Un serial di Guy Ritchie Paradossalmente
i due Paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, Stati Uniti d’America e
Regno Unito di Gran Bretagna e, grazie all’efficienza cinica e spregiudicata e
alla capacità di penetrazione capillare dei rispettivi servizi d’intelligence,
diventati egemoni e sostanziali gestori della vita dell’intero Occidente sono
anche quelli che presentano una vita sociale e politica più caratterizzata
dalla violenza e dalla deboscia. Per una sorta di legge di contrappasso, essi
sono anche i due Paesi dove l’analisi delle condizioni di vita, aggressive e
sregolate, delle rispettive popolazioni è più incisiva e profonda.E così mentre opere di autori cinematografici e
televisivi dei Paesi Europei cincischiano, per l’Italia, nel “banal
grande” della vita cosiddetta popolare, provinciale o periferica; per la
Francia nella commedia “spiritosa a tutti i costi”, per la Germania nella
noia consueta e pesante… Inghilterra e Stati Uniti producono opere interessanti
che suscitano l’interesse degli spettatori, inducendoli a riflettere su quel
“tramonto dell’Occidente” preconizzato da Oswald Spengler (per il
quale Benedetto Croce si limitava a fare plebei “scongiuri”). Dal
bel film The gentlemen del regista-sceneggiatore inglese Guy Ritchie (e
interpretato da Matthew McConaughey e Hugh Grant) è stato tratta anche una
serie (in inglese: spin-off) con lo scopo, dichiarato dall’autore di espandere
il suo universo narrativo popolato di gangster e trafficanti di droga
della Londra divenuta swinging, dopo gli scandali di vario genere degli
anni Sessanta, (soprattutto dovuti all’incremento del traffico e dell’uso
di marijuana a partire dall’ambiente musicale).
Il “serial”
che ne è venuto fuori, in programmazione streaming su Netflix, risulta ancora
più ricco di situazioni surreali, condite da un britannico humour (nero), con battute rapide, fulminee e fulminanti, oltre che particolarmente
incisive.I personaggi sono, volutamente, tutti
sopra le righe e offrono agli spettatori una visione del mondo
criminale britannico densa di stimoli intellettuali.Le riflessioni cui il serial induce vanno,
infatti, al di là del racconto delle vicende che ha linee temporali appena
abbozzate. Dai dialoghi della storia narrata si possono desumere con
esplicita chiarezza le convinzioni del regista-sceneggiatore.A suo giudizio, i gentlemen inglesi di
oggi sono i criminali di ieri e i criminali di oggi saranno
i gentlemen di domani. In una frase del protagonista si afferma
testualmente: “Sai cosa ammiro dell’aristocrazia inglese? Che sono i precursori
dei gangster. La ragione per cui l’aristocrazia possiede il 75% di questo Paese
è che se l’è rubata. William il Conquistatore era peggio di Al Capone”. Alla
base dei fatti narrati e dei giudizi espressi c’è l’opinione che la “doppiezza”
degli esseri umani (fatta di un miscuglio intrecciato di bene e di male)
rappresenti il punto d’avvio e l’essenza soprattutto della religione cattolica.La Chiesa dei fedeli di Gesù, nel serial, è
rappresentata con l’immagine di un fortilizio di solida pietra dove,
secondo la nota teoria di Karlheinz Deschner (saggista tedesco autore di una
voluminosa Storia criminale delCristianesimo) il sacerdote
titolare della Parrocchia e responsabile del luogo di culto, detto “The
Gospel”, dirige una banda di spacciatori di droga che è la più forte e violenta
della. zona.Quell’incallito
malvivente spiega con chiarezza le motivazioni dei crimini della banda con
la doppiezza di Gesù, che parla d’amore ma spinge, al tempo
stesso, all’odio per gli infedeli (da ammazzare, senza pensarci due volte,
per la gloria di Dio). Nell’ultimo
episodio, “The Gospel” è indicato da un personaggio della storia come uno
spacciatore di droga molto “timorato di Dio” e il protagonista gli risponde: “è
il mix più pericoloso”!
Max Hamlet Sauvage "Cospiratore"
Il regista
non tocca né l’Ebraismo che pure è alla base del gangsterismo bancario
praticato alla City (e, poi, a Wall Street) né
l’Anglicanesimo-Calvinista che alle nefandezze del monoteismo
mediorientale giudaico-cristiano aggiunge un puritanesimo sessuofobico
tipicamente british, ma non credo che lo faccia per rispetto di
queste due religioni. Indirettamente,
ci mostra, per il secondo aspetto, tutta la falsità (tuttora
vittoriana) della buona società londinese, descritta con straordinaria
efficacia ed ironia come un melange molto divertente di
ipocrisia formale e sostanziale sregolatezza morale. Naturalmente,
i gentlemen, e i pastori della fede criminali che picchiano, rubano,
spacciano, sparano, uccidono, ingannano, truffano sono sempre e solo uomini
dotati intellettualmente, anche se con idee politiche perverse mutuate
dall’idealismo tedesco e continentale, soprattutto dalla destra hegeliana:
collezionano cimeli hitleriani perché al fondo la loro formazione
culturale è intrisa di malcelato nazi-fascismo; gli stupidi, i
candidi, gli ingenui, i balordi costituiscono la massa da
manipolare, subiscono il degrado progressivo della loro condizione
esistenziale quale che sia il punto di partenza e si consolano con
l’altro braccio dell’hegelismo, quello di sinistra. Altro
corollario che si può dedurre dall’opera di Ritchie è che come il lupo, anche
l’uomo cambia il pelo ma non il vizio: il selvaggio che con la clava ammazzava
gli animali, da aristocratico, per soddisfare il suo istinto di “dare la morte”
organizza, oggi, scenografiche, lussuose ed eleganti cacce alla volpe, con
divise variopinte, cani e cavalli pomposamente bardati. È questo “il succo
socio-politico” del bel “serial” di Guy Ritchie, interpretato da un ottimo Theo
James (protagonista anche del fortunato e acclamato The White Lotus),
da Joely Richardson, da Kaya Scodelario e da altri ottimi attori e
attrici.