Sotto
il British Institute a Firenze: Storm Shadows incondizionati a questa Ucraina? Altezzosi. Arroccati nel loro
fortilizio fiorentino. Dietro, la splendida casa-torre in pietra dei
Lanfredini, mantenuta gelosamente nelle originali fattezze medievali dal grande
antiquario Alberto Bruschi, che guidò in visita una mia classe di Fotografi a
immaginarsi - fra quelle auguste mura - priori e gonfalonieri di giustizia. Affacciato
sull’Arno, questo prospetto dalle linee curiose. Al primo piano, se ricordo
bene, il British Institute of Florence. Ma che ci facevo lì, ieri? Era il 205°
appuntamento di ‘dialogo itinerante’, da quel primo episodio di tre anni fa in piazza
Duomo. Sempre di guerra si parla.
Ieri, guerra all’intelligenza, e ai diritti. Oggi, anche alla carne e alle ossa
dell’umanità. Protagonista, la politica della distruzione. Ultimo interprete,
il premier progressista del Regno Unito: per propiziare la pace in Ucraina
minaccia di regalare al mite Zelensky giocattolini in grado di colpire Mosca. O
San Pietroburgo. Da piccolo colibrì, ho pensato di portare un po’ d’acqua su
quel fuoco. E di proporre un po’ di informazione, per un’oretta, a chi per caso
passasse sotto la rappresentanza culturale britannica nel capoluogo toscano,
dacché il consolato ha chiuso i battenti. Munito di regolare autorizzazione
della Questura, avevo persino anticipato al British, per posta e al telefono,
il giorno prima, notizia e contenuti dell’iniziativa. Tanto più che la sera
stessa, ieri, era in programma nella Biblioteca ‘Bill Emmott in conversation
with Morgan Fiumi’, un momento di riflessione significativo, una conversazione
sulla fase terribile che il mondo attraversa. E il volantino che intendevo
distribuire sul lungarno Guicciardini poteva magari fare da piccolo stimolo
anche lì, in quel contesto.
Sicché arrivo e, prima di suonare al citofono, una
donna mi precede. La seguo oltre il portone e, prima che salga le scale, le
chiedo conferma – anche per rassicurarla: Firenze è saltata al terzo posto in
Italia per microcriminalità denunciate! – se ricordo bene che il British sia al
piano di sopra.
‘Sì’, mi fa sorridendo.
Ma in quel mentre arrivano in contemporanea rispettivamente: un’altra donna
dalle scale e tre agenti della Municipale belli in divisa dal lungarno.
‘Volevamo avere informazioni sulla manifestazione in programma oggi’, chiedono
alla referente del British.
‘Eccolo’, la precedo, ‘ce l’avete di fronte, sono io il manifestante. Stavo
giusto salendo per salutare i bibliotecari e lasciare per l’evento di stasera
qualche copia del messaggio che distribuirò fuori’.
Ho mani nude e ancora i cartelli arrotolati nello zaino. Non rappresento
davvero un pericolo. Ma per la signora del British evidentemente sì, e anche
tanto: mi invita, evitando di avvicinarsi, a lasciare il palazzo!
‘Ma vede, ho già scritto e parlato con Lucia, siamo rimasti che sarei venuto a
farle una doverosa visita di cortesia, prima di…’
‘No, guardi, la prego…’
‘Non capisco. Posso parlare con lei? Eravamo d’accordo così!’
Niente da fare. La prossemica – ancorché mitigata dal sorriso - è più meno
quella che si riserva all’appestato: stai lontano e sparisci!
‘Non è davvero una bella accoglienza!’, protesto con garbo mentre quello che
poi mi si rivelerà essere il portiere mi invita un po’ più risolutamente a
obbedire, mentre i vigili mi guardano come uno strano oggetto non identificato
e mi seguono fuori per gli accertamenti. Portiere e agenti che, devo dire,
hanno mostrato un’umanità squisita. Col primo, è stato gradevole conversare a
lungo, dopo, fuori, mentre provavo ad allungare il messaggio di carta a turisti
in gran parte poco inclini ad accettarlo. Forse turbati da quel ‘Hatred or
dialogue?’ sotto l’ingrandimento A3 del volantino appiccicato sul cartello che
indossavo. Men che meno mi consideravano i fruitori del British in entrata o in
uscita: una sorta di istintiva solidarietà della paura!
Palazzo Lanfredini visto dal fiume
I vigili, invece,
stentavano a credere che il risultato della partita dovesse essere 3 a 1! Tre
controlli per un manifestante!
‘Ma come, lei è da solo?’
‘C’è qualcosa di male…?’
‘No…è che…’
‘Ma sono autorizzato!’, e cerco in borsa la lettera alla Questura.
Come al solito, mi chiedono la risposta della Digos con l‘autorizzazione. Come
al solito, spiego che con via Zara vige da anni il silenzio-assenso. Non insistono:
hanno capito benissimo di che pasta son fatto. E addirittura la dolcissima
vigilessa mi aiuta a districarmi fra i due cartelli che pure devo giustamente
mostrare, ma il vento me li attorcigliola addosso. Ma per lo meno a loro posso
così lasciare e spiegare il mio primo messaggio. Raccogliendo, devo dire,
comprensione e simpatia.
E vabbè, è andata così. Dalla referente del British neppure un tentativo di
motivazione. Mai vista un’accoglienza così ostile. E meno male che lo avevo
scelto come ‘rappresentanza culturale’! Ma di cultura davvero non s’è vista
traccia. Forse aveva ragione quel passante che ha pensato di fermarsi a
chiacchiera con me di Ucraina, di Russia e, già che c’era, di… British
Institute. Lui abita lì, sul lungarno, e sembra saperla lunga: ‘Son fatti così.
Sono un mondo chiuso. Arroccati in questo palazzo…’.
Eppure, in anni passati, mi pareva di aver conosciuto, lì, tutt’altra
dimensione. Segno che forse quella psichica è davvero diventata una pandemia
transnazionale…