La
celebrazione del 2 giugno 2024, festa della Repubblica, assumerà tratti inediti
nella storia d’Italia: definitivamente dissolto l’antico arcocostituzionale
sotto il cui ombrello ci poteva comunque ritrovare mai è stato così
violento l’assalto alle fondamenta del dettato della nostra Carta Fondamentale.
Ormai è svelata la posta in gioco di questa fase (che potremmo considerare più
storica che politica): riscrivere la Costituzione e mandare in archivio il suo
punto di vera scaturigine, la Resistenza. È stato giustamente scritto che il
progetto del centro-destra di oggi è molto più invasivo di quello elaborato nel
2016 dal PD di Renzi e che fu respinto dalla maggioranza dell’elettorato, e da altri
tentativi precedenti (riforma del centro destra anch’essa respinta dal voto
popolare nel 2006; progetto della commissione bicamerale del 1997), senza
contare le riforme già attuate in maniera negativa (titolo V, pareggio di
bilancio, riduzione del numero dei parlamentari). Adesso
però siamo a un vero e proprio salto di qualità: un progetto eversivo che
poggia su 3 gambe: premierato, autonomia differenziata, riforma (punitiva)
della magistratura. In realtà, nel caso della magistratura, siamo ben oltre l’attacco
alla Costituzione Repubblicana perché si sta toccando la messa in discussione
della stessa divisione dei poteri sancita dalla rivoluzione del 1789. Un
attacco alla democrazia che si sviluppa in un quadro generale davvero
inquietante. Una situazione dominata dalla suprema incertezza tra la pace e la
guerra: dilemma che la nostra Costituzione intese sciogliere con un articolo 11
già fin troppe volte violato nella sua sostanza. Abbiamo visto come sia in corso un attacco diretto a categorie come quella della
Magistratura (ipotizzandone, come già avvenuto in passato, una sostanziale
riduzione di autonomia dall’esecutivo) e dell’informazione (con un evidente
arretramento nella liberà d'espressione come testimoniato anche dalle
classificazioni internazionali in materia). Si sta esercitando direttamente una
forma di repressione poliziesca verso i soggetti più facilmente attaccabili
come gli studenti. Questi elementi evidenziano uno stato di cose che non può
che essere contrastato se non prendendo atto fino in fondo della sua gravità e
pericolosità, esprimendo così un pieno convincimento alternativo fuori da
qualsivoglia tentativo di compromissione, in ispecie sul piano costituzionale e
delle stesse forme istituzionali che derivano direttamente dall’applicazione
della nostra Carta Fondamentale, prima fra tutte la forma di governo
parlamentare. Il tutto racchiuso dentro un cerchio ideale rappresentato dal
riemergere della “questione morale” che si esprime in varie forme ben oltre la
forma classica della corruzione politica come sembrerebbe indicare la vicenda
ligure. La celebrazione del 2 giugno dovrà essere allora impostata come momento
di richiamo alla necessità, prima di tutto, di espressione di un sentimento di
qualcosa di cui non si può non parlare, di cui non si può tacere partendo dalla
risposta alla tragedia fascista da cui nacque la nostra identità repubblicana.
DIARIO CIVILE di Girolamo
Dell’Olio
Piombino
di nuovo tra noi! Si
chiama Cinzia. Archeologa. Ma anche musica, animazione, teatro, pittura. E
molte altre cose, quelle che Cinzia coltiva. E sogni. E radicati e radicali
orizzonti. Perché è questo il segreto, forse: non lasciarsi portar via dagli
eventi. Se
Cinzia è venuta sotto la Regione, da Piombino, dopo mesi che la Golar Tundra è
là ormeggiata impudente nel porto a fare il lavoro sporco, questo vuol dire che
la coscienza non si è assopita, che la schiena non si è piegata. Giacché una
cosa ingiusta, una scelta sbagliata, non recupera senso o qualità col passare
del tempo. Al contrario! Il trucco della (pre)potenza sta proprio qui: nel
giocare con le leve dell’incombente, nel fiaccarci barando. E invece… e invece
l’irragionevolezza economica, ecologica, geopolitica del ‘metodo-Piombino’ si
conferma e si rafforza, col tempo, solo che ci siano anime e cervelli pronti a
coglierla. Il tempo è galantuomo ma con chi gli è amico! Ieri,
sotto la Prefettura, e davanti alla Regione, un’altra causa solo apparentemente
persa: quella che la (pre)potenza istituzionale dipinge come La locomotiva
di Guccini: la TAV, un mostro strano con dentro un potere
tremendo, ‘la stessa forza della dinamite’.
C’è
chi si esercita da mesi in ridondanti rappresentazioni ottocentesche della
talpa che avanza irresistibile, in favore di taccuini e telecamere compiacenti.
Ma poi… mannaggia! Arriva quando meno te lo aspetti la dura lezione della
realtà: la superfresa si è già arenata, sotto viale don Minzoni. A poche
centinaia di metri dalla partenza, E deve fare chilometri e chilometri… Cosa
sia veramente successo, non è dato saperlo in questa casa di vetro sabbiato che
è la comunicazione istituzionale, rimpannucciata dalla (dis)informazione
‘giornalistica’. Però, possiamo immaginarcelo: nove su dieci, l’incidente sta
dentro i famosi ‘limiti della crescita’ che i moderni green millantano ma non
conoscono, anzi ignorano e quotidianamente calpestano. Che si tratti di
materiali inadeguati (è già successo, undici anni fa, alla celebrata Monna
Lisa) o di problemi di riassetto della nuova fresa Iris da anni in letargo
sotto Campo di Marte, o di tonnellate di smarino difficili da ricollocare sul
mercato del Valdarno, o di generali manchevolezze nella progettazione della ‘grande
opera’ (basti vedere quello che è successo a Castello, o prima ancora in
Mugello), poco importa. A guidarci può bastare il ragionamento. E ragionare può
convincerci dell’opportunità di non lasciare i padroni del vapore
spadroneggiare impunemente: resistere alle iniquità porta frutto, prima o poi.
Ora, non è che noi poveri mortali si possa sapere esattamente dove e quando
questo avverrà. Ma avverrà. Allorché tiriamo su i figli, del resto, o lavoriamo
nelle scuole, facciamo forse dipendere il nostro agire dai risultati immediati?
Buon seme, buon terreno, perseveranza: buon frutto!
Dopo il turno kafkiano
davanti al Palazzo della Legge, la Prefettura, ci siamo messi – io e la
compagna leonessa del Tirreno – davanti ai civici 2 e 4 di via Cavour, che così
intercettiamo un po’ tutti. Metti mai che un consigliere o un assessore o un
presidente fosse incline a un ravvedimento operoso… Lei, Cinzia, con la tromba
d’aria del 21 ottobre sul mare di Piombino, incrocia un giovane albanese che da
parecchio vive in Italia e – per associazione di idee? - le racconta di una
pineta andata in fiamme nel suo Paese. Qualcosa che deve avere a che fare coi
combustibili fossili. Fantasie adriatiche? Forse no se, cercando in rete, si
trovano esplosioni in campi petroliferi e ‘inferno nero’. Io, invece, devo
accontentarmi dell’ennesimo incontro ravvicinato con Eugenio Giani.
Son lì che spiego il nuovo
cartello agli uscieri di guardia all’ingresso: ‘Cosa vuol dire? Che s’è fermato
il giochino… la macchinina… brin brin! E questo, vedete? è il presidente,
quando dal cavalcavia dell’Affrico celebrava a settembre la grandiosa distesa
di conci bianchi ammassati nei piazzali ferroviari, e di carri rossi sui binari
in attesa delle terre di scavo… ‘Quando fra qualche anno sfreccerete sul treno
ad alta velocità – declamava - ricordatevi che tutto quello sarà possibile
grazie al lavoro che stiamo facendo!’. Peccato che prima ancora di raggiungere
le viscere dell’Arco dei Lorena… il giochino si sia fermato!’. Ma ecco, eccolo: il
presidente si materializza per l’appunto. Questa volta è arrivato in
economia, a piedi. Ho come la sensazione che
vorrebbe sgusciar via. E allora, lo sollecito a dare un’occhiata al suo gesto
promozionale montato accanto alla mappa del disonore, con la bella addormentata
nell’argilla. ‘S’è fermata, presidente!
Ci dispiace! Mannaggia! Mannaggia! Come si fa? Come si fa? S’è fermata la
macchinina, presidente!’ ‘Fedelissimo…!’, commenta
affabile in prima battuta. Ma poi, rassicurante:
‘Ehhh, ora riparte!’, e scivola via. ‘Sì? Mah…! Dice…?’ Vedremo come, quando, e a
quale prezzo…
APPELLO
Appello ad elettori ed
elettrici per la tornata elettorale 8 e 9 giugno contro l’Autonomia
Differenziata. L’8 e il 9
giugno i cittadini e le cittadine italiani/e sono chiamati/e al voto per le
Europee, per le Regionali del Piemonte e in diversi Comuni del Paese. Queste
elezioni cadono in un momento grave per la Repubblica, mentre il Parlamento è
sul punto di approvare un DDL di applicazione dell'Autonomia
differenziata e - quasi congiuntamente - una modifica della Costituzione che
instaurerebbe il cosiddetto “premierato” per la nomina del Capo del governo. Tutta la
propaganda si orienta su un doppio inganno: l’AD servirebbe a “decentrare” e
favorire il controllo di cittadini e cittadine sull’operato delle Giunte
regionali, nonché a combattere sprechi e inefficienza; il Premierato
assicurerebbe a cittadini e cittadine di poter “scegliere” il Capo del governo,
conferendogli la certezza di poter governare senza ostacoli. Due provvedimenti
in realtà complementari, che porterebbero a termine quel processo di
verticalizzazione delle istituzioni iniziato anni fa con il sistema
maggioritario, l’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Regione.
In realtà, realizzando un rapporto diretto tra il Capo del governo e i
“Governatori” e marginalizzando ulteriormente le Assemblee rappresentative. L’inganno
è semplice: se queste due “riforme” dovessero passare ed essere attuate,
lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine vedrebbero drasticamente
ridotte le possibilità di difendere i propri diritti e gli spazi di
partecipazione democratica, frutto delle lotte dal Dopoguerra agli anni ’80.
L’AD e il Premierato garantiscono mano libera nel distruggere tutto ciò che
ancora sussiste dei servizi pubblici, per privatizzare del tutto la sanità,
liquidare la scuola pubblica, i contratti e le norme nazionali sul lavoro, ai
quali ci si può ancora appellare, aprendo così la porta ad una precarietà e ad
una flessibilità ancora più estreme, ancora più selvagge. Tutti e tutte siamo
coinvolti/e: le Regioni entreranno in competizione tra di loro per attrarre
investimenti; così si abbasseranno i livelli di protezione dell’ambiente, del
territorio, dei beni culturali, della sicurezza sul lavoro. Ogni Regione avrà
la propria scuola, la propria sanità: fine dei diritti universali uguali per
tutti/e. Ma non c’è dubbio che il piatto più avvelenato è quello che viene
riservato al Sud, condannato da questo Governo a nuove servitù e schiavitù, e a
cui sarà per sempre impedito uno sviluppo socialmente e ambientalmente
sostenibile. L’autonomia
differenziata colpirà tutte le persone, perché distruggerà i servizi sociali
destinati a garantire, ovunque si risieda, i loro diritti universali.
Con l’AD e il
Premierato assoluto si espropria il Parlamento delle sue competenze
legislative, si cancella ogni possibilità di partecipazione democratica,
depotenziando definitivamente le rivendicazioni e i conflitti del lavoro e dei
movimenti sociali. Siamo di fronte ad una doppia
morsa: “Divide et impera”. Divide, con l’AD, impera con il Premierato: il sovvertimento totale della
Repubblica. I Comitati per il ritiro di ogni Autonomia
differenziata e il Tavolo No Ad
lanciano pertanto a lavoratori e lavoratrici, a cittadini e cittadine legati/e
alla democrazia, all’unità della Repubblica, all’uguaglianza dei diritti, un appello: in occasione delle prossime
elezioni, non facciamoci ingannare dalla demagogia, dagli slogan, dalle
illusioni. Non votiamo alcun/a
candidato/a e alcuna forza politica che non abbia preso posizione chiaramente e
si batta in modo conseguente per il NO all’Autonomia differenziata, ritirando
ogni sostegno dato in passato a questo progetto, e per il NO al Premierato. In gioco
non c’è qualcosa di astratto e lontano dalla nostra vita. In gioco c’è il
nostro futuro, la dignità delle nostre esistenze, la praticabilità della
partecipazione democratica, l’uguaglianza sostanziale. Prima che sia troppo
tardi, l’8-9 giugno, cogliamo l’occasione per dire alto e forte, anche
con il voto: unità della Repubblica, diritti uguali per tutti e tutte, basta
con l’attacco alle conquiste sociali e democratiche! Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque
Autonomia differenziata,l’uguaglianza dei diritti e l’unità della Repubblica Tavolo No Ad
Firme Marina Boscaino (portavoce dei Comitati)
Gina Agostini Valeria Allocati Antonio Anelli Simona Azzali Fabrizio Baggi Luigi Belcredi Chiara Benegiamo Angela Bergonzi Marco Bersani Benedetta Bogelli Fabio Bogelli Paolo Bogelli Adriano Bracone Rita Campioni Stefania Cantatore Maria Teresa Capozza Debora Caputo Sabino Caputo Maurella Carbone Casa Internazionale
delle Donne Carlo Casarini Silvana
Casentini Romina Cassi Patrizia Cassinera Luciano Cerasa Giovanni Cocchi Coordinamento Donne
di Francoforte Domenico Cosentino Lucia Cristina Natale Cuccurese Alessandro Dal Piaz Carmen D’Anzi Alberto Deambrogio Agnese Di Bari Leda Di Paolo Gianluca Di Silvestro Mariagrazia Dilillo Marco Farina Stefano Fassina Fanio
Giannetto Marina Gorrini Monica Grilli Rossella Guadagnini Tonia Guerra Martina Izzo Monica Kleinefeld Nicola Lamonica Bernadette Lauro -
6000 Sardine Francoforte Ester Liguori Pierpaolo Loi Maria Longo Pippo Lorusso Chiara Mandirola Paolo Massone Maria Grazia Meriggi Marina Merlini Alberto Milani Daniele Milani Sergio Milani Antonia Mininni Marcello Modini Loretta Mussi Daniele Nascimbene Antonio Olivieri Sara Padroggi Anna Maria Paneghetti Luisa Paneghetti Giuseppe Papavero Dianella Pez Ermanno Popovich Potere al Popolo -
Pavia Marcella Raiola ReteRosa Giuliana Righi Roberta Roberti Franco Russo Andrea Aldo Sacchi Suada Shahaj Angelika Signorini
Bene Giovanni Russo Spena Carlo Salmaso Linda
Sandulli Luigi Sanza Maurizio Sardone Claudio Scaffidi-Argentina Daniela Scerbo Fabio Sebastiani 6000 cittadine e
cittadini dell’Emilia-Romagna Francesco Signorelli Stati Generali delle
Donne Andrea Tesini Gianluigi Trianni Emanuela Trocino UDI - Napoli Emanuele Ungheri Lorenzo Varaldo Rina Zardetto
FARE MEMORIA
Facciamo memoria: oggi (30 maggio)
ricorre il centenario dell’ultimo discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei
Deputati del 30 maggio 1924, che gli costò la vita. Sequestrato, pochi giorni
dopo, il 10 giugno 1924, dagli scherani di Mussolini, Matteotti fu barbaramente
ucciso. Il suo cadavere venne scoperto il 16 agosto 1924. Dirigente socialista,
ebbe il coraggio di denunciare la violenza fascista e i brogli elettorali. Col
suo lucido e appassionato discorso, che è un inno alla libertà e alla
democrazia, mise profondamente in discussione il potere di Mussolini,
responsabile politico e morale del suo assassinio. Il fascismo è violenza, è
crimine, non un'opinione. Di seguito il link del suo intervento, tratto dal
film Il delitto Matteotti. https://www.youtube.com/watch?v=SqvpcgYkQMY
L’esempio di Matteotti, di Gramsci e di Gobetti e di tante donne e uomini,
politici e militanti antifascisti, la resistenza durante il ventennio della
dittatura fascista, la lotta partigiana e il movimento di liberazione dal
nazifascismo sono la linfa vitale della costituzione della Repubblica Italiana,
democratica e antifascista, che celebriamo il 2 Giugno, anniversario del
referendum del 1946 col quale il popolo italiano disse NO alla monarchia e SI
alla Repubblica. E quel giorno, per la prima volta le donne esercitarono il
diritto di voto. Oggi, per responsabilità della maggioranza delle classi
dirigenti politiche ed economiche, la democrazia e la libertà e i diritti sono
gravemente a rischio, con un assalto continuativo e perverso alla Costituzione
e alle conquiste sociali e civili che si è intensificato nell’ultimo trentennio
anche con leggi elettorali maggioritarie e gravemente limitative del “diritto
di voto libero personale segreto”, fino ad approdare alle proposte legislative
dell’attuale governo di centro-destra, in cui la componente post-neofascista è
prevalente: la cosiddetta “autonomia differenziata” (spappolamento del Paese in
regioni-staterelli) e il cosiddetto “premierato” che porterebbe allo
stravolgimento della nostra Costituzione, quasi a restaurare una specie di “monarchia
elettiva”. Poteri eccessivi alle regioni-staterelli e potere centralizzato
nelle mani del capo del governo con tutti i rischi e i pericoli di
autoritarismo e di involuzione repressiva di un potere autoreferenziale che
degrada la cittadinanza a sudditanza. In tale contesto si accelera l’inquietante
processo di riarmo e di rigurgiti nazionalistici e razzistici, in cui il
capitalismo liberistico finanziario globale punta a un’economia di guerra fino
a portarci sull’orlo dell’abisso del terzo conflitto mondiale atomico. Non c’è
più tempo da perdere. Occorre reagire e inventare forme di lotta pacifiche con
atti e azioni collaudate dalla storia e dall'esperienza dei movimenti degli
obiettori di coscienza, dei disarmisti, dei disertori, dei renitenti e dai
movimenti per i diritti umani sociali ambientali. Con questi valori e
motivazioni vi invitiamo a partecipare alla nostra Festa della Repubblica,
domenica 2 Giugno 2024 alle ore 10 in Piazza Costantino presso la sede dell’ANPI
Crescenzago con gli YU KUNG in concerto e con una “cantata” collettiva. Cari saluti resistenti. Giuseppe Natale - pres. Anpi Crescenzago
L’INCOGNITA DELL’ASTENSIONISMO di Luigi Mazzella
C’è chi sostiene che, con
il sovraffollamento complessivo del Pianeta, sia aumentata (soprattutto negli
abitanti dell’Occidente, da duemila anni portatori di una cultura fondata su
fideismi religiosi e fanatismi politici, entrambi utopici) la “facile
credulità” in verità “asserite” e “non provate” (anzi clamorosamente “smentite
dagli eventi”) da parte di predicatori e di ciarlatani. Se così fosse, vi
sarebbe da chiedersi se vi siano ancora nel nostro “Bel Paese” cittadini (in
numero adeguato a evitare un irragionevole disastro socio-economico e politico)
per così dire “senza la sveglia al collo”, che siano in grado di richiedere e
imporre ai loro governanti, attraverso il voto, la dimostrazione di possedere
raziocinio, buon senso e logica. La razionalità degli eletti, in altre parole,
costituirebbe l’unico modo per essere certi che le scelte assunte al massimo
livello di responsabilità politica non portino i poveri italici, come suole
dirsi “a sbattere” e ad annaspare in un fungo atomico. La
risposta non è semplice: perché da un lato il livello intellettuale dei nostri
governanti appare paurosamente in progressivo e inarrestabile calo (come
dimostrano anche gli “scontri volgari da taverna”, un tempo inimmaginabili, tra
alte autorità pubbliche) dall’altro cresce il numero degli astensionisti. Qual
è l’identikit di questi ultimi? Il
più probabile è che si tratti di elettori razionalisti e di buon senso logico che,
non avendo fiducia alcuna nei candidati proposti dai vari partiti, non vanno
più a votarli. Quale
sarà l’effetto? Sembra che “la serva
Italia” di dantesca memoria vada orientandosi sempre di più a subire
passivamente e deterministicamente , oltre alla dipendenza, ormai scontata e
palese, di tutti i suoi partiti dagli input
politici statunitensi, anche l’onta di essere governata da una minoranza (per
giunta altamente rissosa e sempre meno qualificata) di forze politiche che, pur
essendo di numero appena più consistente di quello delle altre coalizioni in
lizza, è comunque lontana dal rappresentare la volontà della maggioranza degli
Italiani; e ciò nella drammatica consapevolezza,
date le circostanze, della sua
ineluttabilità. Le imminenti elezioni europee, pur nella loro innegabile
diversità rispetto a quelle ultime nazionali (essendovi due atroci guerre ormai
in pieno e sanguinoso svolgimento ed essendo tutti i partiti in lizza in Italia
“filo-bellici, o perché convinti da tempo o perché convertiti in momenti
diversi all’atlantismo della NATO) ci daranno elementi utili per una risposta
alla domanda posta sopra circa l’incremento o la diminuzione
dell’astensionismo. Le previsioni sono difficili: per gli Italiani che non
intendono essere trascinati in una guerra che potrebbe divenire nucleare c’è
poca scelta: c’è Tarquinio, nella lista del PD e i suoi amici di PACE, TERRA,
DIGNITÀ e c’ è Santoro… Non c’è Papa Francesco che è per forza di cose fuori
gara (e necessariamente destinato a restare vox
clamans in deserto). Naturalmente, a sperare che non vi siano adunate del
tipo del 1940 di quelle mussoliniane di piazza Venezia sono tanti (anonimi e
non rappresentati) Italiani. Che faranno? Si accontenteranno di ciò che “offre
il convento” con la prospettiva di un inevitabile insuccesso o si asterranno
dal voto, confidando alcuni, da credenti, in un intervento pacificatore del
loro Dio (mediorientale), altri, da laici, in una vittoria di Donald Trump alle
elezioni nordamericane?
LETTERE Diritto di voto e corruzione
Secondo me ci sono momenti di grande
confusione, incertezze e mancanza di credibilità. Lo dimostra il fatto che
molti non vanno nemmeno a votare. Brutto clima generale. Da parte mia ho molte
perplessità, e mi sento molto vicina a Papa Francesco. Andrò a votare perché lo
ritengo diritto/dovere con grande rispetto verso chi ha dato la vita per la
democrazia e la libertà. Non vedo nel nostro Paese uno spirito di
collaborazione fra le parti per il bene del Paese e del popolo, costretto a
sacrifici disumani, per cui lo stipendio non basta neppure per sopravvivere... Sono cresciuta con la
Costituzione, con valori sociali e ideali umanitari. Dilagano, invece, corruzione, sete
di potere, competizione con una insanabile frattura fra la politica e la gente,
spesso impreparata, ignorante, da ricordarmi i tempi descritti molto bene dal
Manzoni nei Promessi Sposi. Concetto dinamico di democrazia
per il quale necessitano conoscenza e cultura, non il vuoto e la
disinformazione generale uniti alle manipolazioni per raggiungere scopi
lontani dalla realtà. Basterà una matita? Ormai non è mettere la croce, ma
metterci una croce... con una flebile speranza che qualcosa potrà cambiare
uccidendo l’ultimo sogno dei sognatori. È solo il mio sentimento sincero,
uno stato d’animo forse comune a molte persone, docenti, intellettuali,
impiegati, operai, ma non solo, soprattutto di chi ha creduto in un ideale, in
un sogno... in una fede di uguaglianza, di giustizia, di fratellanza e che in
silenzio quotidianamente hanno varcato in prima persona questi principi
democratici e lo ritengo addirittura inutile. Laura Margherita Volante
SANTORO AD ANCONA Per la Pace, il Disarmo, la Giustizia sociale.
A BUSTO ARSIZIO
giovedì 30 maggio 2024
LISTE PER
LA PACE
Caro Angelo, leggendo come sempre con
interesse gli articoli di “Odissea” che di tanto in tanto mi segnali, ho notato
la tua convinzione circa la necessità di sostenere la lista Pace Terra Dignità.
Una scelta riguardo alla quale ti confesso di nutrire più di un dubbio, pur
comprendendone la linearità, e la nobiltà, dei motivi ispiratori. Si tratta, in
sostanza, se ho ben capito, di porre il tema della pace al centro di un
progetto politico, sfrondando per così dire tale tematica da ogni elemento di
contorno, che potrebbe risultare divisivo. La pace, dunque, come fine primario
e, per così dire, unico, intorno a cui aggregare consenso. Questo il punto di
forza di una tale proposta, ma anche, secondo me, la sua debolezza (problema,
peraltro, comune a tutte le liste monotematiche). Sul piano dei principi non si
discute: l’obiettivo della pace non può che essere in cima ai pensieri di
qualsiasi essere umano dotato, appunto, di umanità o, semplicemente, privo di
propositi suicidari. Se però dal terreno astratto degli intendimenti vogliamo
scendere su quello concreto della politica (una discesa necessaria, se non
decidiamo di limitarci alle pure enunciazioni), allora anche il tema della pace,
per sortire qualche effetto, deve essere inserito in un contesto più ampio e
non generico, ben più articolato di quanto non possa esprimere un richiamo,
doveroso ma vago, a terra e dignità. Presentare una lista come Pace Terra Dignità,
destinata peraltro, sulla base di tutti i sondaggi (questa è scienza, il resto
è metafisica), ad arrestarsi ben sotto la soglia di quel quattro per cento
richiesto per eleggere anche un solo rappresentante, nonostante la buonafede
dei promotori servirà di fatto soltanto a erodere consenso ad altre liste che
il tema della pace hanno nel loro programma e che invece la possibilità di
superare tale soglia di sbarramento l’avrebbero: in primis a quell’Alleanza
Verdi Sinistra che ha avuto il merito di
candidare Ilaria Salis, e il cui successo permetterebbe tra l’altro alla nostra
concittadina di essere al riparo dalle minacce e dalle vessazioni di un regime
come quello ungherese che, al netto di un po’ di approssimazione storiografica,
non esito a definire fascista. A presto Luca Marchesini
Caro Luca, dubbi ne abbiamo anche noi.
Talmente tanti che negli ultimi tempi non ci siamo più prestati alla farsa di
mettere la croce su un simbolo credendo che questo bastasse a mutare lo schifo
di questa Nazione e il comportamento dei farabutti che in massima parte la rappresentano.
Non tutti, ovviamente. Ma sul tema del disarmo, della riconversione
dell’industria bellica, della destinazione della spesa militare a finalità
sociali e alla cura del territorio, dell’uscita dalla Nato e di quanto vado
scrivendo e dicendo da oltre mezzo secolo, non ho visto un rigo nei programmi
di tutti i partiti presenti in Parlamento. Anzi, non solo non hanno mosso un
dito per tentare una via diversa sulla crisi Ucraina, ma appena è scoppiato il
conflitto hanno fatto a gara a spingere per il massacro votando per l’invio di
armi e portandoci sull’orlo del baratro nucleare. Con l’eccezione di Verdi e
Sinistra in Italia. Ma in Europa i verdi sono diventati guerrafondai più degli
altri.
Perché insisto su quello che dovrebbe essere il tema epocale del
dibattito ed invece non ne siamo coscienti, ambienti intellettuali e letterari
compresi di cui entrambi facciamo parte? Perché la spesa militare del 2022
ammontava a duemila miliardi di dollari (quella ufficiale), e ti lascio
immaginare a quanto è arrivata ora, e a quanto arriverà con la ripresa della
corsa agli armamenti. Dunque non sarà possibile affrontare il tema della cura
dell’ambiente, della sanità, della disoccupazione, del contenimento del costo
della vita. Perché gli ordigni nucleari per cancellare non solo l’intero genere
umano, ma ogni forma di vita animale e vegetale ammontavano (anche questi dati
per difetto) qualche anno fa, alla spaventosa cifra di 15 mila. Ne bastano
alcuni per interrompere l’avventura umana di questo indegno bipede che ai suoi
vertici decisionali (politici, militari, finanziari, imprenditoriali,
scientifici, sindacali, giornalistici, intellettuali - anche qui con rare
eccezioni -) si mostra spaventosamente irresponsabile e votato al suo
annientamento. Certo, avremo la soddisfazione che in caso di conflitto nucleare
anche loro, i loro cari, i loro beni, i loro lauti conti in banca saranno
liquefatti. Che l’inverno nucleare farà scomparire per sempre la possibilità
che un essere così stupido e mostruoso ricompaia sulla faccia della terra.
Ma,
caro Luca, sono uno scrittore come te, un intellettuale che non si rassegna
alla stupidità, all’irresponsabile egoismo disumano di questa lurida genia che
decide a nome nostro, dei nostri figli, dei nostri incolpevoli nipotini, delle
altre creature sensienti, delle altre specie che compongono il miracolo
chiamato Natura. Non mi rassegno e non voglio delegare a questi miserabili il
mio destino e quello di altri esseri umani pacifici, solidali, collaborativi,
fraterni. Pace Terra Dignità ha un programma articolato, in verità; con il
quale si può non essere del tutto d’accordo o dissentire, ma ci sono molte cose
di buon senso e molte cose che hanno una loro necessità. Personalmente non ne
avrei fatto uno, mi sarei concentrato solo sulla fine del conflitto come
l’obiettivo più importante, l’opposizione all’invio di altre armi e l’impegno a
lavorare per una trattativa indicando come sede del negoziato la città mondiale
della Pace di Assisi, con il coinvolgimento delle massime autorità religiose,
di alcuni premi Nobel per la Pace, degli enti morali internazionali e dell’Onu.
Avrei motivato questa scelta come un Referendum fra donne e uomini di Pace e
guerrafondai; fra chi ha scelto la vita e chi sta lavorando per la morte. Solo
se avessimo ottenuto il consenso di una fetta significativa dell’elettorato
italiano avremmo potuto mettere altra carne al fuoco: il lavoro, la sanità, la
cura dell’ambiente, la spesa sociale.
Ma ora questa lista c’è, e come
disarmista storico (come militante attivo e come teorico del pacifismo) non
potevo tirarmi indietro. Ho deciso di impegnarmi in prima persona perché la
lista abbia successo e un nutrito gruppo di difensori della pace possa
rappresentare la nostra volontà di pace al Parlamento Europeo. Non ci fosse
stata questa lista in molti non sarebbero andati a votare. Chi ha deciso di
sostenere Verdi e Sinistra farà altrettanto bene: conosco tanti amici e lettori
di “Odissea” che lo faranno, ma io sento il dovere di dare forza a questa lista
nata specificamente contro la guerra. Spero che in tanti la voteranno: i senza
partito, i disgustati, i disillusi, i credenti negli sforzi che a livello alto
solo il Papa ha tentato, i giovani che si vogliono nuovamente intruppare negli
eserciti per mandarli al massacro, le loro mamme, le donne degne di questo
nome, la gente del Sud sempre più abbandonata, i giovani costretti
all’emigrazione forzata. Impegniamoci assieme, seppure per
due liste diverse, e sarà magnifico se potremo festeggiare una comune vittoria. Ti abbraccio, Angelo Gaccione
FESTA DELLA
REPUBBLICA
Purtroppo sono proprio i governanti a non rispettare il dettato della nostra Costituzione nata dalla Resistenza partigiana. La disonorano e stanno facendo di tutto per portarci alla guerra.
Ho scritto questa lettera per diletto, facendo
riferimento ai testi storici editoriali e scolastici, alle notizie e curiosità
lette sui giornali e agli ascolti radiofonici e televisivi. I lettori potranno
arricchirne il suo contenuto grazie alle loro esperienze personali dirette e
indirette. Era il lontanissimo 2
giugno 1946 che si indisse un referendum per decidere il passaggio dalla
monarchia alla Repubblica - letteralmente cosa di tutti -. Il popolo italiano
si era lasciato alle spalle la seconda guerra mondiale terminata il 25 aprile
del 1945, che aveva lasciato in ogni parte del Paese povertà, lutti, dolore,
sfiducia, odio e macerie. Bisognava alzare la testa con dignità e forza di
volontà e organizzare la ricostruzione, non solo economica, ma anche sociale,
morale e democratica, dopo un periodo storico politico non condiviso. Proprio il 2 giugno 1946
fu indetto il referendum per cambiare il tipo di governo: si doveva scegliere
se restare fedele al re o decidere la sovranità popolare. Il popolo decise di
far nascere la Repubblica Italiana. Determinante fu anche il voto delle donne
fino ad allora negato. In parole povere, sono i cittadini che eleggono i propri
rappresentanti per legiferare e governare L’Italia. Nacque l’Assemblea
Costituente i cui membri scrissero la Costituzione - legge fondamentale della
Repubblica che garantisce i diritti, l’uguaglianza, la dignità, la libertà e la
partecipazione attiva dei cittadini - che sostituì lo Statuto Albertino; dire
che fosse una delle più belle del mondo non è una baggianata. Così il 2
giugno del 1948 la Repubblica vide finalmente la luce. Ogni anno a Roma il
Presidente della Repubblica depone una corona di alloro sull’Altare della
Patria per omaggiare il Milite Ignoto - monumento che rappresenta tutti i
soldati caduti nelle guerre e di cui non si conosce il nome - mentre una parata
militare attraversa i Fori Imperiali e rende onore al Presidente della
Repubblica e alle altre alte cariche nazionali. Per dovere di cronaca la giornata
del 2 giugno è stata festa nazionale fino al 1977 e, poi, fu declassata a
giornata feriale a causa della crisi economica e spostata nella prima domenica
del mese di giugno. Solo nel 2001 ritornò a essere di nuovo festa nazionale a
opera del Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi.Ah, per rappresentare la Repubblica è stato scelto un
simbolo contenente una stella, una ruota dentata d’acciaio, un ramoscello di
ulivo e uno di quercia. Perché questi elementi? La stella rappresenta la
rinascita; la ruota dentata il lavoro; l’ulivo la pace e la quercia la forza.
Il mio maestro elementare ci disse che il corbezzolo - pianta tipica della
macchia mediterranea - rappresenta la pianta nazionale dell’Italia e così
spiegò questa affermazione: il frutto è rosso; le foglie sono verdi e i fiori
sono bianchi.Ogni anno il 2 giugno si festeggia il
compleanno di questa giornata memorabile e un pensiero aleggia nell’aria: cosa
posso fare per onorarla, pensa il cittadino comune? Onorare la Patria, amare la
bandiera, difendere la Costituzione, usare un comportamento virtuoso…
rispettare le regole di convivenza civile.Frase
ascoltata a un tavolo di un bar e proferita da un cittadino deluso dalla classe
dirigente dello Stato; a proposito della bandiera disse: cittadini al verde con
le tasche vuote, notti in bianco per i troppi pensieri, conto in banca rosso.Oggigiorno la nostra classe politica fa passare il
concetto di tante repubbliche legate a altrettanti periodi storici, ossia Prima
Repubblica, Seconda Repubblica, Terza Repubblica… speriamo che si fermi questa
classifica e si decida una Repubblica unica e condivisa, basata sui principi di
solidarietà, libertà e giustizia e onori la Costituzione! Carmine Scavello
PER LA PALESTINA
mercoledì 29 maggio 2024
LETTERA APERTA AI CANDIDATI SINDACO
Firenze. Egregie candidate, egregi candidati, vi scriviamo in
questo momento, nel mezzo della campagna elettorale per farvi presenti alcuni
gravi problemi nella realizzazione del Passante TAV e perché prendiate
precise posizioni. Il progetto ha molte criticità, tali da rallentare o rendere
precaria la sua realizzazione da ormai quasi 30 anni, ve ne citiamo solo alcuni
conosciuti da tempo e uno che sta emergendo in questi giorni, ma che gli
addetti ai lavori conoscono bene: La stazione ai Macelli è
in una zona ad alta pericolosità idraulica, (qui un articolo sul tema).
Questo accade perché non si è voluto sottoporre a VIA (valutazione di
impatto ambientale) il progetto di Norman Foster di stazione ai Macelli. Al progetto esecutivo
manca il piano di emergenza che valuti anche i rischi idrogeologici. È una
norma di legge che RFI ignora deliberatamente e pretende di realizzarlo dopo la fine dei lavori. Lo scavalco di Castello è
una parte del Passante TAV, è ultimato da circa 12 anni, ma non è stato
collaudato perché non è collaudabile, non è stato impermeabilizzato e, essendo
immerso nella falda, è continuamente infiltrato da acque. Una inchiesta della
Corte dei Conti è in corso. Poche settimane fa è
emerso il rischio che lo scavo sotto viale Lavagnini possa danneggiare la
sede tranviaria appena realizzata. Si sono promessi mille occhi, ma è
incredibile che di questo fatto ci si sia accorti all’ultimo momento. L’attuale
sosta dello scavo è per prevenire imbarazzi prima delle elezioni? La TBM, la macchina che
scava la prima galleria, è ferma dal 17 aprile sotto viale Don Minzoni al Km
2+128, dovrebbe trovarsi al km 3+950, è in ritardo di 1800 metri, circa
180 giorni di scavi previsti, 6 mesi di ritardo; il motivo è che le terre
scavate devono essere depurate da additivi e asciugate perché si possa
realizzare la collina prevista. Tutto questo era stato annunciato da questo Comitato diversi giorni fa, fu negato dai dirigenti di
RFI e Consorzio Florentia nell’assemblea pubblica del 16 maggio scorso, ma era
evidente che la cosa non poteva restare nascosta e ne hanno dato notizia a
Repubblica che ne ha fatto un articolo il 25 maggio. Notizie incomplete e con
reticenze, ma la cosa è dovuta emergere.
Un altro problema sorto è
stata l’insufficienza delle piazzole di stoccaggio a Santa Barbara, dove far
maturare le terre di scavo: “L’inadeguatezza delle
piazzole attuali costituisce una criticità, in quanto, anche laddove fosse
possibile avviare i conferimenti, la limitata capacità delle piazzole non
consentirebbe il regolare sviluppo dei lavori di scavo della galleria. La Commissione di
Collaudo chiede alla Direzione Lavori di effettuare un’analisi di sensitività
che indichi quali sono le ricadute sull’avanzamento della fresa in riferimento
alla capacità delle piazzole di stoccaggio di Santa Barbara e dei tempi di
permanenza del materiale di scavo in esse in base alle indicazioni del protocollo
del MATTM.” Così scriveva la
Commissione di collaudo nel gennaio 2017 e nel 2022 l’Osservatorio Ambientale
di Santa Barbara prescriveva un aumento della capienza delle piazzole. Quello che invece non è
stato preso in considerazione, ma che la bocciatura della VIA da parte della
commissione presieduta allora da Fabio Zita aveva segnalato, era che i
terreni argillosi trattengono l’acqua e non sono idonei a realizzare
una collina se non vengono asciugati con particolari macchine chiamate filtropresse.
I costi di questa operazione sarebbero enormi per oltre un milione di m3 di
detriti. L’alternativa alle filtropresse sarebbe il conferimento delle terre in
discarica con costi superiori dieci volte quelli previsti per il semplice
riutilizzo. Insomma la sosta nello
scavo è dovuta alla mancata asciugatura delle terre che non è stata
considerata; che RFI sostenga che la causa sia il tempo umido è ridicolo, le
piazzole sono coperte proprio per evitare le piogge, il problema è che questo
progetto ha talmente tante falle che sarà improbabile arrivi a fine. È incredibile che
con queste criticità si sia provveduto ugualmente a fare una
gara per affidare i lavori che hanno raggiunto la cifra mostruosa di 2,735
miliardi, cifra destinata sicuramente a crescere già con
i problemi sorti adesso: cantieri fermi significano costi in aumento. È incredibile che
l’Osservatorio Ambientale, partecipato anche dal Comune che ne ha addirittura
la presidenza, non avesse visto o non avesse voluto vedere
il vicolo cieco in cui ci si stava cacciando.
Come candidate/i alla
guida del Comune di Firenze vi chiediamo se davanti ad una situazione simile ha
senso proseguire e se non è il caso di pretendere delle spiegazioni
da chi ha consentito che i lavori riprendessero con questi problemi. La situazione in cui si
trova adesso il Passante Tav è grave. Vi ricordiamo anche dell’analisi costi
benefici del 2019 prevede, se mai si arrivasse alla fine dei
lavori, un danno notevole per i trasporti a Firenze con due stazioni
scollegate tra loro e un sistema irrazionale; il previsto collegamento con people
mover sarà una toppa nel tentativo di rimediare ad un grave errore
urbanistico e trasportistico e saranno comunque ulteriori risorse sprecate. Davanti a trenta anni di
chiacchiere che hanno bloccato lo sviluppo delle ferrovie e un potenziamento
vero del servizio per i pendolari, ancora si può parlare di voler liberare i
binari per i treni regionali? In che anno, in quale secolo potrebbe accadere?
Ancora si vuol continuare con questi lavori infiniti e inconcludenti? Avete mai
sentito parlare di un progetto in superficie per aggiungere gli stessi binari
senza pericoli per gli edifici, con tempi rapidi e dai costi minori? La promessa di lavori
ultimati nel 2029 si dimostra l’ennesima chiacchiera priva di fondamento come
le tante che hanno interessato questo progetto. Se sarete elette/i che
intenzioni avete con le Ferrovie, con la Regione Toscana che ha voluto ad ogni
costo questa infrastruttura, con gli organi tecnici che stanno dimostrando la loro
inefficacia? Gli abitanti di Firenze
meritano risposte concrete dopo decenni di una mobilità disastrosa.
Per favore non diteci che questo Passante è un’opera strategica, a quale
strategia ha risposto finora? Comitato No Tunnel TAV
Firenze
PCI: SULL’EREDITÀ DELLA
MEMORIA di Franco Astengo
Sembra
ci si stia accanendo sull’eredità della memoria del PCI, partito ormai
scomparso (senza eredi) da oltre trent’anni eppure ben vivo nella dialettica
politica, quasi come un convitato di pietra con cui si è ancora costretti a
fare i conti.Così si cerca di distorcerne la memoria tirando fuori
episodi che dovrebbero far pensare a tutt’altro itinerario da quello che
effettivamente si è svolto con l’andare del tempo: vien fuori che già nel 1974
Enrico Berlinguer aveva in mente lo scioglimento del partito e una rifondazione
evidentemente posta al di fuori dell’identità politica del comunismo italiano
oppure che, nella fase calda della proposta (poi attuata) di liquidazione del
partito autorevoli suoi dirigenti pensavano valesse ancora - come deterrente -
una scomunica emanata dall’alto dalla casa madre sovietica (del resto in quel
periodo in piena fibrillazione alla ricerca di vie nuove per il socialismo).Insomma
siamo sulla strada della scoperta di un Gramsci liberale e dell’applauso
rivolto in comunità a Berlinguer e Almirante dalla platea di Fratelli d’Italia.
Operazioni sconsiderate e non sufficientemente respinte a livello culturale e
politico dalla sinistra (per fortuna ci ha pensato Angelo D’Orsi nella sua
recente biografia del pensatore sardo uscita per Feltrinelli). In realtà questo darsi da fare per
deviare/obliare denuncia, prima di tutto, l’incompiutezza dell’elaborazione del
lutto anche da parte di coloro che proposero e sostennero la via della
liquidazione in nome dello “sblocco del sistema politico”. Soprattutto però segnala l’insufficienza
di una analisi sulle ragioni profonde per le quali al momento di una proditoria
proposta di “svolta” la resistenza fu debole, poco coordinata e sostanzialmente
non misurata sulla riflessione circa identità e prospettiva nella storia del
comunismo italiano (l’unico tentativo fu fatto, forse, attraverso la relazione
svolta da Lucio Magri – “il nome delle cose”- al seminario di Arco dell’ottobre
1990 e poi con il suo successivo - ancora fondamentale “Sarto di Ulm”).
Provo a riassumere: Dall'inizio degli anni ’80
l’emergere di questioni e problemi sui quali sarebbe stato giusto sollecitare
un più audace e coraggioso rinnovamento, perché posti sul terreno del nuovo
intreccio tra le contraddizioni strutturali della società furono assunti come
fattori da interpretare in senso di una maggiore omologazione, sia nei
comportamenti politici, sia negli orientamenti culturali e ideali che, in quel
momento, raccoglievano i più facili consensi. In sostanza aveva
cominciato a far breccia , anche nel PCI o almeno in settori rilevanti del
Partito, la grande offensiva ideale e politica neoconservatrice che, proprio in
quegli anni ’80, favorita del precipitare della crisi del sistema comunista in
tutto l’Est europeo, sia dal logoramento e dall’esaurimento anche delle
migliori esperienze socialdemocratiche dell’Europa Occidentale, si sviluppò con
impeto in Europa come in America (sotto l’insegna del reaganian-tachterismo),
nei paesi dell’Est come in quelli dell’Ovest. Andò così maturando, anche
nella realtà italiana, una sconfitta che, prima ancora che politica, risultò
essere culturale e ideale. A questo punto debbono
essere richiamate almeno tre posizioni (le più esemplificative) che hanno posto
in luce come in pochi anni, anche in un paese come l’Italia considerato
paradigmatico di un “caso” proprio perché vi si trovava presente il più grande
partito Comunista d'Occidente, quest’offensiva “neocons” avesse modificato, in
modo radicale, idee e convinzioni diffuse nell’area dell’intellettualità e dell’opinione
pubblica progressista.
1) In primo luogo
cominciò a raccogliere consensi la tesi che la crisi delle politiche di
pianificazione e di programmazione (sia nelle forme della pianificazione
centralizzata dei paesi di “socialismo reale” dell’Europa dell’Est, sia nelle
forme programmatorie delle politiche keynesiane e delle esperienze di Stato
Sociale, sviluppatesi a Ovest e nel Nord Europa, principale per impulso delle
grandi formazioni socialdemocratiche) non solo poneva alle forze riformatrici
seri problemi di ripensamento, ma costituiva una prova quasi definitiva dell’impraticabilità
di serie alternative alle regole dominanti del liberismo, del privatismo, del
cosiddetto “libero mercato”, dell’individualismo consumistico. 2) In secondo luogo non si
può sottovalutare il peso che ebbe, nel corso degli anni ’80 l’insistente
campagna sulla “crisi” e sulla “morte” delle ideologie. Una campagna che ebbe
effetti rilevanti sugli orientamenti di larga parte dell'opinione pubblica. È
quasi inutile ricordare quanto di ideologico vi fosse, e continui a esserci,
alla base della tesi della “crisi” e della “morte” delle ideologie.
Rimane il fatto che proprio
quella campagna propagandistica appena ricordata finì con l’essere largamente
accettata anche a sinistra, non solo come critica dei “partiti ideologici” (e
partiti ideologici per eccellenza erano considerati, in Italia, la Democrazia
Cristiana e il Partito Comunista), ma anche come demistificazione dell’idea
stessa di una finalizzazione ideale e morale dell’azione politica. IL PCI fu così liquidato
in fretta, senza offrire ad alcuno la possibilità di riflettere su di un
lasciato politico che andava ormai completamente perduto. Lo scioglimento del PCI
rappresentò un punto di vero squilibrio per l’intero sistema politico, cui
seguirono altri momenti di sconvolgimento determinati dall’implosione dei
grandi partiti di massa avvenuta poco tempo dopo. È stata così soffocata
l’idea della necessità di un partito capace insieme di sviluppare pedagogia,
radicamento sociale, rappresentatività politica della classe: è questo il vuoto
più grande che, pur nella consapevolezza di un declino forse irreversibile attraversato
nell’ultima fase della sua esistenza, il PCI ha lasciato e che rimane
come fattore inesplorato nel sistema politico italiano ben oltre la narrazione
che oggi si tende a improvvisare quale elemento di smarrimento e di oblio nei
riguardi della critica alla modernità.