La poetica di Annamaria De Pietro In una intervista rilasciata
qualche anno fa, Annamaria De Pietro rispondeva in questo modo a chi le
chiedeva di descrivere la propria poetica: “La mia poetica, a dispetto
dell’apodittico e del classicistico e del manieristico, io cerco sinceramente
di non prendermi sul serio; a un certo punto mi sono messa a scrivere, e l’ho
fatto, sul mio onore di gentiluomo, secondo una mia indefettibile spontaneità.
Si chiama “poetica”, va bene, e chiamiamola così, ma io forse preferisco
chiamarla pratica, laboratorio, officina: unici attrezzi un quaderno e una bic.
Ti giuro che in quello che sto dicendo non c’è neppure un briciolo di
civetteria al finto ribasso.” Del resto, secondo Annamaria la scrittura era un
fatto anche artigianale: “Nella tecnica della fusione a cera
persa – della scultura in bronzo, dell’oreficeria – il modello in cera
dell’oggetto da conformare viene rivestito di un materiale refrattario; alla
cottura, la cera fonde, lasciando la sua impronta nell’involucro indurito, la
cui concavità sarà lo stampo di quel modello. La colata di metallo fuso,
immessa nello stampo, riempie la cavità e ne prende la forma. Spaccato ed
eliminato lo stampo, è dunque il metallo, da ora, e per sempre, la forma – la
scultura, il gioiello - lo sarà, per eliminazione e sostituzione da, e contro,
la sua origine prima, il suo seme, il modello accertato da uno stampo. Così fa
scrittura.” Una poetica che trae la propria linfa da un linguaggio raffinatissimo
e che – secondo la stessa Annamaria – è un linguaggio “aristocraticamente
familiare” perché intervallato e screziato di segmenti colloquiali e
realistici. In questo senso, si distingue nella variegata opera di
Annamaria il vasto corpus delle quartine, una forma che la poetessa considerava
quasi un aforisma e che nella propria brevità, si
pone come riflesso e interazione del microcosmo nel macrocosmo (e viceversa),
riproducendo la personale reazione di Annamaria agli eventi e ai fenomeni della
vita. Peraltro. le quartine di Annamaria non si limitano al discorso poetico e
smarginano in glosse che, lungi dal chiarire o interpretare i relativi testi, stimolano
il lettore a prodursi in una propria riflessione interiore sulle composizioni. Ed è in questo ambito che è maturato nella
poetessa un modo nuovo di esprimere la propria Weltanschauung in una forma rivelatasi
assai congeniale: “Allora
pensai che la quartina potrebbe essere vista come una prova tecnica e puntuale
di afasia, non proprio ancora la morte ma l’officiatura ben replicata e ligia
dei suoi riti preparatori – come dire un
rito a ripetizione potenzialmente senza fine.” Il processo creativo di Annamaria si esalta in un gioco fitto
di rimandi poetici e letterari e, soprattutto, nella tensione di giungere a
quella tanto agognata “epitome del cosmo” che è parte integrante della sua vena
creatrice. Un procedimento da laboratorio alchemico nel quale si fondono
armonicamente spezzoni di vita, squarci onirici, riflessioni sulla natura
ambigua delle cose e concessioni alla memoria, un vortice contraddistinto da
una lucidità mai consolatoria, a volte perfino spietata, che si riverbera in un ritmo veloce, non di rado secco e tagliente. Non per
questo mancano un’ironia di fondo né, tanto meno, il gusto del
gioco verbale che, nelle glosse, ricerca la complicità del lettore.
In tale contesto, risulta non meno importante l’uso raffinatissimo
dell’ossimoro. Un esempio su tutti è dato dal mirabile “Sale di cava dolce”. Dolce cava di brina, dolce sale, quel che resta di quanto il sole asciuga con l’aria del ventaglio che corruga l’aria del sole che con l’acqua sale. Quello che accade lungo la linea di confine fra la terra e il mare
è macchina assai misteriosa che arrota discordanze fra elementi non
compatibili, segni diversi di un aver luogo partecipato e comune, risucchio
forte dentro a un debole passare, quasi un pentimento. E questo è il cerchio
che tutti ci porta, bestie di mare e terra. Denotano questi versi - peraltro riecheggiati nella elegante
glossa - una maestria nell’armonizzare tra di loro immagini diversissime, trasfigurandole
in un gioco di relazioni di impronta metafisica che trascende la parola. Tale abilità
trasfiguratrice emerge anche in un altro componimento, solo all’apparenza meno
sofisticato, “La rimonta”: Amo il coltello nel pane che incontra il
molle resistente dentro il duro della
scorza cedevole, insicuro passo
di mezzo a finta per rimonta Esistono dei piccolissimi gesti quotidiani che non vanno guardati
con disattenzione. Hanno, intera, una loro propria falcata, che è bene seguire
Seguendo
lo stesso impulso di trasfigurazione del mondo, come in un flusso ipogeo ogni
singolo gesto banale dell’esistenza contiene e rimanda a una concatenazione di
significati che possiedono una propria falcata, ovvero un proprio senso e
significato che vanno oltre l’apparenza della quotidianità. Ma
il discorso sulla poetica di Annamaria non sarebbe completo senza menzionare
l’amore per la poesia francese, segnatamente per Pierre de Ronsard, del quale
la poetessa ha voluto tradurre – “tradendola” volutamente nella forma, ma non
certo nella sostanza – una breve composizione. Una traduzione che nulla toglie
al valore dell’originale, e che anzi lo arricchisce di una sensibilità
profonda, benché quasi pudica. “Quando
sarete vecchia, la sera, alla bugia, seduta
accanto al fuoco, dipanando e filando, direte
a voi, da me, stuporosa variando: i
versi sono suoi, la bellezza era mia. Non
avrete più serva rapita alla malia, mentre
già la rapisce il sonno aggrovigliando, alla
voce che suona, alla diana, al comando del
vostro nome alto lungo questa poesia. Io
sarò sotto terra, e cercherò riposo dove
a radiche molli si sfianca il bosco ombroso. Voi
dentro il fascio secco di un cartoccio di sguardi amore
e odio vedrete fuggita dalle mani la
vita, e la credeste rosaio dai lunghi rami. Oggi
se ne va presto, domani viene tardi. Molto
ancora resterebbe da dire, ma poco potrebbe essere più esaustivo di questo
ultimo verso, quasi un incisivo apoftegma che incarna la già citata tensione
verso l’epitome del cosmo di Annamaria, espressione imprescindibile di una vena
creativa che ancora attende una consacrazione più vasta.