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giovedì 31 ottobre 2024

UNA FOTO
di Pierpaolo Calonaci


Spiaggia con morto
 
La drammatica efficacia dell’immagine sta proprio nel rappresentare nell’immagine l’inimmaginabile; eppure due persone che rimangono sedute, inerti e inermi, sotto l’ombrellone del proprio divertimento nonostante la realtà sia fatta da un cadavere (di un migrante) poco distante, mostrano cosa sia quel divertimento, quel bisogno di vita, quali siano perciò le condizioni materiali dell’esistere moderno. Per analogia, la cecità non sta nel non vedere, sarebbe una tautologia, ma segnatamente nel vedere con uno sguardo disumano. Il senso di questo scatto po’ essere indagato avvertendo in esso una propaganda xenofoba di uno stato patriottico votato alla difesa dei confini che oggi più che mai ha riaffilato il proprio linguaggio e le proprie pratiche politiche? Certo, questo scatto condensa anche questo: la disumanizzazione, ovvero sradicamento direbbe con attenzione intellettuale Simone Weil della vita dall’atto di pensare che, in questo contesto, assume la radicata difficoltà di definirci, anche a livello metaforico, in termini di relazioni umane e di legami fondativi quali esseri umani appunto. Altrettanto questo scatto indica quanto lo sguardo disumano e disumanizzante sia in definitiva qualcosa che si accetta, si legittima, si fa habitus: è contemporaneamente naturale e normale. Habitus, ci dice Pierre Bourdieu, poliedrico e affascinante sociologo francese degli anni Ottanta, è uno strumento d'indagine sociologica tramite cui cercare di analizzare il reale come fenomeno totalmente comprensibile senza giungere a sclerotizzarlo in verità; e siccome la foto mostra - potrebbe essere la guerra - che l’omicidio è in casa, evitare questa sclerotizzazione è un dovere (corsivo mio). 



Senza “gli altri”, non c’è più l’onere esistenziale di definire noi stessi in relazione ad essi. Definirsi da soli, sotto l'ombrellone della propria vacuità, è una masturbazione a dir poco patologica. Siamo perciò pronti a tutto, anche a restare seduti sotto il sole, con un frigo per le vivande a fianco, a godere del meritato relax che la vacanza ci assicura e che l'omicidio sistematico di innocenti sembra non alterare. Si potrebbe tentare di ricorrere al termine di solipsismo, che la Filosofia fenomenologica del Novecento (Husserl ma particolarmente Edith Stein col suo “Il problema dell’empatia”) cerca di osservare per evidenziare un modello di pensiero, quello solipsistico che da allora in poi, corroborato dal rafforzamento dello Stato/nazione in chiave totalitarista, oggi in senso liberal/autocratico, produce in seno all’uomo: egli è e vuole rimanere e fa di tutto per rimanere sulla scena sociale e politica quale unico e solo padrone. Ma il solipsismo non attacca le radici storiche dello stato/nazione/patria moderne.



Continua Bourdieu che la storia dei rapporti sociali, cioè i modi, le leggi, la storia con cui il mondo sociale (l’economia in primis) e le varie forme sotto cui viene prodotta l’esistenza, si manifestano in modo meccanico e naturale attraverso un tempo lineare senza scossoni. In modo che l’ordine delle cose, di cui lo stato è patriarca della parola ufficiale, diventi appunto naturale (mentre è l’opposto), nascondendosi all’analisi scientifica in virtù di quel meccanismo naturale di incorporazione all’ordine dato che si accompagna, mutatis mutandis, alla natura con cui si compie. Forse quei due individui esemplificano proprio il funzionamento della pratica dell’habitus; la storia non può essere maestra poiché ha assunto i contorni fittizi della natura; è in essa che chiunque può diventare soggetto inerte ma pronto ad interiorizzare, suo malgrado, una nuova storia. L’habitus è una “nuova” storia: pernicioso portatore di forme di appartenenza in cui investe lo stato e la sua propaganda. Verosimilmente è l'atto poetico che ci scaraventa davanti l’odiosa realtà: Brecht (potrebbe benissimo essere Pasolini), allora. A quelli nati dopo di noi.



 
Veramente, vivo in tempi bui!
La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
indica insensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia.
Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
forse non è più raggiungibile per i suoi amici
che soffrono?
È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un puro caso. Niente
di ciò che faccio mi dà il diritto di saziarmi.
Per caso sono stato risparmiato.
(Quando cessa la mia fortuna sono perso)
Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché hai!
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.
Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il breve periodo senza paura.
Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
veramente, vivo in tempi bui!
Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlate delle nostre debolezze
anche i tempi bui
ai quali voi siete scampati.
Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre delle classi, disperati
quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta.
Eppure sappiamo:
anche l’odio verso la bassezza
distorce i tratti del viso.
Anche l’ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Ah, noi
che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
noi non potevamo essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l’uomo è amico dell’uomo
ricordate noi
Con indulgenza.