Corte
dei Conti e Abuso d’Ufficio. 1)
"La proroga dello scudo erariale non solo non è necessaria ma rischia
di disincentivare gli amministratori virtuosi". Così
all'apertura dell'anno giudiziario il presidente della Corte dei Conti Guido
Carlino ha ribadito la contrarietà della Corte verso l'intenzione del Governo
che, attraverso il milleproroghe, intende prolungare il salvacondotto al giugno
2025 o al 2026 (scadenza PNRR) che solleva da responsabilità contabili gli
amministratori pubblici nel caso di colpa grave. Se
colleghiamo questo discorso alla scelta compiuta dal Governo nell'indicare il
nome del giudice contabile da inviare alla Corte dei Conti Europea ignorando le
indicazioni fornite dalla Corte stessa e rivolgendosi invece al magistrato che
dirige la struttura di missione del PNRR al Ministero registriamo un quadro di
attacco all'autonomia e all'indipendenza della magistratura contabile che -
appunto - sul tema dei controlli relativi al PNRR dimostra particolare
attenzione. Nel caso europeo così si registrerebbe infatti un caso evidente di
controllore/controllato; 2)
Il ddl presentato in Senato dal ministro Nordio sulla riforma della giustizia
include l'abrogazione del reato d'ufficio (articolo 323 del codice penale) che
scatta quando c'è un utilizzo illegale del potere pubblico per scopi personali
o per danneggiare altri. Si
tratta di due punti di iniziativa del Governo non collegati tra di loro che, forse
arbitrariamente, stiamo analizzando assieme per trarne una indicazione di
fondo: allentamento dei controlli e impunità sui comportamenti dei singoli
fanno parte di uno spostamento nella concezione del rapporto di equilibrio tra
potere e governo, già sbilanciato attraverso l'idea pronunciata di
personalizzazione della politica e di visione maggioritaria (che presiede anche
alla logica dello "spoil system"). Sarebbe così necessario tornare davvero al tema del governo per
scavare a fondo il significato vero del termine, chiamando in causa i
“fondamentali” della filosofia politica. Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per
culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di
diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del
semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana
rappresentata dal potere legislativo.In quale punto si è
innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza”
dimostrata anche dagli esempi portati in apertura di testo? Origina da lì il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di
nuove forme – autoritative – di governo e sorge anche una distinzione tra
“governance”, espressione di un potere articolato sul territorio e attraverso
gli istituti giuridici di garanzia e una risposta di natura sostanzialmente
neo-corporativa con il “governament” utilizzato per normalizzare le dinamiche
sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di un potere
centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni tecnicismi che
dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da dibattiti e
controlli giudicati inopportuni. Nel frattempo si è perso il ruolo di sede di confronto dialettico
da parte del Parlamento e nella suddivisione "classica" del potere e
l’idea di “governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il
fantasma della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica che
attraverso le modifiche costituzionali potrebbe approdare alla meta, agognata
da molti, della "democratura" limitando la democrazia a una funzione
"recitativa" di aggiornamento degli antichi dettami di Le Bon.