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martedì 2 aprile 2024

AUTORI
di Claudio Ceriani


Annamaria De Pietro

La poetica di Annamaria De Pietro
 
In una intervista rilasciata qualche anno fa, Annamaria De Pietro rispondeva in questo modo a chi le chiedeva di descrivere la propria poetica: “La mia poetica, a dispetto dell’apodittico e del classicistico e del manieristico, io cerco sinceramente di non prendermi sul serio; a un certo punto mi sono messa a scrivere, e l’ho fatto, sul mio onore di gentiluomo, secondo una mia indefettibile spontaneità. Si chiama “poetica”, va bene, e chiamiamola così, ma io forse preferisco chiamarla pratica, laboratorio, officina: unici attrezzi un quaderno e una bic. Ti giuro che in quello che sto dicendo non c’è neppure un briciolo di civetteria al finto ribasso.”
Del resto, secondo Annamaria la scrittura era un fatto anche artigianale: “Nella tecnica della fusione a cera persa – della scultura in bronzo, dell’oreficeria – il modello in cera dell’oggetto da conformare viene rivestito di un materiale refrattario; alla cottura, la cera fonde, lasciando la sua impronta nell’involucro indurito, la cui concavità sarà lo stampo di quel modello. La colata di metallo fuso, immessa nello stampo, riempie la cavità e ne prende la forma. Spaccato ed eliminato lo stampo, è dunque il metallo, da ora, e per sempre, la forma – la scultura, il gioiello - lo sarà, per eliminazione e sostituzione da, e contro, la sua origine prima, il suo seme, il modello accertato da uno stampo. Così fa scrittura.”
Una poetica che trae la propria linfa da un linguaggio raffinatissimo e che – secondo la stessa Annamaria – è un linguaggio “aristocraticamente familiare” perché intervallato e screziato di segmenti colloquiali e realistici.
In questo senso, si distingue nella variegata opera di Annamaria il vasto corpus delle quartine, una forma che la poetessa considerava quasi un aforisma e che nella propria brevità, si pone come riflesso e interazione del microcosmo nel macrocosmo (e viceversa), riproducendo la personale reazione di Annamaria agli eventi e ai fenomeni della vita. Peraltro. le quartine di Annamaria non si limitano al discorso poetico e smarginano in glosse che, lungi dal chiarire o interpretare i relativi testi, stimolano il lettore a prodursi in una propria riflessione interiore sulle composizioni.
Ed è in questo ambito che è maturato nella poetessa un modo nuovo di esprimere la propria Weltanschauung in una forma rivelatasi assai congeniale: “Allora pensai che la quartina potrebbe essere vista come una prova tecnica e puntuale di afasia, non proprio ancora la morte ma l’officiatura ben replicata e ligia dei suoi riti preparatori come dire un rito a ripetizione potenzialmente senza fine.”
Il processo creativo di Annamaria si esalta in un gioco fitto di rimandi poetici e letterari e, soprattutto, nella tensione di giungere a quella tanto agognata “epitome del cosmo” che è parte integrante della sua vena creatrice. Un procedimento da laboratorio alchemico nel quale si fondono armonicamente spezzoni di vita, squarci onirici, riflessioni sulla natura ambigua delle cose e concessioni alla memoria, un vortice contraddistinto da una lucidità mai consolatoria, a volte perfino spietata, che si riverbera in un ritmo veloce, non di rado secco e tagliente. Non per questo mancano un’ironia di fondo né, tanto meno, il gusto del gioco verbale che, nelle glosse, ricerca la complicità del lettore.

 
In tale contesto, risulta non meno importante l’uso raffinatissimo dell’ossimoro. Un esempio su tutti è dato dal mirabile “Sale di cava dolce”.
 
Dolce cava di brina, dolce sale,
quel che resta di quanto il sole asciuga
con l’aria del ventaglio che corruga
l’aria del sole che con l’acqua sale.
 
Quello che accade lungo la linea di confine fra la terra e il mare è macchina assai misteriosa che arrota discordanze fra elementi non compatibili, segni diversi di un aver luogo partecipato e comune, risucchio forte dentro a un debole passare, quasi un pentimento. E questo è il cerchio che tutti ci porta, bestie di mare e terra.
 
Denotano questi versi - peraltro riecheggiati nella elegante glossa - una maestria nell’armonizzare tra di loro immagini diversissime, trasfigurandole in un gioco di relazioni di impronta metafisica che trascende la parola. Tale abilità trasfiguratrice emerge anche in un altro componimento, solo all’apparenza meno sofisticato, “La rimonta”:   
 
Amo il coltello nel pane che incontra
il molle resistente dentro il duro
della scorza cedevole, insicuro
passo di mezzo a finta per rimonta
 
Esistono dei piccolissimi gesti quotidiani che non vanno guardati con disattenzione. Hanno, intera, una loro propria falcata, che è bene seguire


 
Seguendo lo stesso impulso di trasfigurazione del mondo, come in un flusso ipogeo ogni singolo gesto banale dell’esistenza contiene e rimanda a una concatenazione di significati che possiedono una propria falcata, ovvero un proprio senso e significato che vanno oltre l’apparenza della quotidianità.
Ma il discorso sulla poetica di Annamaria non sarebbe completo senza menzionare l’amore per la poesia francese, segnatamente per Pierre de Ronsard, del quale la poetessa ha voluto tradurre – “tradendola” volutamente nella forma, ma non certo nella sostanza – una breve composizione. Una traduzione che nulla toglie al valore dell’originale, e che anzi lo arricchisce di una sensibilità profonda, benché quasi pudica.
 
“Quando sarete vecchia, la sera, alla bugia,
seduta accanto al fuoco, dipanando e filando,
direte a voi, da me, stuporosa variando:
i versi sono suoi, la bellezza era mia.
Non avrete più serva rapita alla malia,
mentre già la rapisce il sonno aggrovigliando,
alla voce che suona, alla diana, al comando
del vostro nome alto lungo questa poesia.
Io sarò sotto terra, e cercherò riposo
dove a radiche molli si sfianca il bosco ombroso.
Voi dentro il fascio secco di un cartoccio di sguardi
amore e odio vedrete fuggita dalle mani
la vita, e la credeste rosaio dai lunghi rami.
Oggi se ne va presto, domani viene tardi.
 
Molto ancora resterebbe da dire, ma poco potrebbe essere più esaustivo di questo ultimo verso, quasi un incisivo apoftegma che incarna la già citata tensione verso l’epitome del cosmo di Annamaria, espressione imprescindibile di una vena creativa che ancora attende una consacrazione più vasta.