L’abbaio
di un cane… L’abbaio
di un cane nei giardini deserti. I
mille occhi dei palazzi muti. Le
reti elettriche tracciano infiniti sentieri nel cielo: invisibili dei li percorrono. Un
tram attende la propria partenza. Lanterne
cinesi pendono dagli alberi. I
pantaloni verdi come un prato alieno, la
chioma corvina come una notte sconosciuta, sorridendo
attraversa il corridoio. Scollature
immobili sulle sedie di similmetallo. Il
bianco-azzurro di una maglietta dell’Argentina. “La
mia è una patologia degenerativa… Lo stomaco a pezzi…”, un’eco
distorta.
L’artrosi
dei sentimenti. Caotiche
ombre sulle pareti. Lo
strofinio delle carte compulsate, con gli esiti e
i numeri del destino. Non
esiste una terapia del dolore contro il dolore dell’amore. Camici
bianchi svolazzano come farfalle tropicali. Sui
termosifoni di pallido azzurro la luce segna inediti confini. Dalle
griglie sul soffitto piovono baluginii rosa. Un
campanello squilla spezzando la monotonia del
momento eterno.
Un
sussurrio lontano si rifugia morbido nelle orecchie stanche. Non
è più il tempo dei fiori o forse non lo è ancora. Le
porte ingoiano e risputano, a intermittenza. Il
riflesso del volo di un piccione sui vetri impolverati, a
rovescio fra le nuvole sfrangiate. Alla
balaustra di un balcone un fumatore pensoso; ha
la parvenza dell’immobilità, è il gioco non
percepito della distanza, orizzonte
di carne e strazio afono; poi se ne va, piccole onde d’urto nell’indifferenza del
mattino.
Un
vecchio strascica il passo, il labbro inferiore pendulo, gli
occhi acquosi persi in un universo di malinconia, la
folla scompagnata dei ricordi a torturarlo. Le
unghie cobalto di una dottoressa. Le
cifre mentali del desiderio impotente. Mi
accovaccio nello sguardo interno, in un abito fiorito dalle
pieghe esotiche, nel
dondolio dei corpi che avanzano statici, nel
ticchettio inudibile del tempo, nell’immagine
viola della mia bougainville, nelle
lacrime mai piante.
Un
tatuaggio sulla spalla destra ondeggia come
fotogrammi mossi a mano. Un
ragno, fuori, sospeso nel vuoto, come la danza della
foglia quel giorno di ottobre dopo la morte di mio padre, nel
sospiro freddo di un vento corto. Il
tip-tap di piedi impazienti. Una
barba religiosa si alza da un sedile di chiodi figurati, la vista dura, la bocca amara.
Rileggo
i versi di un amico lontano; aerei son volati alla
mia incerta stazione: lo
stupore mi scuote dolce con il dono di una grata meraviglia; la
vertigine dell’apocalisse si sposta più in là. Sento
le correnti dell’aria condizionata creare cieli artificiali solcati
dai motori di navi oniriche; forbici
di titanio taglieranno le ali. Biascichio
di parole. Due
tubicini nelle narici, la disperazione a correre forsennata
nelle pupille. La
spirale frantumata di uno zampirone presso il bordo sbeccato
di una finestra con la tapparella calata. Fiori
selvatici nelle crepe dei muri, il potere dell’umiltà e
della bellezza.
Forse
nei cespugli che scorrono fuori si annidano fenici, il
miracolo della resurrezione, una nuova alba. [In
un istituto clinico milanese e nei meandri della città Venerdì
12 luglio 2024]