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domenica 13 ottobre 2024

MUSICA E LETTERATURA
di Angelo Gaccione  


 
Il rapporto tra la musica e la parola ha radici antiche. Tuttavia, senza andare troppo lontano nel tempo, possiamo citare alcuni generi musicali che gli appassionati ed i cultori continuano a seguire ancora oggi con immutata fedeltà: il melodramma, la romanza, il Lied. A livello popolare la canzone è l’esempio più comune. Tutti sappiamo che questo genere tanto in voga, al di là della qualità di entrambe, si compone di parole e di una partitura musicale. Per un genere più colto, com’è certamente quello operistico, l’incontro fra la musica e la parola avviene su un piano più alto e complesso, e al testo rigorosamente letterario deve corrispondere una orchestrazione altrettanto elaborata. Le scelte espressive del compositore devono tener conto necessariamente della forma verbale del librettista, della poetica di cui è intrisa, ma anche della vocalità di chi interpreta. Perché la storia, la trama, è resa comprensibile a chi ascolta proprio attraverso l’uso della parola. Al racconto che la parola ne fa. La musica, da parte sua, si mette al servizio della parola e le dà vigore: la nobilita, ne sottolinea le sfumature, ne esalta la potenza con altrettanto potenza, e servendosi di un vasto apparato strumentale è in grado di riprodurre tonalità e suoni che a nessuna voce umana è dato di eguagliare. Al colore e al timbro della voce si accompagnano il colore e il timbro degli strumenti. Ma che succede quando la parola non c’è e il compositore si è cimentato con un testo letterario? Come facciamo noi ascoltatori a seguirne il racconto? Devo confessare la mia inanità sia per l’ascolto di Sonata a Kreutzer messa in musica da Leoš Janáček, e mutuata dal romanzo breve di Leone Tòlstoj di cui pure conosco la trama; sia per l’ascolto del Quartetto per archi di Bedrĭch Smetana ispirato alla sua vita (Z mého života), di cui nulla sapevo. In un brano di una lettera all’amico Debrnov, Smetana scrive: “Ho voluto rappresentare attraverso i suoni il corso della mia vita”. Ma qui si tratta solo di musica, di musica pura, di musica assoluta priva di parole. Come avrei potuto io cogliere dall’agglomerato delle note dei due quartetti le trame? Il percorso umano delle esistenze dei creatori? Come avrei potuto intuire dalla sola musica la tragedia della sordità che la sifilide aveva causato a Smetana, di cui pure avevo letto alcuni minuti prima nelle paginette del programma di sala? Non potevo che rapportare a me stesso e al mio sentimento, il variare dei timbri che i violini, la viola e il violoncello del “Quartetto Guadagnini” esprimevano. Al mio umore del momento, della sera inoltrata e della pioggia che cadeva sulla città. Ai miei pensieri fugaci e alla penombra che avvolgeva l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, dove il concerto prendeva la sua forma.