La
drammatica efficacia dell’immagine sta proprio nel rappresentare nell’immagine
l’inimmaginabile; eppure due persone che rimangono sedute, inerti e inermi,
sotto l’ombrellone del proprio divertimento nonostante la realtà sia fatta da
un cadavere (di un migrante) poco distante, mostrano cosa sia quel
divertimento, quel bisogno di vita, quali siano perciò le condizioni materiali
dell’esistere moderno. Per analogia, la cecità non sta nel non vedere, sarebbe
una tautologia, ma segnatamente nel vedere con uno sguardo disumano. Il senso
di questo scatto po’ essere indagato avvertendo in esso una propaganda xenofoba
di uno stato patriottico votato alla difesa dei confini che oggi più che mai ha
riaffilato il proprio linguaggio e le proprie pratiche politiche? Certo, questo
scatto condensa anche questo: la disumanizzazione, ovvero sradicamento direbbe
con attenzione intellettuale Simone Weil della vita dall’atto di pensare che,
in questo contesto, assume la radicata difficoltà di definirci, anche a livello
metaforico, in termini di relazioni umane e di legami fondativi quali esseri
umani appunto. Altrettanto questo scatto indica quanto lo sguardo disumano e
disumanizzante sia in definitiva qualcosa che si accetta, si legittima, si fa habitus:
è contemporaneamente naturale e normale. Habitus, ci dice Pierre
Bourdieu, poliedrico e affascinante sociologo francese degli anni Ottanta, è
uno strumento d'indagine sociologica tramite cui cercare di analizzare il reale
come fenomeno totalmente comprensibile senza giungere a sclerotizzarlo in
verità; e siccome la foto mostra - potrebbe essere la guerra - che
l’omicidio è in casa, evitare questa sclerotizzazione è un dovere (corsivo
mio).
Senza “gli altri”, non c’è più l’onere esistenziale di definire
noi stessi in relazione ad essi. Definirsi da soli, sotto l'ombrellone della
propria vacuità, è una masturbazione a dir poco patologica. Siamo perciò pronti
a tutto, anche a restare seduti sotto il sole, con un frigo per le vivande a
fianco, a godere del meritato relax che la vacanza ci assicura e che l'omicidio
sistematico di innocenti sembra non alterare. Si potrebbe tentare di ricorrere
al termine di solipsismo, che la Filosofia fenomenologica del Novecento (Husserl
ma particolarmente Edith Stein col suo “Il problema dell’empatia”) cerca
di osservare per evidenziare un modello di pensiero, quello solipsistico che da
allora in poi, corroborato dal rafforzamento dello Stato/nazione in chiave
totalitarista, oggi in senso liberal/autocratico, produce in seno all’uomo:
egli è e vuole rimanere e fa di tutto per rimanere sulla scena sociale e
politica quale unico e solo padrone. Ma il solipsismo non attacca le radici
storiche dello stato/nazione/patria moderne.
Continua Bourdieu che la storia
dei rapporti sociali, cioè i modi, le leggi, la storia con cui il mondo sociale
(l’economia in primis) e le varie forme sotto cui viene prodotta
l’esistenza, si manifestano in modo meccanico e naturale attraverso un tempo
lineare senza scossoni. In modo che l’ordine delle cose, di cui lo stato è
patriarca della parola ufficiale, diventi appunto naturale (mentre è
l’opposto), nascondendosi all’analisi scientifica in virtù di quel meccanismo
naturale di incorporazione all’ordine dato che si accompagna, mutatis
mutandis, alla natura con cui si compie. Forse quei due individui
esemplificano proprio il funzionamento della pratica dell’habitus; la
storia non può essere maestra poiché ha assunto i contorni fittizi della
natura; è in essa che chiunque può diventare soggetto inerte ma pronto ad
interiorizzare, suo malgrado, una nuova storia. L’habitus è una “nuova”
storia: pernicioso portatore di forme di appartenenza in cui investe lo stato e
la sua propaganda. Verosimilmente è l'atto poetico che ci scaraventa davanti
l’odiosa realtà: Brecht (potrebbe benissimo essere Pasolini), allora. A
quelli nati dopo di noi.
Veramente, vivo in tempi bui! La parola disinvolta è folle. Una
fronte liscia indica insensibilità. Colui che
ride probabilmente non ha ancora
ricevuto la terribile notizia. Che tempi sono questi in cui un discorso sugli alberi è quasi
un reato perché comprende il tacere su
così tanti crimini! Quello lì che sta tranquillamente
attraversando la strada forse non è più raggiungibile per
i suoi amici che soffrono? È vero: mi guadagno ancora da
vivere ma credetemi: è un puro caso.
Niente di ciò che faccio mi dà il
diritto di saziarmi. Per caso sono stato risparmiato. (Quando cessa la mia fortuna sono
perso) Mi dicono: mangia e bevi!
Accontentati perché hai! Ma come posso mangiare e bere se ciò che mangio lo strappo a chi
ha fame, e il mio bicchiere di acqua manca a
chi muore di sete? Eppure mangio e bevo. Mi piacerebbe anche essere
saggio. Nei vecchi libri scrivono cosa
vuol dire saggio: tenersi fuori dai guai del mondo
e passare il breve periodo senza paura. Anche fare a meno della violenza ripagare il male con il bene non esaudire i propri desideri,
ma dimenticare questo è ritenuto saggio. Tutto questo non mi riesce: veramente, vivo in tempi bui! Voi, che emergerete dalla marea nella quale noi siamo annegati ricordate quando parlate delle nostre
debolezze anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Camminavamo, cambiando più spesso
i paesi delle scarpe, attraverso le guerre delle
classi, disperati quando c’era solo ingiustizia e
nessuna rivolta. Eppure sappiamo: anche l’odio verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l’ira per le ingiustizie rende la voce rauca. Ah, noi che volevamo preparare il terreno
per la gentilezza noi non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il
momento in cui l’uomo è amico dell’uomo ricordate noi Con indulgenza.