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sabato 30 novembre 2024
IL TEMPO DELLA BULIMIA
Lobbies e gruppi che organizzano il commercio: prenotare, scegliere, fare contratti, comprare e vendere. Questi sono i soli verbi che si possono usare. E le ‘libere’ donne, spesso per necessità economica o d’altro tipo, sono vittime di questa speculazione preparata dagli uomini per i loro business.
Ci può aiutare come
donne, ma ci può anche distruggere. Tenere insieme Natura e Cultura, e non dimenticare il nostro Cuore, la
nostra Essenza. Questa è la nostra sfida come Donne. Saremo all’altezza del
compito o svenderemo noi stesse e le nostre creature? Sono sicura che nessuna donna lo vuole
o lo desidera. Ritengo che una società di donne e uomini veramente
democratici non possa accettare la negazione della dignità della donna, né
quella della imprescindibilità ed unicità della relazione madre-creatura. Nella
riduzione delle creature in beni da prenotare scegliere comprare, e delle donne
in contenitore, c’è la conferma di un
patriarcato più che mai presente con la sua arroganza, la sua misoginia, il
disprezzo del corpo della donna. C’è tutta una mentalità maschilista, dietro
cui si nasconde un’idea utilitaristica della vita, una cultura mercantile che
riduce tutto a merce. Una filosofia che viene da lontano, non a caso da quei
paesi che sono stati e sono ancora oggi imperialisti e colonialisti e hanno
sempre combattuto contro l’Umanesimo del Pensiero e della filosofia mediterranea.
Per questi paesi imperialisti non ci sono e non ci devono essere limiti ai loro
business, ai loro commerci, e questa è la loro nuova frontiera, è il colonialismo dei corpi. Intravedo
in tutto questo un ‘sentimento fascista’
che, come avvertiva Simone Weil, può camuffarsi annidarsi e nascondersi
dappertutto, ma che va “scoperto e
contrastato, nel singolo e nelle società, in noi e fuori di noi, sviluppando a
tutti i livelli un pensiero critico”. Mi auguro che ciò possa
avvenire.
venerdì 29 novembre 2024
SCIOPERO GENERALE E RECUPERO DI SENSO
di
Franco Astengo
Oggi
sciopero generale: fatto non usuale attraverso cui CGIL e UIL stanno tentando
non solo di porre al centro le questioni salariali, sociali, della prospettiva
industriale (come recita la piattaforma di convocazione della giornata) ma
anche un recupero di senso del loro essere soggetto di un fronte di lotta e di
prospettiva del cambiamento. Il sindacato confederale da molto tempo non riesce
ad esercitare una funzione effettiva di orientamento di massa, appunto di
"recupero di senso" della propria azione e della propria presenza in
una dimensione che è apparsa di visione sempre più ridotta nella fase
dell'immediata post-globalizzazione e dello scivolamento del Paese nella
retorica dell'antipolitica e della destra populista. Adesso si sta tentando di
invertire la rotta (CGIL e UIL si stanno trovando a fianco i sindacati di base
e non la CISL ormai palesemente tornata nell'alveo anni'50 del sindacato
governativo, magari matrice come fu allora di qualche sindacato
"giallo"): non sarà facile ma potrebbe trattarsi della strada giusta.
Ovviamente il quadro degli anni'70 non esiste più: mancano le grandi
concentrazioni industriali manifatturiere, la proprietà è lontana e impalpabile
mentre impazza una finanziarizzazione senza volto, il quadro internazionale
sfugge a una possibile individuazione di "terreno di scontro", lo
Stato - Nazione non funziona più da regolatore dello scambio sociale, la
società è parcellizzata percorsa dall'individualismo competitivo, in un
evidente declino dell'Occidente si sono evidenziate disuguaglianze incolmabili
nei cui interstizi si stanno infilando conflitti di cui in sostanza ignoriamo
la natura, quello che un tempo definivamo "lavoro vivo" emerso dalla
due rivoluzioni industriali adesso è minacciato dall'innovazione tecnologica e
le giovani generazioni se ne allontanano spontaneamente magari sognando
improbabili "ritorni bucolici" e "decrescite felici". Nella
difficoltà di un'Europa sociale e politica che ha perso la centralità dei
"30 gloriosi" e di cui è emblematica la crisi tedesca, Europa in
crisi anche come appendice dell'impero americano (svanito l'abbaglio della fine
della storia che avrebbe dovuto seguire la caduta del Muro di Berlino) l'Italia
conta poco, forse nulla: quindi non conta granché neppure lo sciopero generale
di oggi. Si tratta però di un segnale, oltre che di un passaggio di
riaggregazione sociale di una certa importanza: un segnale perché sembra non
trattarsi di un momento di raccolta su basi meramente corporative (come accade
in altri Paesi) ma misurato nel solco di una rimodulazione di presenza e di
orientamento. Ci troviamo nel piccolo di una dimensione ormai provinciale e di
un Paese, l'Italia, in forte difficoltà politica non soltanto perché governata
da una destra incapace di muovere un solo passo anche in direzione non gradita
dal nostro punto di vista ma soprattutto la difficoltà dell'Italia risiede
nell'essere percorsa da un forte sentimento di contrarietà all'agire politico e
che tende verso l'assolutizzazione del comando.
Dire
di no con fermezza a questa emergenza appare in questo momento il compito del
sindacato: il rischio vero è quello di un processo di sostituzione del
meccanismo democratico, cioè di un confronto diretto con il potere economico
nel quale viene meno l'intermediazione sociale e politica.
Il
centro-sinistra italiano per un certo periodo ha cullato l'illusione che la
disintermediazione avrebbe portato la governabilità all'altezza della disputa
con il potere dell'economia e della tecnica sciogliendo i "lacci e
lacciuoli" (come invocava Guido Carli qualche decennio or sono): questo
disegno che era il disegno del PD ha causato l'allontanamento sociale e
l'esplosione di un meccanismo di rifiuto della funzione politica. Un rifiuto
che si era fatto partito rotolando poi tra le spire della realtà di palazzo e
causando un trauma che ha spostato l'opinione verso il rifiuto totale o verso
la semplificazione di una destra orrenda nella realtà politica e soprattutto
nell'espressione culturale diffusa. Ecco: nella ricerca di senso da parte del
sindacato che questo sciopero generale comprende non dovrebbe esserci spazio
per una idea di sostituzione della politica e della sua organizzazione più
coerente in partiti. Abbiamo bisogno di tornare alla capacità di rappresentanza
ciascuno per la propria parte.
RISCHIO DI
GUERRA TOTALE
di Maurizio Vezzosi
Dopo oltre
mille giorni di guerra su larga scala per l’Ucraina - e quasi quattromila per
il Donbass - l’intermezzo tra la fine del mandato Biden e l’insediamento dell’amministrazione
Trump assume in crescendo le caratteristiche di una delle fasi più incerte e
più pericolose della storia contemporanea. Il via libera della Casa Bianca all’utilizzo
di missili ATACMS in territorio russo è avvenuto in questa fase con il preciso
intento di mettere nella maggiore difficoltà possibile il successore designato.
Al quadro si aggiungono i nuovi pacchetti di assistenza militare appena
concessi all’Ucraina e gli intenti della Casa Bianca di installare nuovi
missili in Europa centro-orientale in funzione antirussa: intenti destinati a
riportare il continente alla crisi degli Euromissili di metà anni ottanta. La
risposta del Cremlino alle mosse dell’amministrazione di Biden si è sostanziata
nel lancio di un missile balistico sui territori ucraini - condotto per palesare
la vulnerabilità delle difese antiaeree di produzione statunitense - e nella
modifica della dottrina nucleare di riferimento: una modifica con cui si
contempla in modo esplicito il possibile ricorso ad armi nucleari tattiche in
risposta ad attacchi condotti con armi convenzionali. Questo passaggio
contribuisce ad aumentare ulteriormente il rischio di guerra nucleare in
Europa. L’Italia in particolare sarebbe particolarmente esposta ad attacchi
vista la presenza sul territorio nazionale di importanti basi militari statunitensi:
l’Europa - tutta - pagherebbe le maggiori conseguenze di uno scenario senza
precedenti. Occorre avere ben chiaro che il rischio nucleare non è un bluff:
scommettere sul contrario potrebbe contribuire a trascinare l’umanità in una
spirale di distruzione che sarebbe molto difficile interrompere. Già dal
febbraio 2022 risultava chiaro che il tempo giocasse a favore del Cremlino:
oggi questa valutazione trova una facile conferma nella situazione del campo.
Quanto l’Ucraina avrebbe potuto ottenere nei negoziati del 2022 oggi è nient’altro
che un’illusione. Per quanto le narrative sull’Ucraina abbiano subito una
evidente trasformazione negli ultimi tempi - ammettendo l’inevitabilità del
negoziato - le condizioni oggettive non possono essere certo dimenticate: il
vantaggio acquisito potrebbe portare il Cremlino a rifiutare eventuali proposte
di negoziato se queste trascurassero le condizioni sul terreno. Per questa
ragione il possibile congelamento dei combattimenti ed il delinearsi di uno
scenario coreano, non è affatto scontato. A proposito di Corea la presenza di
militari nordcoreani sul fronte di Kursk è ormai un dato di fatto: presenza
destinata a creare ulteriori problemi alle forze ucraine. Per l’esercito di
Pyongyang ed i contingenti di questo inviati sul fronte ucraino si tratta di
una svolta epocale, dal momento che ufficialmente le forze armate della Corea
del nord non partecipano a missioni di combattimento dal 1953. Ma l’importanza
del fatto in sé risulta secondaria riflettendo sul modello di mutua assistenza
militare che Mosca sta testando con la Corea del Nord. Un futuribile meccanismo
analogo potrebbe legare Mosca e Pechino per le reciproche necessità di
carattere militare: per il momento sia Mosca che Pechino hanno interesse a non
vincolarsi reciprocamente con accordi militari stringenti, ma il tempo potrebbe
far mutare questa condizione in modo significativo. Ulteriori sorprese
precedenti all’insediamento di Trump alla Casa Bianca potrebbero essere tutt’altro
che improbabili, ma come già anticipato nei mesi scorsi dall’ex consigliere
presidenziale Aleksander Arestovich, il 2025 potrebbe effettivamente essere l’anno
dell’uscita di scena di Volodymyr Zelensky. Coprire il fallimento dell’oltranzismo
e l’uscita di scena dei suoi protagonisti con il presunto rispetto della
sovranità ucraina potrebbe essere tutto sommato l’opzione meno sconveniente per
affrontare il passaggio tra il prima ed il dopo.
SÌ, È GENOCIDIO
di Amos Goldberg
Sì, è un genocidio. È difficile e
doloroso ammetterlo, ma non possiamo più evitare questa conclusione. La storia
ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino per il “più orribile
dei crimini”, che non potrà essere cancellato. È così che sarà considerata nel
giudizio della Storia per le generazioni a venire. Gli obiettivi militari sono
quasi obiettivi incidentali mentre uccidono civili, e ogni palestinese a Gaza è
un obiettivo da uccidere. Questa è la logica del genocidio. Sì, lo so, quelli
che lo dicono «Sono tutti antisemiti o ebrei che odiano se stessi». Solo noi
israeliani, con la mente alimentata dagli annunci del portavoce dell’IDF ed
esposta solo alle immagini selezionate per noi dai media israeliani, vediamo la
realtà com’è. Come se non ci fosse una letteratura interminabile sui meccanismi
di negazione sociale e culturale delle società che commettono gravi crimini di
guerra. Israele è davvero un caso paradigmatico di tali società. Ciò che sta
accadendo a Gaza è un genocidio perché livello e ritmo di uccisioni
indiscriminate, distruzione, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia,
esecuzioni, cancellazione delle istituzioni culturali e religiose,
disumanizzazione generalizzata dei palestinesi creano un quadro complessivo di
genocidio, di un deliberato e consapevole annientamento dell’esistenza
palestinese a Gaza. La Gaza palestinese come complesso
geografico-politico-culturale-umano non esiste più. Il genocidio è
l’annientamento deliberato di una collettività o di una parte di essa, non di
tutti i suoi individui. Ed è ciò che sta accadendo a Gaza. Il risultato è senza
dubbio un genocidio. Le numerose dichiarazioni di sterminio da parte di alti
funzionari del Governo israeliano e il tono generale di sterminio del discorso
pubblico indicano che questa era anche l’intenzione.
*Professore di
Storia dell’Olocausto al Dipartimento
di Storia Ebraica dell’Università
Ebraica di Gerusalemme
LIBRI
Contro le armi
Gli scritti pacifisti e antimilitaristi di Carlo
Cassola, una delle voci più alte che si siano opposti alla guerra fra gli
intellettuali del Novecento.
Pubblicato per la prima
volta nel 1980 con la piccola casa editrice Ciminiera, Contro le armi è un
appello appassionato e lucidissimo contro la follia della guerra, scritto in un
periodo di conflitti e tensioni internazionali durante il quale Carlo Cassola
era divenuto una delle voci più autorevoli del pacifismo italiano. Questo libro
è un manifesto di speranza e un invito all’azione per tutti coloro che credono
nella pace e nella dignità umana.
Carlo Cassola (Roma 1917 - Montecarlo, Lucca, 1987) è stato uno degli scrittori
più importanti e amati del Novecento italiano. Fra le sue opere più note, Fausto
e Anna (1952), Un cuore arido (1961) e,
soprattutto, La ragazza di Bube (1960).
Editore: Rogas
Collana: Gli
irregolari
Genere: saggistica
Pagine: 168
Prezzo: 15,70 €
Codice EAN: 9791281543164
SCAFFALI
Per la Casa Editrice
“La Scuola di Pitagora” di Napoli debutta Fendinebbia, la Collana dal titolo:
Laboratorio di poesia civile, a cura di Giuseppe Langella. È uscito il primo
volume antologico Sfilata d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari.
Per
scampare a quell’invisibile genocidio di massa i cui sintomi sono lo
stordimento fisico, la catalessi morale e il sonno della ragione, la società
odierna ha più che mai bisogno di modelli di riferimento a cui guardare, da cui
trarre esempio e sprone. Sfilata d’alti modi risponde a
questo bisogno inespresso di modelli, di valori incarnati, offrendo una
carrellata di ritratti esemplari, ciascuno dotato di un suo speciale, prezioso,
carisma. Raccogliendo una simile schiera di testimoni, si può immaginare questa
antologia, col permesso di Dante, come un’edizione aggiornata del castello
degli spiriti magni, trasformatosi frattanto in un più variegato e popoloso
condominio, dove ciascuno, affacciato a una finestra o dal balcone, racconta, quando
è il suo turno, cosa ha fatto nella vita e chiede di essere ascoltato, perché
la sua storia è istruttiva e ha parecchio da insegnarci. Sfilata d’alti
modi vuol essere, insomma, una sorta di alfabeto dei valori su
cui fondare la nostra città dell’uomo. [Giuseppe Langella]
Testi di: Lino Angiuli, Alberto
Bertoni, Stefano Carrai, Davide Chindamo, Tiberio Crivellaro, Claudio Damiani,
Vito Davoli, Eugenio De Signoribus, Roberto Deidier, Tania Di Malta, Elisa
Donzelli, Alessandro Fo, Angelo Gaccione, Antonietta Gnerre, Giuseppe
Grattacaso, Vivian Lamarque, Giuseppe Langella, Gianfranco Lauretano,
Alessandro Magherini, Marco Marangoni, Renato Minore, Massimo Morasso, Nina
Nasilli, Rita Pacilio, Alessandra Paganardi, Gianni Antonio Palumbo, Elio
Pecora, Umberto Piersanti, Fabio Pusterla, Paolo Ruffilli, Lidia Sella, Andrea
Temporelli, Ida Travi.
Autori Vari
Sfilata
d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari
Antologia a cura di Giuseppe Langella
La Scuola di Pitagora Editrice
Pagine: 120
€ 14
Anno: 2024
ISBN 979-12-5613-001-6
Formato: 12,5 x 19,5 cm
Collana: Fendinebbia.
Laboratorio di poesia civile
giovedì 28 novembre 2024
LIBRI
di
Gianluca Paciucci

Giancarlo Micheli
Pâris Prassède (Monna Lisa Edizioni, 2023) è un
romanzo anche corporalmente forte, come i romanzi di Volponi (Le mosche del
capitale e altri), esplicito riferimento dell’autore. Un’immaginazione
potente, quella di Giancarlo Micheli. Il titolo ci indica il protagonista,
l’eroe eponimo, il quale attraversa tutta la narrazione con la forza e anche la
prestanza fisica di un personaggio vorticoso in un romanzo vorticosissimo che
si situa sicuramente nell’ambito del romanzo storico, così come è stato
definito dalle riflessioni di György Lukács e Eric Auerbach. Certo, il romanzo
storico, in Italia, è quello che ha introdotto la maggior parte della
popolazione alla letteratura, innanzitutto grazie all’esperienza scolastica: i Promessi
sposi di Manzoni, che alcuni dicono inflitto agli studenti e quindi
fatto non amare. In realtà, in qualche elemento di libera costrizione può
esserci una dose di sanità, perché una persona a modo non andrebbe mai a
leggersi Manzoni da adulto, se non fosse costretto… Con quel minimo di
costrizione, però, si può guadagnare l’accesso a un mondo straordinario, un
mondo robusto, conflittuale, con un narratore onnisciente che conosce i più
intimi pensieri dei suoi personaggi e con un autore che ha fondato, in Italia
almeno, la storia di questo genere letterario, arrivando fino ai nostri giorni.
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Giancarlo Micheli |