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giovedì 15 agosto 2024

BALZAC E IL NOSTRO TEMPO
di Giorgio Riolo 

 
Balzac

Si ripropone qui una nota introduttiva a Honorè de Balzac ripresa dagli incontri di letteratura “La letteratura come vita e come riflessione sulla vita. Il classico che è in noi”. Nel ciclo 2009-2010 due incontri furono dedicati al grande romanzo dello scrittore francese Illusioni perdute. Qui si completa la nota introduttiva con il romanzo Splendori e miserie delle cortigiane, concepito come continuazione di Illusioni perdute. Nello stesso ciclo di incontri si lesse il romanzo breve o racconto lungo Gobseck, quale carattere tipicamente balzachiano dell’usuraio, della passione esclusiva per il denaro e per l’accumulazione, come fine in sé. In altri cicli degli anni successivi si lessero i romanzi Papà Goriot ed Eugenie Grandet.
Oltre al piacere della narrazione, dello specifico estetico, del valore letterario, la ragione dell’importanza di Balzac nel nostro tempo risiede proprio nel fatto che la sua opera ci aiuta a comprendere molti aspetti della nostra società. Delle sue dinamiche, dei sui tratti distintivi, nelle sue dimensioni, economica, sociale, politica, antropologica. Con annessi tipi umani. Caratteri che si ritrovano nel nostro tempo e che egli coglieva magistralmente nel suo tempo, nella Francia della Restaurazione e nel capitalismo del primo Ottocento.
Non ultimo il mondo del giornalismo e dell’editoria. Così come descritto magistralmente in Illusioni perdute e in Splendori e miserie delle cortigiane.
Informazione e media, allora e oggi, quale apparato indispensabile. Ai fini del profitto in economia e del potere politico. Molta parte di questo mondo oggi al servizio del potere delle oligarchie contemporanee. Che imperversano, che manipolano, che manomettono il mondo, il pianeta. Che fomentano guerre e che sono all’origine delle crisi globali del nostro tempo.


 
Honorè de Balzac
Nasce a Tours nel 1799 e muore a Parigi nel 1850. Il provinciale quindi, il quale, come molti personaggi dei suoi romanzi, vede nella città-mondo Parigi il luogo d’attrazione, il centro gravitazionale, il luogo dove è possibile realizzare la propria scalata sociale, realizzare le proprie ambizioni letterarie, realizzare la propria personalità.
Balzac tentò di compiere dapprima la via della letteratura, ma subito dovette ripiegare sulla via del giornalismo, del critico teatrale, dell’editoria. Campi così ben conosciuti tanto che in seguito rappresenterà questi mondi nella perfezione dei romanzi Illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane.
Se il romanzo, come disse Hegel, è “l’epopea della società borghese”, Balzac è il letterato che, nella prima metà dell’Ottocento, ha saputo subito interpretarne il valore, la forza, la capacità di penetrare in tutte le classi sociali. Balzac è, secondo la celebre definizione di Roland Barthes, “il romanzo fatto uomo, il romanzo definitivo, il romanzo assoluto”.
Monarchico e legittimista, come credo politico e ideale, egli ammirava l’aristocrazia, ma si avvide che nella Francia della Restaurazione essa era destinata all’inesorabile tramonto, a essere sostituita da altri soggetti sociali, anche se lontani erano i tempi, e i pericoli per le vecchie classi dominanti, della Rivoluzione e dell’epopea napoleonica.
I veri eroi del suo tempo, per Balzac, sono i repubblicani, gli oppositori. Ma a decisamente minare il vecchio ordine era la nascente, rapace società capitalistica, la nascente borghesia, dei sordidi affari della piccola borghesia, dell'ascesa della grande borghesia dei banchieri e dei pescecani della finanza, della passione irrefrenabile per il denaro, per l’accumulazione come fine in sé. Il protagonista assoluto nel dramma sociale è il denaro.
Lo stesso Balzac testimonia direttamente questo stato di cose. Dopo la Rivoluzione di Luglio del 1830, “È un errore credere che sia il re Luigi Filippo a regnare, ed egli non si inganna in questo punto. Egli sa, come tutti noi, che al di sopra della Costituzione c’è il sacro, venerabile, solido, amabile, grazioso, splendido, nobile, giovane, potentissimo pezzo da cinque franchi”.
Il denaro è il solvente universale dei rapporti sociali, dei rapporti famigliari, dei rapporti comunitari, insomma dell’intero assetto precapitalistico e protocapitalistico. Al contempo è il potente legame sociale della società capitalistica ormai affermata. Merce e denaro, le figure concrete e astratte dei rapporti umani alienati della società moderna.
Marx ed Engels compresero profondamente Balzac. Marx fu suo ammiratore e si proponeva di scrivere un saggio sullo scrittore francese, cosa che poi non realizzò. Engels del pari comprese la sua forza letteraria e la sua capacità analitica della società capitalistica. Scrisse a Margaret Harkness nel 1888 “Ho imparato [da Balzac] più che da tutti gli storici, gli economisti e gli statistici dell’epoca messi insieme”.



Come Dante, nella Commedia, sintetizzò il mondo medievale, nella fase del suo tramonto, e descrisse e creò potenti tipi umani e caratteri, così Balzac, da naturalista, da anatomopatologo, analizzò, descrisse, interpretò, rappresentò la nascente società capitalistica e i tipi umani di questa società, “un corpo dove, come il sangue, circola il denaro”. La sua Comedie Humaine è questa potente costruzione, è il titolo complessivo entro cui in seguito ordinò la prodigiosa creazione di circa 137 tra romanzi, novelle, saggi, e di circa 3.000 personaggi. “La mia Commedia Umana è una grande storia dell’uomo. La società francese è lo storico, io non devo che esserne il segretario”.
Balzac si attiene alle istanze del romanticismo ottocentesco e crede pertanto alla integrità umana, ma la dinamica inesorabile del capitalismo sospinge allo smembramento di questa integrità, sospinge all’uomo unilateralizzato, parcellizzato. E allora occorre lucidità, capacità analitica, la tensione al realismo integrale, non fermarsi solo alla superficie dei fenomeni sociali e umani e penetrare in profondità e capire la dinamica profonda, non visibile immediatamente.
È, come nel Novecento dirà György Lukács, il trionfo del grande realismo in letteratura. Anche se Baudelaire parlerà, nel caso di Balzac, di “realismo visionario”, essendo egli anche il creatore di figure e di caratteri che si vedranno soprattutto in azione ai tempi di Napoleone III, nel Secondo Impero, nell'epoca posteriore alla morte del grande letterato.



Balzac è il poeta di Parigi. La città-mondo per eccellenza, il teatro di drammi, di avventure, di vicende umane di tutte le classi sociali. È colui che sa descrivere e penetrare nel profondo i tanti tipi umani, gli ambienti, la totalità sociale. È aristocratico come aspirazione e capisce e descrive molto bene il borghese, è borghese nei fatti e descrive in modo impareggiabile la ancora fiorente, ma destinata a morire, aristocrazia. Il denaro è, come si dice in Eugenie Grandet, “il solo dio moderno”, è il protagonista assoluto, e il XIX è “il secolo del denaro”.
Parigi è il teatro e il palcoscenico dei drammi dei personaggi e delle classi sociali, dai bassifondi, dagli ambienti popolari e della piccola borghesia, dagli odori e dalle tinte forti, dalla pensione Vauquer, crocevia e microcosmo in Papà Goriot, agli ambienti rarefatti, sfarzosi, dei palazzi aristocratici, della grande borghesia parigina. La totalità sociale è rappresentata. Ogni aspetto o ambiente della città è rappresentato nelle opere balzachiane.
Balzac è del pari il poeta della provincia francese in questo caso. Provinciale egli stesso capisce nel profondo Parigi in quanto provinciale ambizioso (come Lucien Chardon, come Eugène de Rastignac) che va all'assalto del gran mondo della città per affermarsi. E, dialetticamente, comprende la Provincia in quanto Parigino, con lo sguardo di chi ha compreso lo spirito della città-mondo.
Nel mentre attende, nel 1834, proprio alla stesura di Papà Goriot, all’autore balena l’intuizione di una sua originale creazione, il cosiddetto “ritorno dei personaggi”, i caratteri e i tipi umani “ricorrenti”, che si ripresentano in altri romanzi. Così Rastignac, in Papà Goriot nei panni iniziali di un giovane e ingenuo studente di provincia che si accinge alla scalata sociale, desideroso di entrare nel gran mondo, era già apparso, adulto dandy, in La pelle di zigrino e riapparirà in Illusioni perdute e in Splendori e miserie delle cortigiane.
Così Lucien Chardon protagonista in Illusioni perdute e in Splendori e miserie delle cortigiane. Così Vautrin. L’ex forzato Jacques Collin appare Vautrin in Papà Goriot, poi nelle mentite spoglie del prete gesuita spagnolo Carlos Herrera in Illusioni perdute e ancora in Splendori e miserie delle cortigiane.

 
Illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane
Una nota introduttiva complessiva dei due romanzi si impone dal momento che Splendori e miserie delle cortigiane fu scritto bensì come romanzo autonomo, ma è stato anche concepito da Balzac come continuazione di Illusioni perdute. Balzac, quando apparve Illusioni perdute, scrisse a Madame Hanska, la nobildonna polacca con cui era in corrispondenza, “Opera capitale nell’opera”. Il romanzo restituisce l’autentico mondo balzachiano con tale evidenza e con tale forza che la definizione dell’autore è pienamente giustificata. Nel procedere della produzione letteraria, Balzac, a un certo punto pensa di dare un ordine ai suoi romanzi e ai suoi racconti. Concepisce un vasto affresco a cui dà il titolo di Comedie Humaine, sul calco della Commedia dantesca. Le analogie sono tante, ma soprattutto l’analogia più evidente, più importante per l’autore, è la rassegna di personaggi, di tipi umani così nettamente definiti e caratterizzati che Dante esibisce nel procedere nel viaggio dell’oltretomba dall’Inferno al Paradiso.
Così Balzac nella società sua contemporanea. Personaggi e tipi umani, dalle creature angeliche, innocenti, buone, ai tipi, uomini e donne, depravati, nella smania del potere, dell’ambizione, della scalata sociale, della ricchezza, dell’accumulazione e dell’avarizia, del possesso del denaro. Con la consueta, e molto ampia, “zona grigia”, di tipi umani intermedi.
È “romanzo dell’ambizione”. Il giovane provinciale Lucien Chardon, bello di aspetto, nutrito di poesia e di letteratura, ambizioso, il quale mira a lasciare la cittadina di origine Angoulême per affermarsi nel gran mondo di Parigi, città-mondo per eccellenza, centro gravitazionale per chi ambisce a fare la scalata sociale. Nel suo caso, per la gloria letteraria e per le avventure sentimentali. Lo stesso Balzac confessava il fine suo. “Essere celebre ed essere amato”, così Lucien, il quale abbandona il suo mondo di affetti, la madre, la sorella Ève e il lavoro di proto presso la stamperia del futuro cognato David per conseguire tale fine. Il romanzo della vita provinciale e il romanzo della vita parigina, a un tempo. Nella costruzione fatta da Balzac, la saldatura tra “Scene della vita di provincia” e “Scene della vita parigina”. Le due sezioni che, con la terza “Scene della vita privata”, compongono la Commedie.
È “romanzo della delusione”. Già nel titolo si richiama questa dimensione umana, un genere letterario importante, con capostipite il romanzo moderno per eccellenza, il Don Chisciotte di Cervantes e con l’esempio celebre nell’Ottocento del posteriore romanzo di Gustave Flaubert L’educazione sentimentale. I sogni giovanili, il prometeismo e il messaggio di onnipotenza tipici della società capitalistica, soprattutto nell’Ottocento, dopo la rivoluzione industriale inglese e dopo la rivoluzione politica francese, si infrangono contro i limiti posti dalla stessa società capitalistica.
Il “romanzo della capitalizzazione dello spirito” (György Lukács), l’attività intellettuale, il giornalismo, la letteratura e l’editoria al servizio dell’accumulazione, al servizio delle manovre e delle imposture del potere. Si parla di vera e propria “prostituzione intellettuale”. Un personaggio del romanzo, il cinico Félicien Vernou, dice allo sprovveduto Lucien, a proposito dell’attività giornalistica, “Noi siamo commercianti di parole e viviamo del nostro commercio”.



Il “romanzo del denaro”. Come la gran parte dei romanzi e dei racconti di Balzac. Il denaro quale leva potente, quale strumento fondamentale per affermarsi, per la scalata sociale. In questo caso non la sola leva. L’intelligenza ha un suo ruolo. Più dal lato della capacità di manovra, della capacità dell’adeguamento dei mezzi ai fini proposti, dal lato del sapersi districare nella giungla di Parigi.
Il romanzo è diviso in tre parti. Nella prima, I due poeti, Lucien già rivela la sua indole. Il giovane di bel aspetto, con un discreto talento artistico-letterario, ma dalla fibra morale debole. È sospinto e agevolato dall’abnegazione della madre e della sorella Ève e favorito dalla signora de Bargeton, nobildonna provinciale, presso il cui salotto è invitato e valorizzato. Di contro l’amico David Sechard. Solido e integro, con il sicuro fondamento nell’attività di stampatore e nell’amore corrisposto per Ève. Figlio di farmacista, quindi “borghese”, aspira ad essere annoverato tra gli aristocratici. E si fa chiamare Lucien de Rubempré, dal cognome della madre, di lontane origini nobili.
Nella seconda parte, Un grand’uomo di provincia a Parigi, Lucien si trova a misurarsi con la città e con l’agognata esperienza della realizzazione delle sue aspirazioni. “Essere celebre ed essere amato”.
La dura realtà lo mette di fronte, per un verso, al sottobosco di faccendieri dell’editoria, del teatro, dei giornali. Affaristi, imbroglioni, arrivisti ecc. e qui i maestri sono Ètienne Lousteau e lo stampatore Dauriat. A costoro si contrappone la cerchia di giovani poeti e scrittori del Cenacolo, con esponente principale Daniel d’Arthez. Il debole Lucien è combattuto tra questi due poli. Da una parte l’autenticità, l’arte, la letteratura, la poesia, dall’altra ogni manovra, anche sordida, per raggiungere il successo.
In questo contesto, Lucien giunge ad abbandonare il campo liberale per abbracciare il campo monarchico nei rispettivi fogli di giornale. Con il risultato che alla fine si trova inviso e osteggiato da molti.
Nell’altro verso, il successo sentimentale. Abbandonato dalla signora de Bargeton, Lucien trova in Coralie un’attrice devota, “cortigiana-prostituta”, che lo ama sinceramente e che si spende per assicurare al giovane la posizione che merita. La morte di Coralie e il rovinoso esito del suo tentativo di ottenere il titolo nobiliare, indebitato e ormai scoraggiato, inducono Lucien a far ritorno ad Angoulême confidando nell’aiuto della sua famiglia.



È la terza parte del romanzo, Le sofferenze di un inventore. Qui il generoso David è alle prese con la sua ricerca di un modo più economico per produrre la carta. I fratelli Cointet trovano il modo di rovinare lo stampatore e di impadronirsi della lucrosa nuova tecnica. David ed Ève tuttavia hanno modo di riprendere la loro sobria esistenza anche grazie all’eredità lasciata dal vecchio Sechard. Lucien medita il suicidio e proprio quando si risolve ad attuarlo, gettandosi nelle acque del fiume vicino ad Angoulême, un misterioso personaggio di passaggio, il prete gesuita spagnolo Carlos Herrera, in realtà l’ex forzato Jacques Collin, Vautrin in Papà Goriot, lo persuade a desistere.
Vautrin vede in Lucien il giovane, bello, ma debole di carattere, di cui servirsi nelle sue manovre. Di contro al bel giovane provinciale, ma di forte carattere, Èugene de Rastignac che aveva tentato di far suo alla pensione Vauquer in Papà Goriot.
È questo il passaggio narrativo inteso quale saldatura tra Illusioni perdute e Splendori e miserie delle cortigiane.
Lucien al seguito di Vautrin ritorna a Parigi. C’è una continuità evidente nei due romanzi. In primo luogo, si può parlare di cicli. Il “ciclo di Lucien”, il “ciclo di Vautrin” e il “ciclo di Rastignac”. I personaggi ritornano. Per esempio, Vautrin e Rastignac erano già presenti in Papà Goriot. E poi il mondo giornalistico, il mondo del teatro, l’editoria, gli arrivisti, le cortigiane, gli aristocratici ecc. Ma in questo romanzo interviene una differenza di composizione da parte di Balzac.
Come scrive sempre a Madame Hanska nel 1843: “Faccio del Sue allo stato puro”. Splendori e miserie delle cortigiane è un roman feuilleton, vale a dire viene pubblicato dapprima come romanzo d’appendice, a puntate, su giornali e riviste. E come facevano Eugène Sue, Alexandre Dumas e altri romanzieri impegnati in tale genere letterario ed editoriale, tra una puntata e l’altra, occorre sorprendere, occorre attrarre il lettore, con colpi di scena, con sorprendenti sviluppi nella trama, nei personaggi ecc. Con qualche eccesso, con qualche caratterizzazione dalle tinte forti.



Tuttavia ciò non altera la capacità balzachiana di rendere un mondo, di cogliere colori forti, qui sicuramente, ma anche tenui e molte sfumature, di offrirci “il piacere della narrazione”, tipico dei grandi romanzi realistici dell’Ottocento.
Il fine posto da Vautrin di procacciare “il capitale necessario alle loro ambizioni”, e quindi anche delle ambizioni di Lucien, lo si consegue in questa vicenda utilizzando la bella cortigiana Esther van Gobseck, anch’ella sinceramente innamorata di Lucien. Il barone di Nucingen ottiene una notte d’amore con Esther pagando un milione di franchi. Il suicidio di Esther, dopo il fatto, increscioso per lei, pone la polizia sulle orme di Vautrin e di Lucien.
Entrambi incarcerati alla Conciergerie, Lucien alla fine si impicca e Vautrin, depositario di lettere compromettenti di alcune signore aristocratiche, viene rilasciato dalle autorità per non creare ulteriori scandali nell’alta società. Vautrin si offre quindi come informatore ed entra nella polizia parigina, divenendone capo.
Il personaggio storico reale a cui si ispirò Balzac per costruire questa figura, così importante nei suoi romanzi, fu Eugène François Vidocq (1775-1857). Avventuriero, ex forzato e infine capo della agenzia investigativa della sicurezza nazionale francese.
La filosofia complessiva del machiavellismo-realismo balzachiano, perfetto calco della dinamica sociale capitalistica e della dinamica sociale della Francia della Restaurazione, così ben espresso nei due romanzi in questione, è rivelata in maniera compiuta nel finale di Illusioni Perdute. Jacques Collin-Vautrin-Carlos Herrera impartisce la lezione all’ingenuo Lucien. Le regole del gioco della società non si discutono, se ne prende atto e ci si conforma, pena la rovina, per non soccombere. E pertanto, conclude l’ex forzato, occorre prendere gli uomini per quello che sono, “dei mezzi”.
Il rovesciamento perfetto dell’imperativo categorico dell’etica kantiana che prescrive “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine, mai solo come mezzo”.