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mercoledì 9 ottobre 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione



Voghera

Probabilmente sapete tutto sull’autore della famosa locuzione: “casalinga di Voghera”, lo scrittore Alberto Arbasino, che a Voghera era nato nel gennaio del 1930, ma è morto a Milano nel marzo del 2020. Arbasino non ne aveva data una connotazione negativa, come di frequente si sente dire, tutt’altro. Vedeva in essa il simbolo di un sano buon senso lombardo, di concretezza e attaccamento al proprio dovere. E i vogheresi avevano persino esposto, per un certo tempo, una statua che la raffigurava. Arbasino le aveva anche dedicato una poesia, e un’associazione che ne ha assunto il nome è ancora attiva in città, come mi ha confermato Antonella Sicbaldi dell’Anpi locale, a cui devo un invito per un incontro letterario e un giro amichevole per le vie del centro storico. Sapete poco o nulla, invece, sul fatto che Voghera ha dato i natali a una lunga lista di personalità di primo piano fra cui il grande intellettuale antifascista Franco Antonicelli e la scrittrice Carolina Invernizio.



Il Teatro Sociale di impronta ottocentesca realizzato su progetto del piemontese Gioacchino Dell’Isola nella via Emilia, ha di recente cambiato nome ed è stato dedicato ad un altro cittadino di Voghera: a Valentino Clemente Ludovico Garavani. Quando ho chiesto perché c’era stato questo cambiamento, mi è stato risposto che Garavani altri non è che lo stilista Valentino. Glielo hanno intitolato perché pare (e spero sia vero) abbia contribuito con una sostanziosa donazione pecuniaria alla ristrutturazione e alla riapertura. Il Cinema Teatro Arlecchino, inaugurato dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso (S.O.M.S) nel 1914, non è stato reintitolato a nessuno e conserva il vecchio nome della celeberrima maschera bergamasca, e a me sta bene così. È in via XX Settembre ed è attaccato al palazzo dove ha sede la Società Operaia di Mutuo Soccorso nel cui salone abbiamo parlato di poesia e di antifascismo, di stragi e di morti innocenti.



Proprio a due passi del Castello Visconteo. Ad un lato del castello è stata posta una targa, vi sono incisi i nomi di sei fucilati, due hanno rispettivamente 16 e 17 anni e dunque io voglio essere rispettoso di questi morti e delicato verso la loro memoria. Ma mi sarebbe piaciuto trovare un’altra targa in cui si spieghi, a chi giunge nella città di Voghera, che nelle celle di questo castello venivano rinchiusi decine di antifascisti che troveranno la morte nei campi di sterminio come Giovanni Mercurio. Che al sacrario del cimitero inaugurato il 5 novembre del 1978 sono incisi i nomi di 40 caduti antifascisti, ed erano giovani e padri di famiglia come loro. Sono morti per essersi opposti ad un regime di carnefici, di razzisti e di guerrafondai, e la differenza non è di poco conto. 



In un suo scritto, Antonio Corbelletti riporta tutti i nomi. È a lui che devo questo elenco: “Luigi Arcalini, Domenico Arcolaio, Pierino Balladore, Fioravante Barbieri, Luigi Barbieri, Andrea Bianchi, Angelo Calvi, Battista Caslotti, Angelo Cignoli, Carlo Covini, Giuseppe Dabusti, Giuseppe Ferrara, Franco Furini, Ermanno Gabetta, Leone Gazzella, Carlo Germani, Carlo Longa, Lucio Martinelli, Mario Martini, Anna Mascherini, Dorino Mazza, Angelo Montagna, Carlo Montagna, Tullio Morato, Umberto Negruzzi, Franco Quarleri, Walter Rigoni, Angelo Salvaneschi, Ermanno Sartori, Teresio Scovenna, Angelo Smeraldi, Carlo Sozzani, Emilio Sturla, Luigi Veronesi. All’ingresso una lapide onora Jacopo Dentici, Giovanni Mercurio, Renato Percivalle e Alessandro Tartara morti nel lager di Mauthausen Gusen (l’urna con le ceneri e il filo spinato portati dalla madre di Dentici) oltre a Cesare Mazzucco caduto a Vicaj con i partigiani albanesi e Teresio Rolandi”. Che la città può vantare tre medaglie d’oro al valor militare nella Resistenza: “il partigiano garibaldino Ermanno Gabetta ‘Sandri’, il partigiano azionista Franco Quarleri ‘Carli’ ed il colonnello Luigi Lanzuolo ucciso a Berat in Albania per aver combattuto i tedeschi dopo l’8 settembre 1943”, come si può leggere in un opuscolo dell’Anpi realizzato nel 2006 in occasione del 60° anniversario della Repubblica. Che per colpa del fascismo la città ha dovuto subire violenti bombardamenti e devastazioni dagli alleati che hanno causato 90 morti, circa 300 feriti e lasciato almeno 350 famiglie senza casa. 

Il Sacrario partigiano

“Vicus Iriae”, “Vicus Eira”, “Viqueria”, cioè Voghera, ha una storia lunga e io non sono uno storico; sono un semplice scrittore e vi riporto le mie personali sensazioni. Posso però dirvi che la resistenza al nazifascismo per la libertà della nostra patria qui è stata durissima, e perciò  la città che ha dato al referendum istituzionale del 1946 il 70,4% dei voti alla Repubblica, non dovrebbe dimenticarlo per andare dietro ai demagoghi e agli opportunisti. Come non dovremmo dimenticare la quantità impressionante di caduti nel corso delle varie guerre. Voghera ha una sfilza di lapidi che lo ricordano. Alla Stazione come in via Ricotti. Morti e dispersi, militari e civili, per malattia o incidenti di servizio. Da meditare il lungo elenco presente lungo il loggiato di quello che oggi si chiama “Monumento ai caduti”. Ce ne sono sull’edificio costruito ai primi del Novecento, divenuto per un certo tempo un Istituto dell’Ipsia; e ce ne sono sul suo prolungamento, quella che era stata una Casa del Fascio e realizzato negli anni Trenta in stile fascista.   



Alla Gelateria tradizionale di via Camillo Benso di Cavour ho trovato una commessa gentilissima e disponibile di nome Sibilla; il gelato era ottimo e questo dispone sempre bene, nei confronti del luogo, un goloso di gelati come me. Mi ha reso più indulgente anche verso il Duomo dedicato a San Lorenzo e che credevo più antico. Il suo volume si fa notare, come si fanno notare le due cupole ottagonali: la più piccola e la maggiore. Se ci entrate non dovete trascurate il dipinto della Madonna del Soccorso che è del 1494. 



I portici invece sono la mia passione e li ho sentiti subito accoglienti, ma è un vero peccato che non circondino per intero tutta la piazza come un tempo. Risultano interrotti e “la loro continuità, in alcuni punti, è spezzata da interventi urbanistici successivi”, come scrive in una nota Eugenio Clerici. Sempre da Clerici apprendiamo che i portici iniziavano a lato del palazzo del Municipio e si congiungevano con quelli ancora esistenti in Via Roma, demoliti probabilmente nel 1865”. 



Utilissimi sia durante la pioggia, sia d’estate per l’ombra che garantiscono, ospitano una lunga teoria di botteghe che ancora resistono. Per fortuna il Palazzo del Comune ha mantenuto delle arcate tipo portici, e l’Arco di Luigi Voghera – anch’esso ottocentesco e chiamato affettuosamente il Voltone – tutto sommato non offende l’occhio. Ma poteva andare molto peggio a questa piazza. Per fortuna si è salvato quello che ora si chiama Palazzo Nava; un’abitazione fascinosamente medievale costruita tra il XIII e il XIV secolo. 



Sono questi manufatti che ingentiliscono piazza Duomo e che, come avviene dovunque esiste un centro antico, vi richiamano irresistibilmente per sostarvi.