Durante il presidio in piazza Ognissanti consegnata al
consolato di Francia a Firenze la seconda lettera a Macron sulle guerre in
corso. Ieri pomeriggio si è
tenuto il secondo appuntamento di ‘dialogo itinerante’ davanti al Consolato di Francia
a Firenze, in Piazza Ognissanti, a testimonianza dell’attenzione con cui viene
seguita anche in Italia dalla cittadinanza attiva l’evoluzione delle politiche
dell’Eliseo nel contesto delle guerre ai confini dell’Unione Europea e nel
Vicino Oriente. Nella circostanza, è stato consegnato al referente del
Consolato che già aveva ricevuto, il 7 maggio scorso, la prima ‘lettera aperta’
indirizzata al presidente della Repubblica francese, una seconda missiva,
emblematicamente introdotta da alcuni versi della canzone ‘Il disertore’ di
Boris Vian, simbolo di disobbedienza civile a metà anni Cinquanta del secolo
scorso fra la fine del conflitto d’Indocina e l’inizio della guerra d’Algeria.
Un richiamo che donne e uomini di origine o cultura francese hanno apprezzato e
canticchiato, condividendone il messaggio oggi purtroppo di nuovo
formidabilmente attuale. Questo il testo della nuova lettera a Macron,
distribuita anche alla cittadinanza in lingua francese e italiana.
Gentile
Presidente, mentre
aspettiamo di leggere un gradito Suo commento agli interrogativi condivisi un
mese fa attraverso la lettera aperta consegnata
al Console generale di Francia a Firenze (che rialleghiamo a questa pagina),
nuovi dubbi ci investono dopo aver appreso che Parigi
fornirà all'Ucraina caccia Mirage
2000-5 e formerà piloti e una
brigata di 4.500 soldati ucraini, ai quali ‘darà formazione,
equipaggiamento e armi’. Già nel precedente messaggio avevamo
suggerito che, prima di promuovere un invio di truppe in Ucraina, si provvedesse a verificare l’effettivo sostegno dell’opinione
pubblica. I risultati delle consultazioni elettorali per il nuovo Parlamento
europeo paiono attestare la presenza di una quota consistente di dissenso, ed
Ella ne ha preso coraggiosamente atto sciogliendo l’Assemblea nazionale e
indicendo elezioni legislative anticipate. Confidiamo dunque che intenda
riconsiderare la strategia politico-militare fin qui perseguita dall’Eliseo,
incluse le misure annunciate il 6 giugno. ‘Siamo tutti, oggi, figli
di quello sbarco’,
Ella ha avuto occasione di dichiarare quello stesso giorno commemorando il
D-Day in Normandia. Ma ne siamo davvero legittimi eredi, c’è da chiedersi,
quando il combinato disposto di diplomazie latitanti e coazione al riarmo
produce massacri incrociati come quelli che non cessano di consumarsi in
Ucraina e in Palestina? Accostare e apparentare eventi, strategie e valori a
dispetto di tutte le differenze e di tutte le dissonanze, è forse buona
storiografia? Se
è lecito, proponiamo alla Sua attenzione un ulteriore spunto di riflessione. La
conferma di una postura militare avventurista nella
drammatica congiuntura attuale è a nostro avviso in grado di arrecare -
nella percezione dell’opinione pubblica internazionale - anche seri danni
collaterali di immagine alla Repubblica da Lei guidata. Dalle gesta del popolo
francese nel diciottesimo secolo (1789), nel diciannovesimo (1848 e 1871) e nel
ventesimo (1968) hanno tratto ispirazione, spinta e conforto correnti di
pensiero, culture giuridiche e formazioni politiche che hanno segnato
profondamente la storia d’Europa. La scelta bellicista fin qui perseguita
rischia di degradare invece la Francia a emblema di una cultura giuridica e
politica di umiliante e pericolosa retroguardia. Cantava saggiamente nel 1954 Boris Vian: ‘Signor Presidente / Non voglio far
la guerra / Non sono qui sulla terra / Per uccidere la povera gente’. E, con fine
intuito politico, aggiungeva: ‘Se occorre
dare il sangue / Allora dia Lei il Suo / Lei è un buon portabandiera / Signor
Presidente’.