di quei giovani avevano dato il voto a Giorgia Meloni ma essa prima di insediarsi a Palazzo Chigi si era dichiarata per decenni contraria alla NATO e all’Unione Europea, pronunciando parole di fuoco contro l’Euro. 



È vero che tali posizioni, però, erano state clamorosamente “smentite” ma il voltafaccia non aveva convinto tutti i suoi votanti; a parte la considerazione che gli Italiani refrattari al motto del “credere, obbedire e combattere” confidavano comunque nel “vocione” altisonante di Salvini (in coro con la flebile, troppo flebile, voce del successore di Berlusconi), per evitare il peggio. 
Ed invece… senza che il segretario della Lega muovesse in modo efficace un solo dito, “il popol morto” di carducciana memoria ha dovuto assistere, con lo strombazzamento dei media (subito convertiti al Verbo Meloniano dalle Sirene di Wall Street e della City):
a) alle effusioni poco protocollari della “pulzella” a Zelensky, sorretto dalle sue muliebri braccia in aggiunta a quelle muscolose dei militari dei battaglioni neo-nazisti Azov; b) agli abbracci e agli sguardi di languida simpatia rivolti dalla medesima al ”demente” Joe Biden, apparso desideroso più che altro di non cascare per la possibile, conseguente perdita dell’equilibrio;  c) alle attestazioni di vicinanza emotiva a Benjamin Netanyahu, in preda a convulsivi tentativi di torva emulazione di massacri  condannati dalla Storia; d) all’invio di armi costruite con le tasse imposte agli Italiani in Ucraina (ed eventualmente,  in Israele, in attesa di avere un “via libera”, che, fortunatamente, non è arrivato dagli USA); e) alle manganellate feroci a studenti di scuole medie riunitisi per attestare solidarietà ai Palestinesi di Gaza; f) a manovre, probabilmente suggerite dai protettori statunitensi, di fare piazza pulita con l’uso politico della giustizia di individui scomodi pure se simpatizzanti dei partiti di governo.



Su queste vere o asserite “colpe” vi sarebbe da meditare, perché, secondo molti osservatori politici, le cose, anche a breve, potrebbero cambiare. Negli States le cose non sembrano andare bene per i Democratici e i Repubblicani (Trump o non Trump al voto) non dimostrano di avere lo stesso spirito guerriero di Biden (e, di conseguenza, della nostra “pulzella”, che potrebbe essere indotta a riporre l’ascia di guerra e a rinunciare al titolo che ha reso celebre nella storia Jeanne d’Arc). Inoltre, quando il vento in Italia comincia a cambiare direzione, il girellismo diffuso in politica diventa inarrestabile e piuttosto rapido.
Per i partiti non guerrafondai un mutamento del sistema elettorale che dia voce a una vera maggioranza (50+1), troncando la prassi del governo di una minoranza (prassi anch’essa fascista, come dimostra la legge Acerbi di mussoliniana memoria ma, in effetti, da ritenere del tutto incompatibile con realtà sociale dove la lotta politica si svolge pressoché esclusivamente tra “assolutisti” intolleranti di vari “credi”) potrebbe dare spazio, con il recupero del voto degli astensionisti, in stragrande prevalenza contrari al bellicismo (ormai divenuto, per magia statunitense, sia fascista e sia comunista) e dare respiro a forze politiche non ideologizzate. Conclusione: le elezioni europee potrebbero essere il banco di prova per “ravvedimenti attuosi”! Sempre che chi può compierli, abbia sufficiente coraggio per metterli in atto.
 

 

 

 

 

 

PREMIERATO
di Alfonso Gianni



Ireferendum indispensabile.    
 
Il disegno di legge Calderoli sulla autonomia differenziata ha superato il voto del Senato ed ora dovrà essere esaminato dalla Camera. Calderoli ha cantato vittoria, ma il percorso del suo provvedimento è tutt’altro che privo di ostacoli. Il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare (per abbreviare: Lip) che modifica parti del titolo V della Costituzione sciaguratamente introdotto dal centrosinistra nel 2001, è stato respinto con voto negativo dal Senato. Esito tutt’altro che sorprendente, visti i rapporti di forza esistenti. Eppure non è stata vana la presentazione, poiché ha saputo prima aprire una discussione nel paese, poi costringere l’aula del Senato a parlarne, quindi unificare le opposizioni, dall’Alleanza Verdi Sinistra fino ad Italia Viva, passando per il Pd e il M5stelle, nel voto a favore della Lip. Di questi tempi non è poco. Ora la Lip bocciata al Senato potrebbe essere ripresentata alla Camera dalle forze di opposizione e mettere bastoni tra le ruote del cammino del ddl Calderoli. Ma soprattutto vi è la possibilità, oltre a quella di ricorrere a un referendum abrogativo, che una regione possa in tempi brevi “promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge.” (secondo comma dell’articolo 127 della Costituzione). In questo senso si sono già pronunciati il Presidente della Giunta campana e quello della Giunta pugliese. Non solo, ma è anche possibile che un comune, come è stato richiesto esplicitamente al comune di Napoli da Massimo Villone presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, apra una consultazione tra i cittadini sulla legge. Se avvenisse si metterebbe ancora più in luce l’opposizione di parti considerevoli e in alcune regioni maggioritarie della società civile al progetto governativo che promuove la secessione dei ricchi e lo spaccamento dell’Italia in un sistema di staterelli-regione. Vedremo nei prossimi giorni.



Intanto la maggioranza di governo è dovuta ricorrere a modifiche al suo stesso testo sul premierato, viste le evidenti incongruenze che esso conteneva. Ma le modifiche apportate non migliorano il primitivo disegno di legge costituzionale, anzi per molti aspetti lo peggiorano e lo rendono persino più confuso e contradditorio. A quest’ultimo riguardo basta fare un esempio che concerne la questione di cosa succede a seguito di una fiducia negata al governo. Il nuovo testo emendato si “dimentica” di normare il caso della bocciatura della questione di fiducia posta dal Governo ad un articolo di legge, come l’articolo unico di conversione di un decreto legge (caso frequentissimo come sappiamo) o ad un emendamento. Che deve fare in questo caso il Presidente della Repubblica? Sciogliere le camere o cercare di mettere in piedi un nuovo governo? O che altro? Il nuovo testo governativo non lo dice, il che è indice – come ha giustamente scritto il costituzionalista Francesco Pallante – “di un dilettantismo o di un cinismo senza pari” o di entrambe le cose, aggiungerei.
Tuttavia non sono tanto queste incongruenze ad allarmare, quanto il fatto che la sostanza del disegno meloniano rimane inalterata. La Presidente del consiglio vuole annichilire la funzione del Parlamento e del Presidente della Repubblica da ogni punto di vista, in modo di lasciare mano libera al o alla Premier eletto/a dal popolo. Un simile disegno si può solo sconfiggere non emendare. È in gioco la sopravvivenza della Repubblica nata dalla Resistenza che la Meloni vuole cancellare per dare vita alla cosiddetta Terza Repubblica. 



Per farlo deve smantellare la natura parlamentare del nostro sistema democratico, l’equilibrio esistente tra i suoi poteri. Lo vuole fare tramite uno stravolgimento del testo costituzionale e una nuova legge elettorale marcatamente maggioritaria con premio di maggioranza. Anche se nel testo finale non dovessero comparire soglie sopra le quali dovrebbe scattare tale premio, ciò che importa alla Meloni è sancire in Costituzione il principio maggioritario. Sarà poi una nuova legge elettorale a fare il resto. La questione fondamentale è quindi che in seconda lettura il ddl governativo non venga approvato con la maggioranza dei due terzi, che impedirebbe la convocazione del referendum. Ma ecco che esponenti della destra governativa e del centrosinistra, Pd compreso, (da Marcello Pera a Stefano Ceccanti, passando per Pietro Ichino, Enrico Morando, Angelo Panebianco, per fare solo qualche nome) si muovono per trovare un’intesa bipartisan nella speranza che un maquillage al testo governativo spinga i due terzi del parlamento a votarlo. Un tentativo che va respinto alla radice. Non solo perché non cambierebbe il principio dell’accentramento dei poteri in un’unica persona, ma anche perché sarebbe clamoroso che proprio su un disegno di legge che vorrebbe affidare al popolo la scelta del premier, sia vietato al popolo di potersi esprimere tramite referendum.    

 

NUMERI DALLA SARDEGNA
di Franco Astengo



Nel corso della campagna elettorale i partiti nazionali hanno molto insistito sul considerare le elezioni regionali sarde di domenica 25 febbraio un test di carattere politico generale: in questo senso allora l'analisi del voto dovrà anche transitare nel rapporto con l'esito delle elezioni politiche 2022 e non soltanto riferirsi da elezione regionale e elezione regionale.
I dati che saranno qui riferiti si rivolgono all'esito di 1822 sezioni su 1844 (le 22 rimanenti saranno esaminate dai rispettivi Tribunali di competenza) ma possono essere considerati validi per eseguire una comparazione tra cifre assolute (l'unico metodo che permette di comprendere gli scostamenti effettivi tra lista e lista, con le percentuali calcolate sul totale degli aventi diritto che nel caso assommavano a 1.447.753).
Prima di addentrarci nei numeri valgono però alcune premesse:
a) le elezioni sarde hanno fatto registrare il minimo scarto assoluto tra i candidati presidenti nella storia dell'elezione diretta;
b) la vittoria della coalizione centro-sinistra/M5S è stata dovuta all'exploit della candidatura Todde capace di raccogliere 40.301 voti in più rispetto alle liste coalizionali (il 12%). Si tratta di un dato proveniente da una situazione oggettivamente periferica che sottolinea ancora il dato riguardante il peso assunto dalla visione personalistica della politica.



I principali punti ai quali rivolgere l'attenzione sono questi:
1) la partecipazione al voto;
2) il grado di volatilità;
3) il rapporto tra candidati-Presidente e liste collegate;
4) la struttura del sistema politico sardo dopo il voto.
Andando per ordine:
a) la partecipazione al voto. Sia pure in dimensione ridotta rispetto al più recente passato prosegue la discesa nella partecipazione, almeno dal punto dell'espressione di voti validi (il dato che conta davvero). Nel 2019 i 7 candidati alla presidenza ricevettero 761.833 voti validi, nelle politiche 2022 i voti validi espressi sono stati 685.533 (con un numero inferiore di aventi diritto, per via del voto all'estero), nelle regionali 2024 i 4 candidati alla presidenza hanno avuto 728.482 voti (meno 33.351 tra elezione regionale e elezione regionale). Per quel che riguarda le liste: 24 erano in gara nel 2019 ricevendo 714.002 voti, altrettante 24 liste sono state presenti nel 2024 ricevendo 681.915 voti (meno 32.087).
b) il grado di volatilità e il rapporto candidature presidenziali e liste collegate. Candidati alla presidenza: nel 2019 Solinas fu eletto con 364.059 voti (percentuale sul totale degli aventi diritto: 24,75%), nel 2022 Truzzu è stato sconfitto con 327.695 suffragi (percentuale sul totale degli aventi diritto: 22,63%). L'arretramento effettivo del candidato di centro destra è dunque del 2,12%). Liste di centro destra. Verifichiamo l'andamento delle liste nazionali passando anche attraverso l'esito delle elezioni politiche 2022: Lega nel 2019 81.421 voti, politiche 2022 42.860, regionali 2024, 25.589 ( tra il 2019 meno 55.382 voti); Fratelli d'Italia nel 2019 33.716 voti , politiche 2022 161.771, regionali 2024 92.963 (tra il 2019 e il 2022 più 128.055, tra il 2022 e il 2024 meno 68.808: in percentuale sul totale degli aventi diritto  da 12,04 a 6,42%); Forza Italia nel 2019 57.430 voti, nel 2022 58.849, nel 2024 43.149 ( tra il 2019 e il 2022 più 1419, tra il 2022 e il 2024 meno 15.700). Nel complesso delle liste di centro destra: nel 2019, 370.336 voti (25,43% sul totale degli aventi diritto) nel 2022 277.822 voti (20,69% sul totale degli aventi diritto) nel 2024 333.050 voti (23,00 sul totale degli aventi diritto). Lo scarto tra candidatura presidenziale e voti di lista è stato nel 2019 e nel 2022 favorevole al voto di lista: per 6.277 voti nel 2019 e per 5.355 nel 2024 (quindi come è già stato fatto notare non c'è stato effetto dal voto disgiunto). Nella situazione sarda è interessante valutare anche la parabola dello storico Partito Sardo d'Azione schieratosi nel 2019 e nel 2024 con il centro-destra: 2019 70.434 voti, nel 2024 36.958 (meno 33.476).



Sul versante del centro-sinistra la cui candidatura presidenziale di Alessandra Todde è risultata vincente l'analisi deve tener conto di un dato fondamentale. Nel 2019 si verificarono due candidature separate tra Centro-Sinistra con Zedda e M5S con Desogous: Zedda ottenne 250.797 suffragi (18,41% sul totale degli aventi diritto) Desogus 85.342 (5,80% sul totale degli aventi diritto). Ricordato che nelle elezioni politiche 2022 la coalizione di centro sinistra ottenne 184.853 voti e il M5S 149.460 non si può che rilevare come risulterebbe arbitraria qualsiasi comparazione con la somma dei dati di centro-sinistra e M5S tra il 2019, 2022 e il risultato ottenuto dalla candidatura Todde nel 2024: ci limitiamo allora ad esporne i dati. La candidatura presentata dal centro-sinistra unitariamente con il M5S ha ottenuto 330.619 suffragi per una percentuale, sul totale degli aventi diritto del 22,83% (in flessione dell'1,92% rispetto all'eletto Solinas nel 2019). La candidatura Todde ha avuto un incremento rispetto alle liste di sostegno di 40.301 voti. L'analisi delle liste di dimensione nazionale tra il 2019, 2022 e 2024 ci indica questi dati: il Partito Democratico nel 2019 aveva ottenuto 96.235 suffragi (6,54% sul totale degli aventi diritto) saliti a 128.438 nel 2022 (9,56% sul totale degli aventi diritto) e tornati a 94.238 nel 2024 (si apre qui il capitolo sul proliferare delle liste d'appoggio più o meno civiche: in ogni caso 6,50% rispetto al totale degli aventi diritto con una flessione tra il 2019 e il 2022 dello 0,6%). Il Movimento 5 stelle (presentatosi al di fuori dalle coalizioni nel 2019 e nel 2022) ottenne nel 2019 69.573 voti (4,73% sul totale degli aventi diritto) nel 2022 149.460 voti (11,13% sul totale degli aventi diritto) nel 2024 53.005 voti (pari a 3,66 sul totale degli aventi diritto con una flessione tra il 2019 e il 2024 dell'1,07%). Si può tentare un parallelo tra i voti di Leu nel 2019 e quelli di AVS nel 2022 e nel 2024: Leu nel 2019 ebbe 27.077 suffragi (1,84% sul totale degli aventi diritto) AVS nel 2022  34.858 voti (2,59% sul totale degli aventi diritto) nel 2024 31.815 (2,19% sul totale degli aventi diritto con un incremento reale sul dato di Leu 2019 dello 0.35%). Nello schieramento di centro-sinistra c'è da tener conto della presenza di numerose liste di sostegno orientate a sinistra (Partito Socialista, Demos, Sinistra Futura, ecc). Nel 2019 queste liste assommarono a 94.513 voti (4,37% sul totale degli aventi diritto) nel 2024 i voti di queste liste sono saliti a 111.260 (7,76% sul totale degli aventi diritto con un incremento del 3,39% sul totale degli aventi diritto). In sostanza nello schieramento di centro-sinistra i partiti nazionali (PD, M5S e AVS) hanno sommato nel 2024 il 12,35% sul totale degli aventi diritto mentre le liste di appoggio di impronta locale hanno messo assieme il 7,76%. In totale le liste della coalizione di centro-sinistra più M5S hanno contato sul 20,11% dell'intero elettorato mentre quelle di centrodestra il 23,00. La vittoria del centro-sinistra nasce quindi dal più 40.301 ottenuto dalla candidatura Todde.



Ricordato che nel 2019 erano presenti altre 3 candidature per complessivi 36.076 voti (2,45% sul totale degli aventi diritto) rimane da esaminare l'esito della candidatura Soru e delle liste che lo hanno appoggiato che non avendo raggiunto il 10% sul totale dei voti validi non saranno presenti nel nuovo consiglio regionale. La candidatura dell'ex-presidente della Regione ha avuto 63.021 voti (4,35 % sul totale degli aventi diritto). Le liste presenti nella coalizione (3 di natura locale e 2 di dimensione nazionale: più Europa alleata con Azione e Rifondazione Comunista) hanno avuto 54.509 voti (3,76% sul totale degli aventi diritto). Più Europa e Azione hanno avuto 10.825 voti, nelle elezioni politiche 2022 più Europa (inserita nell'alleanza di centro sinistra) aveva avuto 15.608 voti mentre Azione in alleanza con Italia Viva aveva avuto 31.571 voti (anche in questo caso sarebbe sbagliato tentare comparazioni con sommatorie arbitrarie). Rifondazione Comunista ha avuto 4.505 voti (0,31% sul totale degli aventi diritto): nel 2019 una lista di Sinistra Sarda con PRC e PdCI ebbe 4.308 voti mentre nelle politiche del 2002 Unione Popolare realizzò 10.735 suffragi.
c) la struttura del sistema politico sardo assume quindi l'assetto di un definito bipolarismo saltando l'intermediazione rappresentata dal M5S e non inserendo un terzo polo. Con tutte le cautele del caso è forse questo il dato che maggiormente può essere rapportato a dimensione nazionale: lo spazio per "terze forze" appare comunque fortemente ridotto, anche se si attende la verifica delle altre elezioni regionali precedenti le europee (Abruzzo, Basilicata) ricordando ancora una volta che il 9 giugno le elezioni per il Parlamento di Strasburgo si svolgeranno con la formula proporzionale con sbarramento al 4% e voto di preferenza e che l'election day di quel giorno comprenderà anche la Regione Piemonte e un numero di comuni superiore ai 3.000 con 25 capoluoghi.
L'esito delle regionali sarde ci indica anche che un capitolo di riflessione andrebbe aperto circa la distanza effettiva tra i due maggiori partiti che è apparsa di dimensione ben diversa rispetto ai sondaggi rovesciando i punti di partenza con il PD lievissimamente davanti a Fratelli d'Italia: ma davvero sarebbe azzardato avanzare ipotesi al riguardo.
 

SPIGOLATURA
di Filippo Lombardi



C’è chi si libera dei libri (li vende, li regala o addirittura li butta! - cosa  inaccettabile), mah!


Occupano molto spazio e rendono i traslochi quasi impossibili... è vero, ma è certamente un errore liberarsene, poiché come diceva Terzani in un documentario relativamente recente, “i libri ti trasmettono il loro sapere anche solo per osmosi, se li si ha attorno, se ci si vive in mezzo. Non è necessario sempre leggerli, ma sapere dove sono quando si ha bisogno di consultarli”. Diverso e complementare, è il leggerli in biblioteca (o il prenderli in prestito), o in libreria... È strano, misterioso, ma sono i libri che ti dicono quando vogliono essere letti (in che fase della nostra vita). Ma appunto, devono essere lì, li si deve respirare...
Detto questo, è vero che il 90 per cento dei libri che si stampano da (almeno) vent’anni a questa parte sono “falsi” libri, cioè contraddicono lo spirito con il quale sono stati scritti, stampati in principio (e cioè, per educare lo spirito delle persone, per svilupparne il senso critico e testimoniare “il selvaggio dolore di essere uomini” - leggera variazione del finale di “Ballata delle madri” di Pasolini) e, in questo senso, si potrebbero buttare, ma... Il rapporto fisico con i libri è fondamentale. Il rapporto cartale! L’e-book, non è niente.

[3 novembre 2017]

DEMOCRAZIA REPUBBLICANA
di Franco Astengo



L'evidente crescita dell'esercizio di una spirale repressiva da parte del governo di destra ha aperto uno scontro istituzionale il cui oggetto principale appare evidentemente il tema del premierato usato nell'intento di limitare la funzione di garanzia della Presidenza della Repubblica quale perno della centralità parlamentare nell'ordinamento repubblicano. Su questo punto avranno un grande valore gli esiti elettorali di questi mesi fino alle elezioni europee nella cui contesa (di cui è necessario avere coscienza della radicalità) sarà necessario portare con grande forza i temi della pace, della posizione dell'UE sullo scacchiere internazionale e della qualità della democrazia.
La prospettiva di fondo della fase in corso rimane però legata all'eventuale esito referendario sulla riforma costituzionale: passaggio da considerare prioritario e al quale andranno dedicate tutte le forze disponibili a condurre una iniziativa da portare avanti in nome del valore costituzionale della democrazia repubblicana.

PALAZZINA LIBERTY



Invitiamo il Comitato Palazzina Liberty Bene Comune e i cittadini milanesi a vigilare sulla ristrutturazione di questo elegante edificio della nostra città così bene incastonato nel parco e con una tradizione civile importantissima. Purtroppo gli amministratori di Milano (spesso con la distrazione della Sovrintendenza) hanno lasciato abbattere splendidi manufatti dei primi del Novecento, o farli sfigurare con innesti ibridi. Già la stampa raffinata e compiacente parla di restyling; usa un termine inglese per mascherare un orrore. Abbiamo letto nella lettera del Comitato di una sopraelevazione della Palazzina. Pessimo segno.

SULLA PALAZZINA LIBERTY



La Palazzina Liberty “Dario Fo e Franca Rame” finalmente in ristrutturazione. Che torni ad essere un bene comune!
 
Durante una recente riunione della Commissione Cultura - Quartieri, Partecipazione e Affari istituzionali del Municipio 4, alla presenza dell'assessore comunale Tommaso Sacchi, abbiamo appreso che il Comune di Milano ristrutturerà la Palazzina Liberty, a sue spese. Ricordiamo che già nel 2019 si era evidenziata la necessità d’intervenire sulla messa in sicurezza della Palazzina (il che ne aveva comportato la chiusura) ed era stato previsto un bando per affidarne a terzi la gestione, previa la ristrutturazione a loro carico.
Il bando non è poi stato indetto e siamo lieti che il Comune abbia deciso di affrontare direttamente il progetto. I lavori saranno ripartiti in due tranche: la fase 1 partirà a breve e riguarderà il piano rialzato, con la prospettiva di chiudere entro il terzo trimestre del 2024; la fase 2 concernerà il seminterrato, il cui completamento è previsto per il terzo trimestre del 2026. 
Nell’intervallo tra le due tranche sarà possibile una riapertura temporanea. I costi di queste operazioni saranno di € 540.000 (fase 1) e € 5.000.000 (fase 2). Quelli previsti nel 2021 erano € 3.000.000.
La differenza di costi, pressoché raddoppiati, può lasciare parecchio perplessi: si trattava di stime molto approssimative? Ci si è resi conto che il privato non avrebbe potuto affrontare questi esborsi? Oppure si è evidenziata una (innegabile) crescita dei costi per materie prime? Come cittadini e cittadine siamo interessati/e ad avere un chiarimento.
Ci pare comunque necessario ribadire che tale assunzione di costi da parte del Comune deve costituire la premessa vincolante per il mantenimento in mano pubblica del funzionamento della Palazzina a fine lavori, come in passato. Ne chiediamo una gestione realmente aperta e sociale, in relazione al suo essere bene comune, prezioso architettonicamente, e storicamente connotato da valori di democrazia, riconosciuti nel quartiere e nella città intera. Non può essere, insomma, il modo per assegnare più facilmente a un gestore privato quel bene, dopo aver “regalato” la sua messa in sicurezza, consegnandoglielo bell’e pronto e delegando alla sua programmazione. L’assessore Sacchi ha mostrato grande indeterminatezza sul processo di futura gestione, lasciando aperta la strada a più opzioni, inclusa anche, in prospettiva, quella da parte di un unico attore.
Sappiamo anche quanto manchino, nell'area del Municipio 4, spazi per le realtà sociali esistenti: anche se ormai informati a cose fatte (il progetto esecutivo della fase 1 dovrebbe essere pronto a fine febbraio) chiediamo che nella realizzazione del progetto, anche del piano rialzato, siano valorizzati spazi polifunzionali agibili tutta la giornata.     
Il Comitato Palazzina Liberty bene comune, nato nella primavera del 2022 per difendere la natura e la funzione pubblica di quel luogo, con una partecipata raccolta di firme e un grande presidio-spettacolo davanti alla Palazzina dedicata a Dario Fo e Franca Rame, attiverà un’interlocuzione con l’Assessorato per ribadire il principio di una gestione pubblica e plurale, aperta a un uso realmente sociale e diffuso della stessa, come luogo di elaborazione e fruizione della cultura.
Comitato Palazzina Liberty Bene Comune

OTTO MILIONI DI EURO PER CARRIARMATI

Trovate voi gli aggettivi adatti per costoro che ci governano.

BIBLIOTECA OSTINATA
Con Gaccione e Vitale




GUERRA E DEMOCRAZIA
Università Statale di Milano 




CESANO BOSCONE
Figliolia in Biblioteca




 

lunedì 26 febbraio 2024

SU NAVALNY E LO SCRITTO DI VEZZOSI
di Julia Pikalova



Egregi signori, scrivo a proposito dell’opinione espressa questa mattina (sabato 24 febbraio 2024) sulla vostra rivista riguardo a Navalny. La tesi principale “quasi nessuno in Russia è persuaso dall’ipotesi di un coinvolgimento diretto di Vladimir Putin” non corrisponde alla realtà. Viceversa, gli analisti russi seri che sono in sicurezza (cioè fuori dalla Russia) parlano del coinvolgimento di Putin. Naturalmente, nessuno a Mosca ne parlerà apertamente, perché per questo verrà immediatamente messo in prigione, come lo stesso Navalny. Comunque i russi più coraggiosi (400 di loro sono stati arrestati per aver portato fiori in memoria di Alexei) scrivono sui mazzi di fiori: “Non è morto, è stato ucciso”. Vi mando una foto scattata oggi.
 
L'autore pone tre domande: perché uccidere un oppositore già detenuto che non rappresenta alcuna minaccia rilevante per il potere costituito? perché ucciderlo dopo il clamoroso successo dell’intervista rilasciata al giornalista statunitense Tucker Carlson ed i possibili risvolti di questa? perché farlo a ridosso delle elezioni presidenziali di marzo? – Ci sono risposte a tutte e tre queste domande, sono già passati 9 giorni dalla morte di Navalny, gli esperti hanno parlato di questi temi. Brevemente:
1. Navalny è rimasto pericoloso anche in prigione. Le autorità volevano neutralizzarlo, privarlo del sostegno secondo il principio “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” e spezzarlo. Hanno fallito. Le indagini anticorruzione hanno continuato a essere pubblicate, il suo nome è rimasto ben noto, le sue famose lettere dal carcere “Ciao, sono Navalny” con grande umorismo hanno reso le autorità uno zimbello.
2. Un omicidio prima dell’intervista con Carlson avrebbe reso la morte di Navalny l’argomento principale della conversazione.
3. Navalny è pericoloso per Putin alla vigilia delle elezioni come lo è stato in tutti questi due decenni – né più né meno – poiché ne mina la legittimità. Adesso ha indetto una manifestazione a mezzogiorno il giorno delle elezioni (è difficile per me parlare di lui al passato). La manifestazione avrà comunque luogo e a Putin verranno comunque concessi i risultati elettorali desiderati.
 
Putin potrebbe facilmente confermare la sua innocenza. È sufficiente fornire le registrazioni delle telecamere di sorveglianza, che la Russia ha installato nelle carceri spendendo diversi miliardi di rubli dei contribuenti, e tutti potrebbero conoscere le circostanze della morte. Ancora una domanda: cosa stavano facendo con il corpo di Navalny per una settimana e mezza, perché lo hanno restituito a sua madre solo adesso, stasera, cosa nascondevano?
Anche se Putin non ha ordinato l’assassinio, la colpa resta comunque sua. Come nell’omicidio dimostrativo di Nemcov davanti al Cremlino e nell’omicidio della Politkovskaja nel giorno del compleanno di Putin. Hanno già tentato di uccidere Navalny in passato. Ora, in prigione, è stato sottoposto a tortura: fame, freddo, privazione del sonno, pressione psicologica e rifiuto di cure mediche. Cos'è questo se non un lento omicidio? Come ha scritto Angelo Gaccione, l’editore di questa rivista, era entrato vivo e doveva uscire vivo.
 
(NB. Dobbiamo discutere con i rivali politici, non gettarli in prigione a marcire. Putin non ha mai partecipato ad un dibattito in quasi 25 anni del suo governo!)
 
Dunque, mettere Navalny in una prigione lontana non ha dato i risultati desiderati, e con la sua morte l'attuale regime spera di demoralizzare la parte pacifista e anti-Putin dei russi – e Putin ha visto quanti sono numerosi durante le lunghe code per supportare Nadezhdin: in tutta la Russia la gente stava al freddo per firmare per l'unico candidato contro la guerra. (Naturalmente, in seguito, a Nadezhdin non fu permesso di partecipare alle elezioni.)
Ma il regime ha sbagliato i calcoli: Navalny ha creato una squadra così efficace, composta da individui forti, professionali e appassionati, che possono portare avanti la causa comune anche senza di lui. Inoltre, anche le persone che non lo hanno sostenuto pienamente, dopo il suo comportamento stoico in prigione e la sua morte – lo piangono. Infine, il suo carattere luminoso e il suo martirio potrebbero trasformarlo in un simbolo. È doloroso quando un uomo vivo diventa un simbolo. Ma non lo colpirà l'oblio. Continuerà ad influenzare il popolo anche dopo la morte. Non è morto – è vivo. 
Julia Pikalova



Testo in lingua russa
 
Навальный оставался опасен даже в тюрьме. Власть хотела его обезвредить, лишить поддержки по принципу «с глаз долой, из сердца вон», и сломить его самого. Это не удалось. Антикоррупционные расследования продолжали выходить, имя оставалось на слуху, его знаменитые письма из тюрьмы «Привет, это Навальный» с огромным юмором делали из властей посмешище.
Убийство до интервью с Карлсоном сделало бы смерть Навального основной темой разговора.
Навальный опасен Путину накануне выборов так же, как и в любой из этих двух десятков лет, так как подрывает его легитимность. Не более и не менее. Сейчас он призывал на акцию в день выборов в полдень (мне трудно говорить о нём в прошедшем времени). Акция всё равно пройдёт, а Путину всё равно сделают нужные результаты выборов.
 
Путин мог бы легко подтвердить свою непричастность. Достаточно дать запись с камер наблюдения, на установку которых в тюрьмах Россия потратила несколько миллиардов рублей налогоплательщиков, и все увидели бы обстоятельства смерти. Ещё один вопрос: что они делали с телом Навального полторы недели, почему выдали его матери только сейчас, час назад, что они скрывали?
 
Даже если Путин не отдавал преступный приказ, вина всё равно на нём. Как и в показательном убийстве Немцова на виду у Кремля, и в убийстве Политковской на день рождения Путина. Навального уже пытались убить и раньше. Теперь, в тюрьме, ему устроили пыточные условия содержания: голод, холод, лишение сна, психологическое давление, неоказание медицинской помощи. Что это, как не медленное убийство? Как написал редактор данного журнала, «он вошёл живым, и он должен был выйти живым».
 
С политическими конкурентами надо вести честные дебаты, а не бросать их гнить в тюрьму. Путин ни разу не участвовал в дебатах за почти 25 лет своего правления! 
 
Итак, упрятать Навального в далёкую тюрьму не дало нужных результатов, и смертью Навального нынешний режим рассчитывать деморализовать антивоенную антипутинскую части россиян – а Путин увидел, как их много, во время многочасовых очередей к Надеждину: люди по всей России стояли на морозе, чтобы поставить подпись за единственного антивоенного кандидата. (Конечно, к выборам Надеждина не допустили.)
 
Но режим просчитался: Навальный создал такую эффективную команду, состоящую из сильных, профессиональных, увлечённых личностей, которая может продолжать общее дело даже без него. Кроме того, даже люди, которые не полностью его поддерживали, после его стоического поведения в тюрьме и его смерти скорбят по нему. Наконец, его яркий характер и его мученическая смерть могут превратить его в символ. Больно, когда живой человек становится символом. Но зато его не постигнет забвение. Он и после смерти будет влиять.