Probabilmente sapete tutto sull’autore della famosa locuzione:
“casalinga di Voghera”, lo scrittore Alberto Arbasino, che a Voghera era nato
nel gennaio del 1930, ma è morto a Milano nel marzo del 2020. Arbasino non ne
aveva data una connotazione negativa, come di frequente si sente dire,
tutt’altro. Vedeva in essa il simbolo di un sano buon senso lombardo, di
concretezza e attaccamento al proprio dovere. E i vogheresi avevano persino esposto,
per un certo tempo, una statua che la raffigurava. Arbasino le aveva anche dedicato
una poesia, e un’associazione che ne ha assunto il nome è ancora attiva in
città, come mi ha confermato Antonella Sicbaldi dell’Anpi locale, a cui devo un
invito per un incontro letterario e un giro amichevole per le vie del centro
storico. Sapete poco o nulla, invece, sul fatto che Voghera ha dato i natali a
una lunga lista di personalità di primo piano fra cui il grande intellettuale
antifascista Franco Antonicelli e la scrittrice Carolina Invernizio.
Il Teatro
Sociale di impronta ottocentesca realizzato su progetto del piemontese
Gioacchino Dell’Isola nella via Emilia, ha di recente cambiato nome ed è stato
dedicato ad un altro cittadino di Voghera: a Valentino
Clemente Ludovico Garavani. Quando ho chiesto perché c’era stato questo
cambiamento, mi è stato risposto che Garavani altri non è che lo stilista
Valentino. Glielo hanno intitolato perché pare (e spero sia vero) abbia
contribuito con una sostanziosa donazione pecuniaria alla ristrutturazione e
alla riapertura. Il Cinema Teatro Arlecchino,
inaugurato dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso (S.O.M.S) nel 1914, non è
stato reintitolato a nessuno e conserva il vecchio nome della celeberrima
maschera bergamasca, e a me sta bene così. È in via XX Settembre ed è attaccato
al palazzo dove ha sede la Società Operaia di Mutuo Soccorso nel cui salone
abbiamo parlato di poesia e di antifascismo, di stragi e di morti innocenti.
Proprio
a due passi del Castello Visconteo. Ad un lato del castello è stata posta una
targa, vi sono incisi i nomi di sei fucilati, due hanno rispettivamente 16 e 17
anni e dunque io voglio essere rispettoso di questi morti e delicato verso la
loro memoria. Ma mi sarebbe piaciuto trovare un’altra targa in cui si spieghi,
a chi giunge nella città di Voghera, che nelle celle di questo castello
venivano rinchiusi decine di antifascisti che troveranno la morte nei campi di
sterminio come Giovanni Mercurio. Che al sacrario del cimitero inaugurato il 5
novembre del 1978 sono incisi i nomi di 40 caduti antifascisti, ed erano
giovani e padri di famiglia come loro. Sono morti per essersi opposti ad un
regime di carnefici, di razzisti e di guerrafondai, e la differenza non è di
poco conto.
In un suo scritto, Antonio Corbelletti riporta tutti i
nomi. È a lui che devo questo elenco: “Luigi Arcalini, Domenico
Arcolaio, Pierino Balladore, Fioravante Barbieri, Luigi Barbieri, Andrea
Bianchi, Angelo Calvi, Battista Caslotti, Angelo Cignoli, Carlo Covini,
Giuseppe Dabusti, Giuseppe Ferrara, Franco Furini, Ermanno Gabetta, Leone
Gazzella, Carlo Germani, Carlo Longa, Lucio Martinelli, Mario Martini, Anna
Mascherini, Dorino Mazza, Angelo Montagna, Carlo Montagna, Tullio Morato,
Umberto Negruzzi, Franco Quarleri, Walter Rigoni, Angelo Salvaneschi, Ermanno
Sartori, Teresio Scovenna, Angelo Smeraldi, Carlo Sozzani, Emilio Sturla, Luigi
Veronesi. All’ingresso una lapide onora Jacopo Dentici, Giovanni Mercurio,
Renato Percivalle e Alessandro Tartara morti nel lager di Mauthausen Gusen
(l’urna con le ceneri e il filo spinato portati dalla madre di Dentici) oltre a
Cesare Mazzucco caduto a Vicaj con i partigiani albanesi e Teresio Rolandi”.
Che la città può vantare tre medaglie d’oro al valor militare nella Resistenza:
“il partigiano garibaldino Ermanno Gabetta ‘Sandri’, il partigiano azionista
Franco Quarleri ‘Carli’ ed il colonnello Luigi Lanzuolo ucciso a Berat in
Albania per aver combattuto i tedeschi dopo l’8 settembre 1943”, come si può
leggere in un opuscolo dell’Anpi realizzato nel 2006 in occasione del 60° anniversario
della Repubblica. Che per colpa del fascismo la città ha
dovuto subire violenti bombardamenti e devastazioni dagli alleati che hanno
causato 90 morti,circa 300
feriti e lasciato almeno 350 famiglie senza casa.
Il Sacrario partigiano
“Vicus
Iriae”, “Vicus Eira”, “Viqueria”, cioè Voghera, ha una storia lunga e io non
sono uno storico; sono un semplice scrittore e vi riporto le mie personali
sensazioni. Posso però dirvi che la resistenza al nazifascismo per la libertà
della nostra patria qui è stata durissima, e perciò la città che ha dato al referendum
istituzionale del 1946 il 70,4% dei voti alla Repubblica, non dovrebbe
dimenticarlo per andare dietro ai demagoghi e agli opportunisti. Come non
dovremmo dimenticare la quantità impressionante di caduti
nel corso delle varie guerre. Vogheraha una sfilza di
lapidi che lo ricordano. Alla
Stazione come in via Ricotti.
Morti e dispersi, militarie
civili, per malattia o incidenti di servizio. Da
meditare il lungo elenco presente lungo il loggiato di quello che oggi si
chiama “Monumento ai caduti”. Ce ne sono
sull’edificio costruito ai primi del
Novecento, divenuto per un certo tempo un Istituto dell’Ipsia;e
ce ne sono sul suo prolungamento,
quella che era stata una Casa del Fascio e realizzato negli
anni Trenta in stile fascista.
Alla Gelateria tradizionale di via
Camillo Benso di Cavour ho trovato una commessa gentilissima e disponibile di
nome Sibilla; il gelato era ottimo e questo dispone sempre bene, nei confronti
del luogo, un goloso di gelati come me. Mi ha reso più indulgente anche verso
il Duomo dedicato a San Lorenzo e che credevo più antico. Il suo volume si fa
notare, come si fanno notare le due cupole ottagonali: la più piccola e la
maggiore. Se ci entrate non dovete trascurate il dipinto della Madonna del Soccorso che è del 1494.
I portici invece
sono la mia passione e li ho sentiti subito accoglienti, ma
è un vero peccato che non circondino per intero tutta la piazza come un tempo.
Risultano interrotti e “la loro continuità, in alcuni punti, è
spezzata da interventi urbanistici successivi”, come scrive in una nota Eugenio Clerici.Sempre da Clerici apprendiamo
chei portici “iniziavano a lato del palazzo del
Municipio e si congiungevano con quelli ancora esistenti in Via Roma, demoliti
probabilmente nel 1865”.
Utilissimi sia durante la pioggia, sia d’estate per
l’ombra che garantiscono, ospitano una lunga teoria di botteghe che ancora
resistono. Per fortuna il Palazzo del Comune ha mantenuto delle arcate tipo
portici, e l’Arco di Luigi Voghera – anch’esso ottocentesco e chiamato affettuosamente
il Voltone – tutto sommato non offende l’occhio. Ma poteva andare molto peggio
a questa piazza. Per fortuna si è salvato quello che ora si chiama Palazzo Nava; un’abitazione
fascinosamente medievale costruita tra il XIII e il XIV secolo.
Sono questi manufatti che ingentiliscono piazza
Duomo e che, come avviene dovunque esiste un centro
antico, vi richiamano irresistibilmente per sostarvi.